Racconto gotico toscano estivo (seconda parte)

Theda_Bara

Racconto gotico toscano estivo (seconda parte)
Lavoro qui da nove mesi. Ogni mattina o pomeriggio, a seconda del turno, ci troviamo in questa stanza bianca con tavolo e sedie ikea e leggiamo l’ordine di servizio prima di partire per l’apertura dei cimiteri. Seppellimenti, traslazioni, qualche controllo di eventuali manomissioni -infrequenti per la verità riti satanici e similia- eventuali riempimenti in caso di cedimento del terreno -questi frequenti-. Il più delle volte si tratta di sistemare il prato in camposanti di campagna. Potatura di qualche siepe. Sostituzione di lampadine bruciate. Aggiungere un po’ di terra qua e là per colmare seppellimenti recenti. Questa operazione si rende necessaria dopo periodi piovosi prolungati, quando la terra che ricopre la sepoltura si compatta e diminuisce anche di un venti per cento del volume iniziale.

Quindi per prima cosa leggiamo gli ordini di servizio spediti via fax e attaccati con uno spillo alla bacheca in sughero nella stanza d’ingresso. Quella dove si trova la capa in molta carne e ossa e di conseguenza non possiamo fare a meno di essere supervisionati da lei ogni mattina. Se dietro di lei non c’è niente che ci riguardi (e lei ci osserva mentre noi osserviamo dietro di lei) allora significa che non ci sono funerali. Quando non c’è nessun funerale il nostro lavoro si riassume nella parola: manutenzione.
Se parlate di me con qualche collega quello vi dirà che non sono molto zelante. Per i miei colleghi quello che io ho espresso col termine “zelante” equivale a comportarsi come se ci si fosse fatti un clistere di caffeina nel tentativo di fronteggiare una acuta crisi ansiosa dentro una cornice da sindrome bipolare. L’atteggiamento che deriva da queste premesse per la maggior parte dei miei colleghi equivale ad un livello ottimale di efficenza. Invece io sono fra quelli convinti che un lavoro si tratta di farlo meglio possibile e basta, capisci? Non ce n’è proprio bisogno di interpretare la parte dei super-qualcosa e calarsi nel ruolo come super deficienti. Poi pensatela come volete… ma almeno si dovrebbe essere tutti d’accordo che lo zelo e il lavoro di becchino non sono un accostamento di buon gusto. Poi dico. Cimiteri di campagna. Cambiare lampadine bruciate. Sistemare prati, aiuole e potatura di qualche siepe e piccola manutenzione ordinaria. Si può farlo senza particolari superpoteri.

La nota dolente, e ineludibile, sono i funerali. Vero fiore all’occhiello della cooperativa, peraltro. Nei passaggi di stagione si concentra la maggior frequenza dei funerali -i becchini esperti confermano-. Quando c’è il passaggio da una stagione ad un’altra aumentano coloro che passano dalla vita alla morte. Per dire come la natura è ciclica e misteriosa, precisa ed armonica. Non sbaglia un colpo la natura. Fa i cambi di stagione come noi da vivi facciamo con gli armadi. Per questo ci sta sulle palle la natura -non di rado ci lascia piuttosto risentiti, anche se è difficile ammetterlo-, noi siamo pro eternità, lei contro.

Seppellire è un lavoro faticoso perché qui si fa sempre all’antica, con pala e attrezzi manuali e sudore. Lo scavatore meccanico viene usato solo per fare la buca.
Ma una volta giunto il pubblico sul luogo della tumulazione, la cooperativa Icarus, signore e signori, è orgogliosa di presentarvi un lavoro impeccabile sia dal punto di vista tecnico che scenografico.
Una volta calata la bara e tolte le funi si esegue il mistico rituale del riempimento a mano -una volta riservato ai parenti-. Belle sudate, ma di questo non mi lamento. L’idea che qualcuno venga seppellito da una macchina non mi piace. Non mi piace e basta. Poi meglio spalare terra che stare rinchiusi qua dentro a vedere questi programmi di merda. Penso.
Le volontarie non commentano quello che vedono, ma seguono con attenzione. Aumenta volume e intensità delle risate fuori campo. Fine di una scenetta. Una delle spettatrici, quella di poco più alta, si toglie il giubbotto ad alta visibilità, lo depone su una sedia e prende nella direzione porta del gabinetto. La sua amica non batte ciglio; resta con lo sguardo incollato al video.
Noto che non è male attrezzata la volontaria che ha diminuito il livello della sua visibilità togliendosi giubbotto catarifrangente per accingersi ad espletare umana necessità normalmente a bassa visibilità. Le due spettatrici, a parte l’indubbio vantaggio di essere tridimensionali sono decisamente meglio di quei due pezzi di catrame che recitano in TV. Lo sarebbero anche diminuendo il numero delle loro dimensioni o aumentando quello dei catrami.
Che le guardano a fare?
La porta del bagno si chiude. Mi strofino gli occhi e sbadiglio.

