Racconto gotico toscano estivo (terza parte).
Aspetto da alcuni minuti. Ho parcheggiato il furgone davanti al cimitero di Filiana. E’ presto per l’apertura. Ascolto radio 3 e mi faccio cullare dalle voci pastose dei conduttori di Radio 3. Quando ascolti Radio 3 ti sembra di vivere in un posto più serio di quello in cui realmente vivi. Gli altri cimiteri da aprire sono quelli centrali dei due comuni. Ce ne sono tre. I piccoli, quelli di campagna, restano sempre aperti. Questo fa eccezione perché si apre e si chiude grazie ad un meccanismo automatico all’orario stabilito. E’ tecnologicamente avanzato.
Arriva Tiberio, che deve aver effettuato il giro delle aperture a tempo di record. Tiberio è alto, ha una camminata infantile e dondolona; un’ anima in pena coi capelli ingelatinati e denti bianchissimi si avvicina e mi dice di entrare dentro col furgone perché il cimitero deve rimanere ancora chiuso. Almeno fino ad orario di apertura… Guarda a destra e sinistra mentre me lo dice. Poi si piazza accanto all’interruttore.
Faccio come dice lui senza fiatare. E’ evidente che ha qualche stranezza per le mani e non vuole visitatori tra i piedi per il maggior tempo possibile.
Arriva anche il furgone dell’agenzia pompe funebri di Monte.
Gli operai sono un anziano signore, che dovrebbe essere in pensione e un ragazzo tondo e calvo che assomiglierebbe a Nosferatu se non fosse che è sempre sorridente e di buon umore.
Non mi ricordo i nomi di entrambi.
-Buon giorno-
-Buon giorno- e non ci diciamo altro.
Entriamo tutti dentro, e chiudiamo il cancello dietro di noi.
-Dobbiamo fare una riduzione nella parte vecchia del cimitero.- La parte vecchia del cimitero di Filiana non ha niente di antico. E’ vecchia e basta. Solo in una zona più piccola dentro la parte vecchia, ci sono sepolture permanenti che possono risalire agli anni ’30. Non ho mai fatto caso se ce ne siano di precedenti.
Ora. Io capisco benissimo che Tiberio non ami parlare con me di sotterfugi lavorativi e sono sicuro che avrebbe preferito ci fosse stato chiunque altro al mio posto in turno stamattina. Strano che non mi abbia chiamato ieri per cambiare turno e mettere al mattino uno dei suoi scagnozzi fiduciari. Probabilmente non l’ha fatto perché ha saputo troppo tardi questa storia e temeva che mi incazzassi. Non saprei.
I primi mesi era abbastanza normale che mi chiamasse per cambiare orario. Poi ho fatto notare che la cosa mi infastidiva per il semplice motivo che vorrei sapere per tutta la settimana a che ora lavoro. Salvo casi di comprovata necessità (dissi proprio così). Gli sto sulle palle per questo. Non solo, ma anche per questo.
Ci spostiamo nella parte vecchia del cimitero. Due becchini e due operai delle pompe funebri. Luce già alta. Fra poco sarà un caldo assurdo come negli ultimi dieci giorni.
-Il forno è quello-
Indica la lapide di una donna morta più di quaranta anni fa.
Leggo le date sulla lapide. Aveva ventisette anni quando è morta. Data di nascita e di morte. Ventisette anni.
–Em. xx . A imperituro ricordo. Il marito.- La foto in bianco e nero. Si capisce dalla foto che era molto giovane. Carina pure. La foto la ritrae sorridente con un’espressione ironica e la suggestione fa scorgere uno spunto di irriverenza, di energica follia giovanile… contemporanea. Ironica. Stranamente contemporanea forse.
Conosco già quel forno e quell’immagine per un motivo molto pratico. Quando si fa il giro dei cimiteri si deve controllare e sostituire le lampadine bruciate (si gira sempre con qualche lampadina in tasca) . Lampadina di quella lapide appare spenta, poi la tocchi e si accende e per qualche giorno va avanti. Si tratta di un contatto ovviamente. Fatto sta che non l’ho mai cambiata. Basta passare di lì e toccarla e si riaccende.
Per questo motivo avevo notato anche la lapide. E’ ben lavorata. Ci sono delle decorazioni floreali in stile liberty di pregevole fattura incise sul marmo. Chi l’ha sepolta ha investito nella cura della immagine post mortem di quella donna una certa somma di denaro e soprattutto ha fatto delle scelte estetiche. Cosa non scontata.
