Racconto gotico toscano estivo (quarta parte)
Tiberio ha la tendenza ad essere un po’ paraculo ed appartiene alla sottocategoria dei paraculi che tendono a nascondere la paraculaggine dietro un decisionismo estremo.
Stamani ha i nervi tesi perché non si sa mai come vanno a finire queste cose. Su questo non ha torto. Finché si tratta di favorire qualcuno nei lavoretti al cimitero oppure di prestare opera nel tempo di servizio per le imprese funebri o marmisti o robe del genere è un conto. Ma questo lavoro comincia ad essere classificabile come… “altro” dalla norma.
Tolgo la lapide in marmo e la appoggio da una parte facendo attenzione a non danneggiarla. Rimando il momento in cui verrà distrutta -non voglio farlo io- mi dico fra me e me, mentre compio il gesto. Poi prendo a tirare vigorosi colpi di mazza sul muro che ci separa dalla bara. Non mi fermo fino a quando non è crollato nella parte centrale. Sto ansimando. Era murato forte. Mattoni pieni. Cemento. Altre epoche. Finisco il lavoro ai margini con il mazzuolo e siccome è già discretamente caldo mi ritrovo sudato e con due grosse gore sotto le ascelle.
Sarebbe stato molto divertente aprire il muro e trovare il forno già vuoto -tutte le volte ci spero-. Mi chiedo come si metterebbe la faccenda. Ma la bara c’è proprio come c’è stata messa quaranta anni prima solo un po’ sfasciata dal tempo che arriva anche in uno spazio così piccolo e così chiuso e così protetto.
Non mi piacciono per niente i lavori sui forni. Preferisco la terra. La terra rende poco o niente. La terra elabora, mangia tutto. Giusto qualche osso o i denti. I vestiti sintetici e le calze di nylon delle donne sono i più resistenti.
Mentre quando apri una bara che è stata in un forno ti trovi davanti uno scheletro con i vestiti che si sono attaccati addosso, nel migliore dei casi. Succede che non sia scarnificata del tutto. In più parti la pelle diventa dura come cuoio e si attacca alle ossa, i capelli ci sono sempre. Sono molto resistenti i capelli. Tutto è di un inconfondibile marroncino.
Alziamo la bara che è mezza rotta. Faccio molta attenzione ai chiodi rugginosi che spuntano in certi punti, la mettiamo su una specie di lettiga e portiamo il tutto dentro una piccola cappella che si trova proprio a fianco della zona in cui stiamo lavorando.
Tutti tacciono.
L’ho detto che la morte è un odore. Quando si apre un forno l’odore che arriva è odore di morte ed ha un numero incredibile di sfumature, odore di chiuso e odori di putrescenze collassati su se stessi. A taluni questo odore provoca una violenta eccitazione nervosa. E’ evidente.
Come è evidente che comunque è un contatto sensoriale che ti rende incredibilmente sveglio, all’erta, vigile. Una botta di adrenalina. L’odore della morte fa sentire vivi per reazione. Dopotutto noi siamo come quegli animali che sentono l’odore della paura attraverso i resti dei propri simili. Quelli che diceva il mio amico. Dopo aver annusato bene l’odore della morte riesci a percepire interamente l’odore della vita. Si sente bene nell’odore dei fiori. Ma non quelli dei cimiteri che sono fiori morti.
Piazzata la bara sopra un vecchio tavolo dentro il capanno degli attrezzi, accanto alla fila di loculi, Tiberio chiede alle signore lì presenti se vogliono assistere alla traslazione. Evidentemente è convinto che si tratti di un gran bello spettacolo. Queste rispondono di no, anche scuotendo la testa e facendo un minimo di scena.
Sollevato il coperchio restiamo un lungo attimo in silenzio a guardare una mummia perfettamente conservata. Ad eccezione delle parti che avrebbero richiesto l’intervento di un imbalsamatore come le parti molli, gli occhi ecc. Per il resto si tratta di una mummia come quelle che ritrovano nelle piramidi e che a tutti è capitato di vedere in qualche documentario.
-Non si può fare- dice Tiberio alla piccola folla che sta trattenendo il respiro.
-Cioè?-
-E’ mummificata.-
-…
-Come mai?-
-A volte succede. Dipende dalla posizione del forno, dall’umidità e poi vai a sapere da cosa.-
-Quindi che si fa?-
-Si rimette dentro.-
Nel mentre si affaccia una delle due signore.
-Che succede?-
Ci deve aver sentito parlare.
Nell’affacciarsi allunga una sbirciatina verso la bara e guarda la defunta non parente.
-E’ mummificata signora.-
-Che vuol dire?-
-Che è diventata una mummia… non ci sono solo le ossa non la possiamo mettere in un ossario. Guardi.-
Questa volta la donna più anziana non resiste alla curiosità e si affaccia per guardare dentro la bara. Sembra una ragazzina che ha scoperto un giornaletto porno sotto il cuscino e ci porta lo sguardo prima di dire che le fa schifo.
-Oh madonna, come si diventa!- Si porta le mani alla faccia.
Questo è uno dei discorsi standard dei vecchi, corrisponde più o meno al -che schifo- dei giovincelli, solo che contiene molta più realistica preoccupazione.
