Racconto gotico toscano estivo (quinta e ultima parte).
Arriva adesso un uomo anziano, che cammina con passo deciso e sicuro. Nonostante l’età avanzata pare davvero in gran forma. Si avvicina alle due donne presenti fin dall’inizio della storia.
-Salve.-
-Buongiorno.-
-Che è stato deciso di fare?- Mi chiede a bruciapelo.
-Per quello che ho capito si parla di interrare… cioè fare una buca e metterla la mumm… cioè la salma lì…- e indico il pratino della parte nuova nella quale nel frattempo mi sono spostato insieme alle due signore. Gli operai delle pompe funebri sono rimasti nella parte vecchia situata a pochi metri di distanza dove si arriva passando per una zona di loculi che deve essere stata il primo ampliamento del cimitero sulla struttura originaria.
-Lei è parente?- chiedo io.
-No, non proprio.-
Non è loquace, due parole le scambia e arrivo a capire, senza durare eccessiva fatica, che si tratta di un altro esponente della corrente che fa capo alla titolare delle pompe funebri e quindi favorevole o almeno non contrario al partito del -liberare il posto- che dovrebbe essere occupato dall’anziana zia recentemente trapassata.
Mi racconta un altro pezzo della vita della defunta. Era molto bella mi dice. Ma lui la conosceva poco. Poi aggiunge degli episodi confusi. Brandelli di storie troppo contaminati di ciò che non sa, non ricorda o non vuole raccontare.
Questa persona deve aver lasciato una scia dietro di sé piuttosto densa. Una scia che ancora non si è esaurita, penso tra me e me.
Nel frattempo ritorna Tiberio con lo scavatore meccanico sopra il camion. Lo aiuto. Poi lui monta sopra e lo scende. Io non guido lo scavatore. Non mi è stato… imparato. Questo è una garanzia della non necessità della mia persona sul posto di lavoro; cioè un’opzione aperta sulla mia licenziabilità.
Non mi rinnoveranno il contratto alla scadenza. Questo è sicuro. Ho già annusato l’aria che tira. Qui cercano persone che non siano strutturalmente in grado di rompere i coglioni. Non basta che non lo facciano. La volontà non basta. Non devono essere in grado di farlo. Non devono essere capaci di formulare un pensiero o una frase di senso compiuto. Non basta che non lo facciano. Questo tipo di inettitudine è diventata una virtù nel mondo del lavoro. Avevo anche pensato di scrivere un curriculum dove certificavo, la mia totale incapacità di formulare giudizi e pensieri e un ingombrante semianalfabetismo. Avrei trovato più occupazioni di quanto sia in grado di trovarne col mio.
Tiberio sopra lo scavatore è in qualche sorta di trance uomo-macchina. Scava la buca, una palata dietro l’altra. Profondissima. A lui piace giocare con lo scavatore. Ci va matto.
Credo che la tendenza a scavare buche oltremodo profonde abbia qualcosa a che vedere con i sensi di colpa e con la voglia di seppellire parti intere della propria coscienza o del proprio passato, sotto terra. Sarà il caldo opprimente che mi propone questo accostamento, ma lo trovo oltremodo pertinente alla situazione.
Finito il lavoro di escavazione prendiamo la bara, o quel che ne rimane, con la defunta piazzata dentro alla meglio e la poniamo sul fondo in tutta fretta.
Tiberio monta sullo scavatore e inizia a riempire la voragine che ha appena scavato.
Siamo già tutti sudati. Io mi sono unito al gruppo degli spettatori che si trova all’ombra del passaggio fra la zona nuova e quella vecchia. Non tira un alito di vento e ogni movimento del corpo porta un’ondata di sudore sulla pelle.
Penso con piacere alla doccia che farò appena arrivato a casa. Per il momento mi sposto all’ombra e osservo Tiberio che finisce in fretta il lavoro, mentre una anziana signora gli passa davanti.
Quando è quasi al termine mi dirigo al furgone. Prendo la croce da piazzare sul tumulo e passando scorgo proprio accanto al tumulo di terra appena mossa l’osso della mascella della defunta. Certamente caduto durante il trasporto dallo sgabuzzino. Interpreto questo segno come un invito all’umano gesto del ridere. Mi infilo i guanti, prendo la mascella e la piazzo da una parte dove non puo’ essere vista. Poi piazzo la croce nella terra smossa senza fatica.
