Se una mattina d’autunno un viaggiatore fosse sceso nella stazione di una cittadina sonnacchiosa della provincia fiorentina chiamata Empoli, avrebbe trovato ad attenderlo lo stesso cielo con una gran voglia di piovere, e le stesse identiche nuvole basse e minacciose che aveva osservato fino ad allora con sguardo beatamente inespressivo dal finestrino del treno.
Sarebbe sceso da un treno che sarebbe potuto arrivare da tre direzioni soltanto: Pisa, Firenze e Siena.
Avrebbe percorso il sottopassaggio insieme a pochi altri viaggiatori, tra cui due giganti neri che discutevano tra loro in una lingua che si articolava in un gorgoglio musicale, idioma africano dalle sonorità ritmiche e timbrica nasale. Volume decisamente alto che solo a sentirlo ti spara lontano dall’Europa. Una donna dai fianchi larghi e dalla camminata pesante. Qualche giovane con lo zaino sovradimensionato a tracolla e un uomo sulla soglia della vecchiaia dall’espressione trasandata e rancorosa.
Sarebbe emerso dal sottopassaggio, sul primo binario e avrebbe incontrato pendolari di ambo i sessi odoranti di doccia, colloquiali e flirtanti, mescolati a studenti con gli occhi abbottonati e ancora non del tutto chiassosi a causa dell’ora mattutina.
Cosa c’è da sapere su quel viaggiatore? Escluderei che si trattasse di un uomo d’affari. Proprio non ne ha l’aria. Non è né giovane, né vecchio, ha un passo deciso ma non direi altezzoso. Porta degli occhiali da sole con lenti a forma quadrata, sebbene non ce ne sia davvero bisogno, degli occhiali da sole non della forma quadrata, perché la giornata è grigia e uggiosa. E’ ben vestito, ma non risalta per l’eleganza. Non è appariscente. Segni particolari nessuno. Non porta colori sgargianti. Ciò nonostante si nota. Suo malgrado quasi, verrebbe da dire.
Tira dietro di sé un trolley. Quello che lui sta trainando è rosso con le rifiniture nere. Non è un bagaglio di grosse dimensioni e le ruote al passaggio sulle mattonelle in cemento emettono un chiasso monotono che si può associare al viaggio con la stessa facilità con cui ci si sente autorizzati ad associare il profumo del caffè al risveglio.
Una volta dentro la stazione getta un’occhiata distratta alle civette dei giornali. Due quotidiani locali e uno nazionale.
Su quello di un giornale locale c’è scritto a titoli cubitali:
EVADE DALL’OPG
E subito sotto, sempre della stessa dimensione:
INTERNATO: CERCÒ DI UCCIDERE
UNA RAGAZZA CON LA BALESTRA.
Il viaggiatore non sembra stupito e avrai già capito che non mostra nessuna espressione particolare sul volto. Indifferente?
Prosegue il suo cammino, ma dopo pochi passi si ferma.
Una bionda alta con un vestito color crema con piedi e polpacci inseriti in stivali dai tacchi rumorosi passandogli accanto gli offre uno sguardo fuggevole d’interesse da dietro i vistosi occhiali da vista D&G. Lo classifica come preda potenziale e prosegue oltre.
Ma lui, il viaggiatore, non deve nemmeno essersene accorto.
Non è molto alto. Decisamente media statura, capelli castani chiari tagliati molto corti e il volto rasato. Non è bello, ma nemmeno brutto.
Adesso si volta e posa di nuovo lo sguardo sul titolo del giornale. Poi torna davanti alla civetta e osserva.
C’è un omicida in giro? No, c’è in giro un tentante omicida. Piuttosto originale tentare di uccidere qualcuno con una balestra. Un oggetto non comune. Non te lo trovi accanto per caso tanto spesso.
A cosa deve la vita quella ragazza? Alla cattiva mira dell’evaso? Alle cure azzeccate e al prezioso pronto intervento medico?
“Tentò” significa che il fatto coincide col motivo per cui è stato rinchiuso dentro l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. “Tentò” di per sé dice poco su quello che può essere successo. Un ferimento forse.
Certo non fugge tutti i giorni da un manicomio criminale uno che ha ferito o tentato di ferire una donna con un’arma molto più comune nel medioevo di quanto lo sia oggi.
Se fosse ossessionato dalle armi medioevali, la popolazione non avrebbe molto da temere. Non ci sono molte balestre in giro in questa cittadina di provincia. Certo questo è poco come garanzia. Ma la realtà di solito è diversa da quello che vediamo nei film dove il movente dell’evasione è la reiterazione dei crimini.
Chi evade, pensa a scappare e di solito lo fa per motivi emotivi (tra cui la noia). Non di rado chi evade da un manicomio criminale lo fa prima della scadenza della pena, affinché gli venga prolungata la permanenza dal giudice. E’ comune che si tratti di persone sole senza nessuno che si possa occupare di loro fuori dal carcere.
Che sia lì per quello il viaggiatore? Non si sa niente del rapporto che può esserci tra quel viaggiatore e l’autore di quel gesto. E il fatto che si sia fermato per leggere quella civetta non aggiunge niente a ciò che non sappiamo.
Forse è uno sceneggiatore, perennemente in cerca di soggetti e di storie che quel giorno si è trovato casualmente a passare da quella stazione per motivi che non c’entrano niente con il titolo del giornale e sta già immaginando come inserire quella cosa nel suo lavoro. Prende mentalmente appunti. Magari si immagina che l’evaso adesso stia andando a riprendere l’arma nascosta prima della fuga fallita che si è conclusa con il suo arresto. Mosso da un oscuro sentimento di vendetta verso persone e storie che ancora non conosciamo…
Dopo un lungo momento riprende a camminare verso l’uscita che sbuca sul parcheggio nella piazza della stazione.
Si ferma poco oltre la soglia.
A quel punto gli si avvicina una donna con occhiali avvolgenti e lenti fumé, osserva il trolly e tentando di non farsi notare, gli sussurra con un filo di voce: –Zenone di Elea– poi si dirige verso il distributore di sigarette. La donna finge di non trovare la tessera sanitaria. Si fruga. Ha molte tasche nel suo corto giubbetto nero. Continua a frugarsi.
Finalmente il viaggiatore si avvicina alla donna. A questo punto lei gli dice:-Hanno ammazzato…-
-Lo so.- Interrompe lui.
-Va via allora.-
-E…-
-Portalo con te. Non vogliamo saperne niente adesso. Prendi il rapido delle undici.
-Ma non ferma qui.-
-Fermerà. Va’ al marciapiede sei. All’altezza del merci. Hai cinque minuti.-
-Ma…-
-Fila o devo arrestarti.-
Non si dicono altro. L’uomo torna sui suoi passi senza mai voltarsi e sparisce velocemente dalla stazione.
[GC ::: 2008 ::: Tributo a Italo Calvino ::: Progetto web – Il demone che Consigliò Socrate]