Si può avere a che fare con immagini macabre in questo lavoro. Per forza. Niente in confronto alle cerimonie funebri. La liturgia cattolica mi disturba. Non ci posso fare niente. Lavoro qui da poco, e sono riuscito a fare l’abitudine a quasi tutto: teschi, ossa, malleoli, tibie e peroni -tibie e peroni si dicono sempre insieme-. Ci si abitua alla trasformazione del corpo in qualcosa di orribile alla vista, all’olfatto, al tatto… Anche all’odore di fiori recisi tendenti alla putrescenza che impesta i cimiteri in estate.
L’ipocrisia burocratica dei salmi funebri proprio non la mando giù bene. Rimane appiccicata addosso.

Da quando faccio il becchino mi trovo a fare i conti pure con la sensazione che i morti in qualche modo percepiscano tutto quello che succede intorno a loro. E’ assurdo lo so, ma mi sono convinto che, in maniera differente dai vivi, lo percepiscono. Non so come è che ho iniziato a prendere in considerazione questa cosa.
Avverto più la sensazione del percepire che il soggetto del percepire. Non mi riferisco di sicuro al corpo del morto che è appunto un corpo morto. Proteine per ovvi motivi in decomposizione. Ma a qualche tipo di coscienza o di processo cosciente o… qualche residuo di coscienza curiosa vagante. Forse sto diventando superstizioso… o new age. O tutte e due le cose insieme.
Non tutti i giorni provo la stessa sensazione. Dipende dalle condizioni del tempo e dall’umore che mi porto dietro e da chissà quali altre cose. Il che avvalorerebbe l’ipotesi che si trattasse solo di suggestione. Ma secondo voi i credenti ci credono tutti i giorni allo stesso modo nella resurrezione di Cristo? Non penso proprio.

Pur ammettendo, per assurdo, che i morti, o ciò che lasciano come traccia rimanga in ascolto ,e si accorgano di tutto quello che avviene intorno a loro, va riconosciuta la grande pazienza con cui reagiscono alle performances dei vivi. La mia teoria è che non mettano mai bocca sulle cerimonie solo perché molto educati e magari si limitano a qualche scherzo. E’ anche logico che se il trapassato lascia nell’atto di trapassare la vanità in questo mondo materiale, allora le faccende dei vivi debbano apparire oltremodo comiche e spassose da un eventuale punto di vista ultraterreno.

Per ingannare il tempo ed esercitare la fantasia mi capita di pensare che siamo noi i veri sacerdoti. –Sì, e mi immagino vestiti con abiti cerimoniali precolombiani- Sì noi! Gli operatori necrofori della coperativa Icarus assunti per causa e merito di una esternalizzazione di due comuni decisi ad abbattere i costi gestionali dei servizi cimiteriali. Noi vestiti come i Maya. Eccoci: sacerdoti occulti senza divisa da sacerdoti (per questo i vestiti precolombiani). Con travestimento composto da normali abiti da lavoro. Una copertura senza dubbio. Senza il nostro sudore profuso mentre solleviamo terra con le pale e gettiamo terra nella fossa, il trapasso non sarebbe onorato a sufficienza. -Oh, no.- E’ tutto merito nostro. Andrebbe tutto in malora altrimenti. I vivi andrebbero incontro a nefaste conseguenze. Su questo ne converrebbero anche gli antichi. Apparizioni in sogno al fine di passare false informazioni in merito all’andamento dei mercati azionari ed i vivi a bruciare compulsivamente i risparmi.
Non mi immagino fantasmi, ma residui di coscienza osservante. Eppure se c’è qualcosa-che-sente qualcosa allora sente il sudore e la fatica e le sensazioni fisiche mi immagino io, non voci lamentose che pronunciano frasi cerimoniali di circostanza. Se ogni tanto un orecchio si protende verso il mondo pesante dei vivi deve essere per una nostalgia residua del corpo colle sue meravigliose miserie. O magari per il semplice fatto che c’è qualcosa che deve essere sentito, c’è chi sente, se ogni cosa che merita osservazione creasse il proprio osservatore? Sennò non c’è proprio niente che sente niente e festa finita. E’ una suggestione e stop.