Tiberio porta lo scavatore sul cassone del furgone. Rimettiamo le pedane al loro posto e dopo averle legate strette sulla parte alta della balaustra che si trova sopra la cabina del camion, chiudiamo le sponde. Lui entra in cabina e sparisce dal cimitero. Senza dire niente.
Entra un anziano signore un po’ stempiato, con gli occhiali e dal passo molto più incerto dell’ultimo arrivato.
-C’è stato un funerale?… Così presto?
-No, dico io, si tratta di una… “risistemazione”.-
Un neologismo tecnico di solito blocca la curiosità. L’interlocutore dovrebbe ammettere che non sa cosa significa risistemazione. Però risistemazione è anche una parola non sconosciuta del tutto nel proprio vocabolario per cui un qualche significato soddisfacente può essere inferito.
Sembra aver funzionato; il signore con gli occhiali mi fa un cenno di assenso e prosegue.
Mi sistemo di nuovo all’ombra, respiro lentamente e rimango immobile come i messicani durante la siesta. Faccio un paio di profondi respiri.
Ecco che la siesta viene interrotta da una signora molto molto anziana che arriva in tutta fretta e dopo aver lanciato uno sguardo più alla mia divisa che a me chiede senza convenevoli: -Dove è?-
Io ricambio l’assenza di convenevoli indicando il tumulo di terra smossa. Tanto è evidente a chiunque che la fu Em. è la protagonista indiscussa della mattina e della scena.
La signora si porta le mani alla bocca come se avesse appena assistito ad un omicidio e poi scuote la testa più volte con gesto plateale da destra a sinistra e viceversa e infine pronuncia una specie di sentenza:- Poveri noi, se ne vedranno delle belle…-
Poi riprendendo a scuotere il capo si dirige verso l’uscita senza nessun cenno di saluto.
Ci mancava la profezia. In che senso delle belle? Mi chiedo. Insomma almeno non è stato ucciso nessuno. Tanto per rimanere sul pratico. No che movimentare un cadavere in questo modo sia ragionevole, ma la faccenda ha assunto una atmosfera decisamente grottesca, quindi la battuta della vecchia mi si colloca in un a interzona tra il surrealismo e la commedia all’italiana anni settanta. Resto fermo immobile all’ombra attendendo sviluppi fiducioso.
Arrivano anche un altro signore sulla sessantina con una camicia beige chiara e mi pone subito la stessa domanda dell’anziana di prima e poi arriva una donna sulla trentina non molto alta e decisamente carina. Mora capelli corti a caschetto, con un vestitino leggero e delle belle tette abbronzate e sode che prendono aria su una parte considerevole della loro superficie tramite lo scollo generoso. Non è certo la visitatrice standard di cimiteri.
Ci presentiamo in maniera piuttosto informale, visto che in quel momento sono l’unico operatore necroforo presente e tutti mi danno relazione. Così ci presentiamo. Lei è nientemeno che la proprietaria del loculo in questione, nonché proprietaria della “Pace e Riposo”, nonché causa diretta di tutto questi movimenti cimiteriali mattutini. E non è male per niente. Nel senso fisico del termine.
Si avvicina a quelli che sono i suoi dipendenti e parla a voce bassa con loro che si dirigono verso l’uscita.
-Ci vediamo fra poco.-
-Va bene.-
Che fretta c’è.
Posso solo registrare un miglioramento nella composizione della platea. Sono quelle cose che si presentano come oggettive.
Lei è piena di fretta. Ci salutiamo. Poi le suona il cellulare mentre si sta allontanando. Dice poche parole. Più che altro ascolta. Da l’idea di essere molto preoccupata. Poi è troppo lontana. Mi sto per riposizionare nel mio posto all’ombra quando la vedo torna indietro verso di me.
-Dove è stata messa?-
-Lì in terra.-
-…non si può fare va tolta di lì.-
-Aspetta che torni Tiberio e parla con lui… E’ questione di qualche minuto. Io non posso prendere decisioni-
Mi viene a mente cosa aveva detto di lei uno degli operai. -Non ha mai toccato un morto.- L’aveva detto come se toccare i morti conferisse un qualche speciale prestigio.