La fotografia è in bianco e nero ben conservato. La posa un po’ da attrice d’altri tempi. -Mi immagino come abbiano scelto quella foto.- Il marito. Mi sembra di vederne la sagoma. A tratti mi immagino frammenti della scena. Qui sorride. E’ allegra. Mi immagino che intorno gli abbiano detto di sì, giusto. Qui sorride… lei vorrebbe essere ricordata così. Solo così. E’ allegra.
Esistono tre categorie di lapidi nei cimiteri. Quelle più antiche in cui non era ancora presente l’immagine fotografica. Esse non restituiscono niente dell’immagine fisica di chi è stato sepolto. Alti o bassi, belli o brutti, allegri o musoni, ma solo per l’intervallo di una vita. Per certi versi sono le lapidi più democratiche e oneste.
Per migliaia di anni le lapidi si sono assomigliate tutte e ad un tratto con la nascita della fotografia sono cambiate in maniera sostanziale.
Ci sono quelle con le foto in bianco e nero che si presentano come un alone della memoria. E infine quelle con le foto a colori. Nei vari stadi di evoluzione.
Se prendiamo una antica lapide abbandonata può suscitare ancora nel viaggiatore che passa e la vede una qualche emozione, una curiosità, un’impressione emotiva. Sembra custodire un silenzio e un segreto.
Mentre le lapidi che mostrano una immagine a colori hanno continuamente bisogno di qualcuno che le guardi. Sembrano richiedere una richiesta di attenzione permanente. Si avvicinano troppo alle nostre realistiche immagini quotidiane.
Una lapide abbandonata con una foto a colori suscita tristezza, mentre una senza foto alcuna suscita mistero; la tristezza di qualcosa che è stato pensato per appartenere al mondo dei vivi e non riesce completamente a sprofondare nella natura. Essa galleggia in un limbo estetico e il mondo che desiderò la durata di quell’immagine nel tempo è probabilmente scomparso prima di essa. Lasciandola lì a ingiallire a monito che il ricordo non sconfigge la nostalgia.
Guardando un documentario in TV la settimana scorsa ho scoperto che gli ebrei hanno una filosofia dei seppellimenti piuttosto diversa dalla nostra; lasciano i loro cimiteri in una sorta di composta e misurata decadenza. Che non è proprio decadenza ma uno sprofondamento degli elementi naturali.
Apprezzabile.
Un’altra cosa su cui apprezzo la tradizione ebraica è quella di lasciare in pace i defunti e le loro spoglie mortali. Gli ebrei hanno la sana abitudine di non andare a rompere i coglioni ai morti. Forse sulle ragioni per cui esercitano questa premura non saremmo del tutto daccordo. Ma tant’è.
Intendiamoci non credo che l’estinto possa in alcun modo soffrire degli spostamenti. Almeno razionalmente la vedo così. Ma nel dubbio io li lascerei in pace e poi volete mettere la comodità di fare il becchino in un cimitero ebraico.
Invece da noi in Italia, vuoi per l’idea di trasformare anche la morte in qualcosa di spettacoloso, vuoi per questioni più o meno burocratiche, ma soprattutto di pecunia, si assiste ad un continuo metti e leva. Uno sviaggìo ininterrotto di salme, ossa, ceneri, resti mortali.
Volete mettere un’antica estetica gotica con la sua solennità di fronte ai prati-aiuola che devono assomigliare agli spartitraffici o alle tombe che paiono scaffali degli autogrill. Mi sa che non è lontano il giorno in cui sulla tomba verrà piazzato uno schermo e un video e passando davanti ad una tomba si potrà pigiare un pulsante e vedere le immagini video dei defunti, sentire la loro voce. Rivedere alcune delle loro esperienze.
Allora vedremo i vivi girare come zombi nei cimiteri completamente rapiti da quegli schermi-finestra che danno su un tempo andato.
Anche se quel giorno gli esseri umani non fossero ancora in grado di vivere pienamente un’esistenza avrebbero realizzato il sogno di riuscire a riprodurne i frammenti della propria immagine all’infinito.
O forse quel giorno non ci sarà mai perché sarà anticipato dalla scomparsa del luogo fisico. Niente più camposanti. Resteranno solo cimiteri virtuali. Non so. Credo che almeno nello stivale la seconda ipotesi sia resa improbabile dal giro di soldi che gira intorno all’argomento.