Ogni becchino ha il suo stile. Il proprio personale atteggiamento psicologico nel trattare la faccenda. Siamo dei professionisti, altroché. Comunque voglio dire che è un lavoro in cui ti senti utile. Ha una certa solennità. Dicevo che può sembrare macabro e… ammettiamolo qualche volta è macabro. Ma di fastidioso una volta prese le misure e fatto un po’ di callo alle brutture, a parte le cerimonie funebri di cui prima, rimangono solo alcuni colleghi di lavoro con il loro atteggiamento. Oppure certi visitatori che ve li raccomando. La loro inutile vanità mi dà sui nervi. Davvero.
Un esempio di fastidio è il collega che sto aspettando e con cui sono in turno stamani. Tale Tiberio. Il Responsabile Operativo della cooperativa. Mi sta sui nervi e la cosa è reciproca. Magari si tratta di un povero diavolo e basta, ma lui e le sue ansie igieniste intermittenti e alternate ad una attrazione erotica per la sporcizia non le digerisco. Di sicuro è solo un povero diavolo, ma io non ho il distacco necessario per digerire tutti i poveri diavoli e al momento non riesco a superare il livello base del fastidio. Il che mi fa tornare a mente il caffè e mi sale di nuovo l’odio e poi vedo le due volontarie, perché nel frattempo è tornata anche quella che era andata a pisciare, che si scambiano un commento che vorrebbe essere sarcastico sul vestito delle collegiali, imboscate dietro il video -per giunta meno fiche di loro– nel frattempo è emersa anche una storia di corna che non ho seguito, ma deve essere stata davvero avvincente perché loro si aggiornano subito- e finalmente odio tutto di nuovo. E di nuovo mi sento meglio, mi metto a sedere e sbadiglio ancora e poi ancora.

La vicinanza con i fatti legati alla morte può indurre strani effetti. Fra cui la sonnolenza, o l’iper-eccitazione. E’ un fattore di stress, come direbbero gli psicoterapeuti -categoria, a torto o ragione, non molto frequentata dagli operatori necrofori.- Alcuni di questi effetti li augurerei a quelle stronze che hanno deciso finalmente come si vestiranno per il loro cazzo di ballo.
-Se uno lavora come becchino anche per poco è perché ha dovuto misurarsi con queste reazioni al pensiero della morte…- Un amico che è dentro fino al collo con la filosofia indiana me l’ha cantata così, che secondo me è un altro punto di vista un po’ new age. Però a volte mi sa che questi indiani c’azzeccano o forse è una copertura per dire che non ho trovato nessun altro lavoro. Non si sa mai come vanno di preciso queste cose. Autosuggestione – mi sono convinto che è stata una fortuna trovarmi impiegato qui. Certo sarebbe un lavoro insopportabile se non avessi il pallino dell’osservazione.
Ma io sono l’osservazione.

-Buon giorno.
-Buon giorno.
Entra il medico dell’ambulanza, un tizio sulla cinquantina con tutti i capelli e tempie bianche, estrae una custodia dalla tasca del giubbotto ad alta visibilità, si infila un paio di occhiali dalla montatura metallica e inizia leggere il giornale sul tavolo dalla cronaca locale.
Guardo l’orologio.
Strano, dovrebbe essere già qui. Ritardare non è da lui.
I colleghi. Uno degli effetti più evidenti per la maggior parte di coloro che hanno a che fare con ciò che è funebre è un attaccamento morboso al denaro. Una sorta di avidità famelica. Poi c’è anche una certa passione per ciò che è macchina. Automobili, motociclette, talvolta computer ecc. Cose che si rompono, ma si aggiustano cambiando un pezzo, sborsando una cifra in moneta.
Avere a che fare con la rottamazione della macchina umana incentiva la fuga verso mondi macchina fatti di metallo e circuiti e gomma e plastica che dovrebbe essere eterna -ma si sbriciola dopo pochi anni che è una bellezza.- Una certa sfiducia nei meccanismi biologici assale gli operatori necrofori e li scuote nelle radici. Ecco di cosa si tratta. Le nostre parti proteiche, ossee. I nostri strati lipidici. La cheratina dei capelli -quelli sì, resistenti per davvero-. Povere macchine morbide. Così poco modulari… e così poco sostituibili. Piene di condutture […] Capisco che ti può colpire questo pensiero se fai questo lavoro.