In effetti mi sembra una più interessata alle cose dei vivi. Marito, figli, vacanze. Costumino nuovo per l’estate al mare. Mi immaginavo. Deve avere un salotto sempre pulito e una casa ordinata. Tende bianche. Utilitaria da cambiare ogni quattro anni, grosso fuoristrada del marito. Televisore ultimo modello. Visite frequenti dal commercialista…
Il signore sui sessanta mi rivolge di nuovo la parola… e si mette a parlare con me di nuovo della defunta. Arrivo a capire che Em. aveva espresso la volontà di non andare in terra… così almeno una parte dei parenti, non di lei, ma del marito o della prima moglie è pronto a sostenere che lei in terra proprio non ci voleva andare. Mentre un’altra parte dei non parenti…
Più che passa il tempo più mi sento distaccato da questi fatti. E’ una strana sensazione. E’ il caldo; l’ossigeno al cervello arriva razionato.
Comunque sia i presenti vengono a parlare con me ad uno ad uno. A turno dico a tutti qualche banalità. -Mah, sì, s’aggiusta tutto… (tutto cosa?)- Magari trasmetto l’impressione di avere i nervi saldi solo perché sono stordito dalla temperatura. Pare che si aspettino da me che ad un certo momento tiri fuori dal cappello il coniglio rosa con in bocca la pergamena dove sta scritta la soluzione di tutto l’inghippo. Che, per inciso, nemmeno ho capito bene. Non è che mi dispiaccia questo inaspettato ruolo. Mi sento stranamente al centro dell’attenzione e devo fare solo quello che non ha fretta di attendere. Cosa che mi riesce bene perché sto aspettando la fine dell’orario di lavoro e non vedo l’ora di infilare sotto la doccia. Il segreto è tutto lì.
Dopo aver intercettato vari parlottii, anche discordanti tra loro, comincio ad avere più chiari i contorni della faccenda. C’è un moto iniziale di tirchieria che porta una parte dei personaggi che gravitano intorno a questa donna morta quaranta anni prima a chiedere di toglierla dal forno per metterla in un meno ingombrante ossario e un partito che è pronto a tutto e perché la defunta rimanga al posto in cui attualmente non si trova più.
Non capisco a che partito appartiene il signore con cui sto parlando. Anche lui mi dice che la ragazza veniva da fuori e che aveva avuto un figlio con il marito, ma che gli unici in vita sono i parenti della prima moglie, che non ho capito bene se avesse avuto figli di primo letto…
Torna Tiberio questa volta ha l’andatura confusa e l’espressione deconcentrata di chi sta accusando la troppa pressione psico-metereologica. Si avvicina alla tipa mora e si mettono a parlare. Si allontanano un po’ è io faccio altrettanto, giusto perché capiscano che di quello che hanno da dirsi non mi interessa proprio niente.
L’idea di fare una cosa lontano da occhi indiscreti è definitivamente saltata. Ogni tanto passa qualche visitatore, fa una espressione interrogativa e prosegue.
Arrivano anche altri non-parenti della defunta. Una processione alla spicciolata. Non so a che partito appartengono e se appartengono ad un partito solo oppure a fazioni di partito o sono solo stati richiamati per qualche passaparola sotterraneo che nel frattempo si è certamente messo in moto.
C’è più gente adesso che ad un funerale vero e proprio e tutti i visitatori estranei alla faccenda non capiscono come sia possibile che non si tratti di un funerale. E lo chiedono.
-C’è un funerale?-
No non è un funerale è una “risistemazione” continuo a precisare io.
Tiberio è nel panico, quando varca il cancello al mega-presidente. Il magister. Il gran maestro becchino. Uomo di comprovata abilità e astuzia. Il presidente della cooperativa Icarus in persona.
E’ la prima volta che lo vedo arrivare sul luogo di lavoro. Di solito mi capita in ufficio o nella sede della Pubblico Volontariato Soccorso e Affini.
Porta grossi occhiali da sole e rivolgendosi a noi chiede con tono deciso.
-Dove è stata messa?-
Io indico il cumulo di terra smossa.
Tiberio tace.
-Va tolta! Subito!.- La titolare delle pompe funebri scuote il suo grazioso caschetto con cenno di assenso.
-Mah io..- Tiberio assume un tono di giustificazione che a quanto pare non è richiesto da nessuno. Lo si capisce dalla smorfia del Presidente.
-Va tolta subito.-
-Vado a prendere lo scavatore!-
-Non importa.- Il mega-presidente si toglie la camicia e mostra un fisico abbronzato di una certa stazza, ma con una pancia importante da appassionato mangiatore.
