Difendi il tuo castello di sabbia.

:::Difendi il tuo castello di sabbia.::::

You're a man of the mountains, you can walk on the clouds,
Manipulator of crowds, you're a dream twister.
-Bob Dylan, Jokerman-

Un bambino sulla spiaggia sta finendo di costruire un grande castello di
sabbia; con guglie, torrioni, il fossato di protezione e una piccola
bandiera,  fatta con uno stecchino e un pezzetto di carta, issata  sulla
torre più alta.

E' assorto nel suo gioco.. il castello di sabbia davanti al mare gli
appare imponente e il tempo non esiste proprio.
E' lì da solo con una paletta in mano e il suo volto appare tranquillo e
concentrato nella costruzione dell'opera.

Arriva un altro bambino, anche lui solo.
Guarda il primo bambino giocare e non dice niente, la sua faccia però è
indispettita: il taglio della bocca orizzontale e gli angoli puntano
verso il basso, gli occhi tendono a stringersi e in mezzo alle ciglia si
sta formando un "cruccio". Intendo quella ruga che hanno gli adulti fra
le sopracciglia, lì dove nei dipinti degli orientali viene
dipinto il terzo occhio.
Un adulto vedendolo potrebbe pensare che è invidioso.
Il bambino che sta costruendo il castello alza lo sguardo.
Il castello è quasi finito e lui prova un senso di orgoglio.

-Gianni... Oh, Gianni... hai un sonno agitato.-
L'ho svegliata.
-T'ho svegliata, mi dispiace.-
-Tutto a posto?-
-Sì. Stavo sognando.-
-Che sognavi?-
-Boh, non saprei... una spiaggia, un castello di sabbia...-
-Eri al mare!-
- ...era come se non ci fossi. Non mi ricordo gran' che.-
-... buoni tuffi!-
🙂
-...buoni tuffi anche a te!-
Sorrido.
-Notte.-

Il castello, a guardarlo bene, ha molti difetti, ma è comunque un bel
castello e lui l'ha costruito con le sue mani compiendo gesti leggeri e
pieni di potenza creativa. Ha visto quel castello prima che ci fosse, lo
ha aiutato a venir fuori dalla sabbia bagnata. Poi quel castello non è
abitato da nessuno, a parte dalla sua fantasia; dalla sua capacità di
immaginare il mondo. Quel castello non deve difendere nessuno e non deve
essere difeso da nessuno; il sole e il vento lo porteranno via.

L'altro bambino che si è avvicinato se ne sta in piedi, in silenzio.
A guardarlo bene, la somiglianza con il bambino che ha costruito il
castello è impressionante. Sembrano due gocce d'acqua; solo
l'espressione del volto è molto differente.
Il bambino dal volto corrucciato si avvicina e, con un gesto veloce e
rabbioso, prende a calci il castello, fino a ridurlo ad un semplice
monte di sabbia. Mentre l'altro bambino rimane impietrito come una
statua di un castello vero.

Il suono di un messaggio sul cellulare mi sveglia.
Sotto il sole di una giornata quasi primaverile in inverno, mi sono
appoggiato al muretto nel giardino interno del cimitero e mi sono
addormentato.
A quest'ora di lunedì non c'è nessuno, e dopo aver sistemato un po' di
cose mi sono appoggiato lì, aspettando un collega  e, nel silenzio,
sotto il solicchio, accanto alla siepe di lavanda che si è messa a
rifiorire in inverno, mi sono addormentato.
Lavoro in questa cooperativa da poco e ho scoperto che i cimiteri nelle
giornate di sole mi danno narcolessia.

Spesso il becchino non ha molto da fare.
Un tempo era considerato normale, perché quando -ha da fare- ha da fare
cose delicate.
Ma la calma sembra essere rifuggita dai vivi, o, almeno, da questa
cooperativa dove i necro-operatori sono tenuti a correre vorticosamente
per fare, magari, niente.

Mimando l'agitazione tutti sembrano più produttivi. Salvo poi essere
pericolosi per sé e per gli altri e nei casi più promettenti riuscendo a
creare confusione e malumore.
Chi viene a trovare i propri morti è considerato un cliente che può in
ogni momento lamentarsi con qualche "superiore".
Se non sei agitato sei un fannullone. E il tuo "superiore" non vuole
essere sgridato dal suo "superiore", che magari è un furbetto un po'
sadico-politico che si inventa delle lamentele che non ci sono state,
e... quindi ti chiede... -agitazione-.

Ma figuriamoci se è il caso di farsi prendere dall'agitazione in un
cimitero e se un -cittadino- è un -cliente- e se -i morti- sono -merce-,
no figuriamoci, allora anche i -vivi- sono -merce-... e, seguendo il
flusso delle mie riflessioni che gira sempre più lentamente, mi appoggio
al muretto a fianco alla siepe di lavanda, e, sotto un cielo sereno,
riscaldato da un tiepido sole, aspettando il collega che non si vede, mi
addormento di nuovo.

Il volto del bambino invidioso è adesso soddisfatto. Osservandolo non
mostra una soddisfazione piena, completa, appagata; mostra piuttosto la
soddisfazione di uno sfogo, di un rigurgito, di un brufolo che esplode
davanti allo specchio.
Non c'è più l'oggetto per cui si sentiva costretto a volersi sostituire
al bambino con la paletta in mano. C'è solo un mucchio di sabbia.
Anzi adesso è il bambino con la paletta che è rimasto impietrito e..

Entra un adulto nella scena. E' il padre del bambino prepotente.
Il bambino prepotente quando lo vede dice: -E' stato lui! A cominciato
lui!- Indicando il bambino con la paletta in mano che nel frattempo non
si è mosso di un millimetro.
Il padre osserva la scena e -sgrida- suo figlio. Ma il tono della
sgridata si fa stranamente compiaciuto. Lascia trasparire un senso di
orgoglio nel vedere i segni inequivocabili che il figlio è un -maschio-
appartenente alla sua stessa specie.
Distruggere ciò che non si sa fare, e umiliare chi si invidia.

La madre è rimasta indietro perché non è sua abitudine esporsi e aspetta
che il resto della famiglia la raggiunga.
Il padre prende il bambino per il braccio e lo porta via, come se il
bambino con la paletta non fosse mai esistito.
Papà è fiero di lui. Suo figlio non è un debole.

Il bambino che distrugge i castelli prova un sentimento strano in quella
stretta. Una specie di cameratismo. Sul volto una punta di strafottenza,
si gira per guardare in faccia il bambino che costruisce i castelli, ma
appena voltato nota con sorpresa che non c'è più nessun bambino che
costruisce i castelli, né lì, né sulla spiaggia.
C'è solo il padre che lo porta via e sua madre che dice con voce
stridula: -Cosa è successo?-
Il bambino che distrugge i castelli si sente attraversato da un sottile
senso di terrore.

-Biglietto!-
Mi trovo nello scompartimento di un treno da solo, e vengo svegliato da
un bell'esemplare di femmina umana fra i venti e trent'anni in divisa da
controllore.
-Biglietto?- dico io, ancora non del tutto sveglio.
-Sì, biglietto. Che è strano?-
No, non è strano, in treno non è strano. Mi frugo nelle tasche e trovo
il biglietto. Lo do alla controllora  che lo timbra.

[to be continued]

Gianni Casalini

 
[24 dic. 2008]

											
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