Sempre sul versante rischi professionali .Da non sottovalutare il pericolo regressione all’infanzia e tendenza ad adottare espressioni ed atteggiamenti puerili. In alcuni becchini inoltre si presenta un senso del morboso e del macabro vero e proprio. Tipo passione per i film horror. Immedesimazione con senso del disgusto o visioni aberranti o raccapriccianti o trash o porno. O tutto quanto insieme.
La serie delle immagini che finiscono nel magazzino psichico di chi lavora coi morti sono più forti di quelle che mediamente attraversano la vita del consumatore comune di immagini. Ma sono terribilmente più vere e non arrivano dall’occhio soltanto.
La cosa che terrorizza non è l’immagine visiva, anche se questo sembra oggi difficile da capire. Sono gli altri sensi che ci sbattono fuori dalla normale percezione delle cose. I nostri occhi sono abituati a vedere di tutto. I nostri occhi sono assuefatti quasi a tutto. Ma il naso no. Non siamo abiutati ad annusare tutto. A toccare tutto. No. La percezione della morte è un odore. L’odore è qualcosa di antico. Quello della morte è assoluto; è irriducibile.
-Mi viene a mente quello che diceva l’amico mio che a parte dilettarsi di filosofia indiana fa il contadino e mi parlava del curioso metodo per tenere lontani caprioli e gli stambecchi ed erbivori di grosse dimensioni , potenzialmente dannosi per le coltivazioni da una zona. Si devono cercare delle pelli di questi animali e poi bruciarle. Diluendo le ceneri in acqua si ottiene un repellente che cosparso lungo il perimetro funziona come una recinzione invisibile da cui gli animali stanno lontani perché fiutano il pericolo della morte.-
La paura diventa pericolosa solo quando non si riesce a darle una forma. L’odore non ha forma. Arriva all’archeo cerebro. La ragione ci protegge poco dalle informazioni non visive. Chi sente l’odore della morte prova l’istinto immediato della fuga. Da qualche parte le immagini olfattive si immagazzinano. Poi mi sa che ti modificano da dentro. Lavorano dentro. Ed il tatto? Toccare uno scheletro umano per spostarlo è qualche cosa di parecchio differente da vedere le immagini di uno scheletro umano in televisione. Anche se manca la colonna sonora. Il video è il nostro rifugio, finché ci arrivano solo immagini crediamo di essere al sicuro. Il becchino vorrebbe sempre fuggire, ma non sa dove perché non esiste un luogo sulla terra dove non esista il suo lavoro o qualcuno che ne svolga la funzione. Non esiste e non è mai esistito e non esisterà mai. Il becchino può fuggire solo dentro se stesso. Precipitare in qualche botola. Inseguire conigli bianchissimi come sperma. Fottere infiniti buchi senza amore e poi piangerne. Creare il mondo e distruggerlo. Istigare rivolte piene di sogno. Trasformarsi in robot d’acciaio. Invadere la luna e dichiarare guerra alle stelle.

Trovarsi per la prima volta a contatto coi residui della morte ricorda ciò che avviene quando per la prima volta ti trovi a contatto col sesso. (Per dire che Freud non doveva essere per niente fesso.)
Metti il caso del sesso e come l’odore e il sapore della secrezione vaginale, la sensazione tattile della lubrificazione siano un’esperienza diversa dall’immagine. L’odore del sesso non ti arriva dal video. Sì. In un certo senso ogni odore è odore di realtà. E non tolgo niente all’immagine. Ma tutti i sensi convergono alla coscienza. Arrivano lì, non chiedono il permesso. Viene prima del linguaggio e di tutto il resto. Allora, in un certo senso il contatto con le spoglie mortali dei defunti e il loro odore è inebriante. Spurga la mente dagli schemi. Con la stessa intensità ma con segno opposto a quello del sesso avvertiamo la sensazione della morte. Paura e desiderio si mettono davanti come due specchi, la paura e il desiderio, la morte e il sesso e noi lì seduti nel mezzo.

L’amico che mi passa le info new age dice che paura e desiderio altro non sono che la stessa energia in due forme differenti. E dalla mia esperienza non posso dargli torto, è pieno di gente che si fa di paura.

Paura e desiderio sono il contrario dell’attesa. Paura e desiderio annunciano l’azione. Quando superano un certo livello ti paralizzano. Quando li provi è come se non esistesse empasse. Devi agire e basta. Ma la nostra epoca assomiglia ad una sala d’attesa. Attesa della paura e attesa del desiderio. Se fossi un pittore dipingerei solo enormi sale d’attesa. Ogni tipo di sala d’attesa. Sale d’attesa del dottore, del dentista, sale in cui si aspettano colloqui di lavoro o enormi stanze piene di musica e luci colorate che sono discoteche e luoghi di ritrovo. Si attende. Ho sentito dire che succederà qualcosa. Ma non so quando. Né se è vero. E’ solo un presentimento. La provincia è tutta ad una sala d’attesa. L’immagine è l’attesa della realtà che continua ad annunciare se stessa diventando sublime o terribile. Richiede continuamente risorse e prestiti alla nostra fantasia per rendersi, accattivante. A volte giochiamo al gioco dell’attrazione a volte a quello della repulsione. Ma sempre restando in attesa. A volte abbiamo paura dell’attesa e allora scivoliamo nel panico.