Prende la pala e inizia a scavare. Fa un caldo bestia. Mi chiedo come faccia.
Certo potrei dirgli che forse è veramente meglio se viene usato lo scavatore piuttosto che la pala. Ma se lo dicessi tradirei il mio diretto superiore nonché collega di lavoro. Sarebbe scorretto. La problematica della profondità, in ogni caso, non tarderà ad emergere.
Sta scavando di buona lena il presidente, ha già fatto una discreta buca nella terra fine smossa quando si ferma pianta la pala ai suoi piedi alza la testa e chiede fissando Tiberio negli occhi:
-Ma dove cazzo l’hai messa?-
-…-
-Che avevi paura scappasse?.-
Mi trattengo a stento dal ridere perché la faccia di Tiberio è enormemente tesa e nervosa. E poi non voglio sciupare l’incantesimo.
-Vai a prendere lo scavatore!-
Tiberio parte sparato in direzione dell’uscita.
Il presidente si sposta all’ombra.
La titolare delle pompe funebri gli dice -ho già sistemato tutto.-
-…-
-Tutto cosa?-
Poi voltandosi verso di me: -Ho comprato due forni!-
-Due?-
Il fatto che per un morto occorrano due forni mi sembra un eccesso di consumismo post mortem, ma non lo dico.
-Sì due, non si sa mai…-
Ci penso un po’, ma non è che sappia darmi una spiegazione troppo razionale. E’ evidente che si tratta di una forma di compensazione. Da zero si passa a due perché è stato saltato l’uno. Così mentalmente si fa una media aritmetica e salta fuori l’uno mancante.
Boh, i soldi non le mancano.
-Ci vuole una bara…- dice il presidente becchino.
-Sta arrivando.-
In effetti nemmeno le bare le mancano alla tipina abbronzata col caschetto.
I due operai in camicia bianca dentro il carro funebre che è appena entrato sembrano i blues brothers in versione nostrale. Ci parcheggiano davanti e scendono una bara nuova di zecca.
Entra anche Tiberio con il furgone e lo scavatore sopra. Gli vado incontro con aria efficiente e operativa per non sminuire la gravità del momento e lo aiuto a ripetere l’operazione che serve a far scendere lo scavatore. Sistemiamo gli scivoli. E’ la terza volta che movimentiamo questi scivoli in alluminio e ne servirà un’altra prima della fine della giornata.
La terra che ancora mancava per arrivare alla defunta viene rimossa dalla pala meccanica e nel frattempo il presidente accanto a me scuote la testa e borbotta: -…guarda che buca …guarda che buca.- Sbuffa come una balena. Si è rimesso la camicia celeste ed è maculato di zone di blu scuro dovute alle chiazze di sudore.
Togliamo quello che rimane della terra smossa con le pale e tiriamo fuori quello che resta della bara e del corpo senza difficoltà. Le pareti laterali della bara sono disfatte e anche il corpo non è così integro come in partenza, ma c’è tutto, anche se un po’ alla rinfusa.
Quello che rimane della vecchia bara e della mummia scomposta e terrosa vine piazzato dentro la nuova bara in un baleno. Io senza farmi notare infilo dentro anche la mascella che nel frattempo avevo nascosto dietro un vaso.
La bara viene chiusa, sistemata nel loculo originario. Faccio la calce e procedo a tirar su un muro simile a quello che qualche ora prima ho rotto a mazzate, usando anche in buona parte gli stessi mattoni. Rimetto il marmo al proprio posto e avvito con cura i sostenitori in ferro che lo tengono accosto alla parete.
Em. è tornata al suo posto un po’ scomposta, ma dentro una bara nuova di zecca.
Credo che nessuno la sfratterà mai di lì.
La folla se ne va. Tutti si salutano come se avessero passato una serata a teatro. Ormai ora di pranzo. E’ così caldo che il cimitero è deserto da un pezzo, fatta eccezione per il pubblico della traslazione. Abbiamo sforato l’orario di lavoro di mezz’ora. Sono sudato.
Gocce di sudore sono calate dalla fronte sulle lenti degli occhiali, li tolgo per pulirli con cura usando un fazzoletto di carta e poi li infilo di nuovo. C’è una luce bellissima ed il cielo è stupendo.
[GC 2008-20013]