Lascio da parte per un attimo le mie riflessioni e torno concentrarmi sul lavoro. Non capisco questo dispiegarsi di forze per una riduzione.
Ricordo piuttosto bene il momento in cui ho fatto per la prima volta una riduzione. Prima di venire assunto qui non sapevo nemmeno cosa fosse. Si tratta di aprire una tomba prendere le ossa del defunto, che si spera essere del tutto scarnificate e metterle in un contenitore grande più o meno come due scatole da scarpe. Per poi deporre il nuovo recipiente in un ossario, in modo da liberare il posto.
-Perché tutto questo mistero per una riduzione?-
Lo chiedo a Tiberio che sulle prime si mostra contrariato di questa mia domanda. Non sopporta la gente che è in grado di porre delle domande. Poi capisce anche lui che in effetti la domanda è abbastanza ovvia. Dovrà affrontarla prima o poi.
-Dobbiamo liberare il posto perché stasera c’è un funerale e il morto, anzi la morta, deve andare lì… – E mi indica la lapide della signora Em. che ci osserva beffarda come sempre da un degherrotipo ovalizzato di quaranta e passa anni fa.
Poi, visto che la risposta non è esauriente e che sicuramente porterebbe uno strascico di ulteriori domande decide di vuotare il sacco senza bisogno che io aggiunga altro.
-…non si deve sapere, non abbiamo l’autorizzazione. Quindi è bene che non ci veda nessuno.-
-…
-…niente di che, ma precauzione. E’ una questione di tempi e burocrazia. Il funerale c’è stasera e…
-e…?
-Niente la parente della defunta si è accorta di essere proprietaria di un loculo… occupato da questa qui e indica la solita faccia beffarda nell’ovale.
-Ah…
-… non avremmo fatto in tempo coi permessi. Solo questo.
Mi guarda come dire: -siamo complici vero.-
Dentro di me penso -complici un cazzo, io sono un dipendente e faccio quello che mi dici come superiore, ma questa è una stronzata.-
-…
-Va bene.-
So che per questi giochetti c’è il rischio legge, ma questi giochetti sono sono abbastanza comuni in quanto i morti non tendono alla loquacità e qualsiasi aggiustamento è di solito ben taciuto. Poi in generale non è che succedano grosse cose. Praticità. Niente di più.
-Chi è la proprietaria del…-
Arriva una telefonata sul cellulare di Tiberio che gli impedisce di rispondermi. Mi lancia un’occhiata di traverso e si dirige spedito verso l’entrata senza dire niente.
Torna seguito da due signore una più anziana e una di mezza età. Mi sorpassa col cellulare all’orecchio e le due donne lo seguono con passo lento.
Le saluto e chiedo a loro se sono parenti. Di solito a questi rituali macabri partecipano i parenti.
-No… non siamo parenti ma… cioè lei non ha parenti.- E indicano la foto in bianco e nero di Em.
Cosa significa lei non ha parenti? Desisto dall’indagare, mi sembra di aver capito che oggi con le domande bisogna procedere con parsimonia.
-Iniziamo-
Prendo la chiave per togliere i buloni e liberare la lapide.
-Anche io da morto voglio andare in un forno…- è l’operaio pelato che ha parlato.
Il più anziano gli risponde: -Di sicuro…- poi rivolgendosi a noi come ad un pubblico: -…lui ci si fa mettere il televisore, sky, internet. Tutto.-
Ridiamo per la sagace puntualizzazione.
Stanno tutti in semicerchio a guardare me che tolgo i buloni. Mi sento in diretta.
Appena tolto la lapide in marmo la guardo non senza una certa platealità e come un attore di una commedia dell’arte scandisco la frase:- E’ un peccato che queste lapidi più.. antiche.. vadano perse, sono quasi opere d’arte.-
In effetti la lapide in questione è di pregevole fattura. Anche se questa non è la norma, di solito pure le lapidi vecchie seguono niente altro che vecchi standard. Sono vecchie ma convenzionali.
Tiberio mi guarda con aria contrita e con stampata in faccia la scritta: -che cazzo dici?-; si lascia trasparire un’espressione di disgusto. Gli altri tacciono. Volevo vedere come reagivano. Tutto qui. E ognuno ha reagito secondo il profilo del proprio personaggio.
[Continua…]
[GC:::2008:::]