Arriva Tiberio e non ha per niente un bell’aspetto.
Sbuffa pesticcia e guarda tutti prima di accennare un saluto. Ha l’aria agitata come suo solito e l’espressione di qualcuno a cui è stato affidato un impegno al di sopra del proprio spessore. I maligni affermano che qualsiasi incarico sarebbe stato al di sopra del suo spessore. Ma io questo non credo sia del tutto vero per nessuno. Sembra sull’orlo di una crisi e più del solito trasmette l’idea di uno che potrebbe sbroccare da un momento all’altro, ma sapendo quanto è abituale la situazione viene rubricata solo come pericolo ipotetico. (Ciò che è familiare ci sembra sempre meno pericoloso.)
Sembra che Tiberio si muova camminando su un lastrone di ghiaccio che galleggia sopra una massa di lava fusa.
Responsabilità poco gestibili possono sempre manifestarsi da parte sua nel dito puntato verso qualcuno o qualcosa a portata di dito puntabile e astiose ripicche varie ed eventuali. Sento puzza di caccia alle streghe di prima mattina. E’ bene essere diffidenti. Temo l’aumento della temperatura; questa settimana le massime vanno sui 40° all’ombra senza accenno di diminuzione.
Mi viene a mente quello che dice Max di Tiberio, -Max è il collega più anziano nonché il capro espiatorio professionista nelle dinamiche patologiche della cooperativa (sono il cane e il gatto): -Ha la testa piena di mostri.-. Dice proprio così.
E’ evidente che ha la testa piena di mostri; -forse ce l’abbiamo tutti- gli rispondo sempre io. Il problema è che i suoi mostri entrano ed escono dalla testa come i fumatori entrano ed escono dai pub il sabato sera. Saggezza impone di non farli uscire tutti insieme, e strategie di evitamento per possibili attacchi di branco.
Prima cosa: chiedere con aria almeno altrettanto greve della sua che cosa c’è oggi da fare. -Importante non usare un’espressione che possa togliere serietà o mettere in ridicolo il groviglio interiore.-

Buongiorno va sempre bene.
-Buon giorno.
-Buongiorno.
Si stropiccia gli occhi, è già schizzato bene bene ma vuole fare la parte dell’assonnato. Poi prende un similcaffé per peggiorare la situazione.
Pare che il caffè ci riesca.
-C’è da fare una riduzione. Prendi il furgone, vai ad aprire i cimiteri e poi vai a Filiana-
-Non ho visto nessun foglio…-
Non è per essere pignoli, è che di routine i lavori vengono inviati via fax dall’ufficio la sera prima e poi vengono appesi in una apposita bacheca ecc ecc e non c’era nulla. Nulla di nulla.
-No, non è segnalato. Te lo spiego dopo.-.
La sua voce manifesta una nota di disappunto per il fatto la prima domanda che gli ho rivolto è già eccessiva e sembra contenere una via di mezzo tra un rimprovero per aver osato chiedere e una leggera supplica nel non proseguire oltre con eventuali richieste di chiarimento.
Mi incuriosisce. Quando ha lavori in odor di losco per le mani il lato spassoso potrebbe fare irruzione nella routine. Questo mi incuriosisce. A lui dà sui nervi.
La sua preoccupazione ha un vantaggio: non è contagiosa. Questo rende lui tollerabile a me, ma questo è anche il motivo che rende me intollerabile a lui.
Saluto le due involontarie protagoniste dei miei incompleti desideri erotici mattutini mettendoci una punta di desiderio per nulla ricambiato dal loro tono di voce, e saluto il medico dell’ambulanza che, deciso ad avvelenarsi, nel frattempo si è portato alla macchinetta del caffè pure lui. Per uscire si deve passare di nuovo di fronte alla boss dietro la reception del potere. Quindi affronto l’aria con qualche frescura notturna ancora presente in questa mattina di luglio. Accendo il furgone e mi dirigo verso il cimitero di Filiana.
[continua…]

[GC :::2008:::]

This entry was posted in Generale, Racconti and tagged , , , , , , , , . Bookmark the permalink.