Anche gli altri entrano nella stanza che si fa anche troppo affollata, ma il momento lo richiede e tutti osservano con ammirazione questo non comune esemplare di mummia.
-Che si fa?-
-Non lo so.- Appare agitato Tiberio.
Se fosse per lui si chiuderebbe tutto e si farebbe finta di niente, cosa per cui sto tifando anche io, ma è chiaro che sta facendo un favore a qualcuno e se il favore non viene portato a termine perde il punteggio accumulato per non so cosa.
-Faccio una telefonata.- dice Tiberio.
Una telefonata ci sta sempre bene.
So che sta chiamando il presidente della Cooperativa. Il presidente della cooperativa è anche, curiosamente presidente della Pubblico Volontariato e Affini e svolge il lavoro di becchino come dipendente comunale per un comune non servito dalla cooperativa. Vacci a capire qualcosa.
Non è cattivo il mega-presidente, si diverte soltanto a tenere sotto pressione gente come Tiberio che, poveraccio, ci cade continuamente nel trabocchetto di quello che ti maltratta per il tuo bene. Il solito vecchio trucco paternalistico.
Entrambi sono elettrizzati da una sorta di piccola avidità. Cosa fa di magico il denaro? Allontana i punti interrogativi. Li sostituisce con dei punti esclamativi. I soldi rendono commensurabili le vite degli umani come rendono commensurabile la merce.
Tiberio dopo aver terminato la comunicazione si rivolge a me e sembra diventato all’improvviso in vena di confidenze. Che sia il tentativo di scacciare da sopra le spalle quei due gufi appollaiati che nel frattempo sono diventati sempre più grossi e pesanti. I gufi aumentano di peso all’aumentare delle difficoltà. Adesso sono enormi devo stare attento che non mi chieda di reggergliene uno. Mi dice sotto voce. Quasi in tono confessionale…
-Sai chi è la proprietaria del forno?-
-…?-
-.. è della titolare dell’impresa di pompe funebri di Monte: “Pace e riposo”.-
Quella per cui lavorano la strana coppia qui presente: Nosferatu allegro e l’anziano.
-Ah. Deve essere ricca.
-Altroché se è ricca.
-L’ho mai vista?
-Impossibile, lei con queste cose non vuole avere niente a che fare, le fa impressione tutto nei cimiteri… tranne il soldo.
Che non ha mai impressionato nessuno. Penso io. Però dalle torto.
-Ma non è ricca per quello?
-No?
-Non solo. E’ sposata con il proprietario della Edile Monte… Il marito è un costruttore edile.
-Ehh. Dove vanno ad abitare i vivi e dove i morti. Gestiscono tutto il settore spazio abitabile in famiglia.
Mi guarda stranito. Non gli piaccio per nulla quando dico certe cose.
Meglio se parlo di soldi.
-Non capisco allora tutto questo accanimento per liberare un loculo e risparmiare due spiccioli.-
-…-
-Più ne hanno…-
-Eh già…-
Dopo un attimo di esitazione prende il telefono e chiama. Si allontana da me. Gesticola, smanacca. Mima pure. Sembra agitato. Sbuffa. Riaggancia e torna sui suoi passi.
-Cosa ti ha detto?-
-Si mette in terra!-
-Cioè si fa una buca e si seppellisce?-
-Esatto…
-…-
– …vado a prendere lo scavatore al magazzino.-
E’ visibilmente preoccupato perché manca un quarto d’ora all’apertura del cimitero ed i rischi di essere al centro dell’attenzione dei visitatori aumentano. Aggiungo che i visitatori dei cimiteri sono sempre molto curiosi per ogni movimento degli operatori necrofori. Fra l’altro sono anche molto informati in materia cimiteriale ed ottimi investigatori autodidatti.
Durante l’assenza di Tiberio mi metto a parlare con le signore che stanno aspettando l’evolversi della situazione, sembrano alla prima di uno spettacolo teatrale.
Vengo a sapere che sono parenti non della defunta ma della prima moglie del marito della defunta che era defunta in precedenza, o forse dei figli avuti con la prima moglie. Non è molto chiaro. Vengo a sapere che Em. è una forestiera. Venuta da fuori, -mi dicono un paese ligure che mi dimentico immediatamente- e che ha avuto un figlio con il marito ma questo figlio è già morto da tempo e si trova sepolto nel cimitero di un paese vicino.
Nel frattempo il cancello del cimitero si è aperto da solo e adesso lo spettacolo è aperto al pubblico.
Sono appena le nove di mattina ed è già caldo. Il sole picchia sul serio adesso. Mi metto gli occhiali da sole con le mie lenti polarizzate.
Mi piacciono gli occhiali con le lenti polarizzate. Uso solo quelli perché a differenza dei normali occhiali con lenti oscurate, non si limitano a diminuire la quantità di luce che arriva all’occhio, ma tolgono la luce superflua, il riverbero. Rendono nitida la visione. Come dovrebbe essere. Senza la luce che non essendo polarizzata su un solo piano ma su tutti i piani rende ovattata e sfocata l’immagine. L’effetto è quello delle giornate di sole nel nord Europa. Che sono rare quanto belle. Si vede tutto in maniera molto definita, precisa, i contorni netti; con le lenti polarizzate.
[Continua…]
[GC :::2008:::]