Trash – La produzione artistica nell’epoca della spazzatura
Una delle pochissime produzioni che non è interamente subordinata alla dimensione digitale è la produzione di oggetti da altri oggetti caduti in disuso. Trash. Si tratta certamente di un atto di creatività artistica e come tale dotato di indubbio fascino. Il materiale di partenza ha richiesto una notevole quantità di informazione digitale nel precedente ciclo vitale, quando gli oggetti non ancora purificati dall’obsolescenza, dovevano ostentare la sensualità della merce. Sensualità che evapora insieme all’immagine nel trapasso a materia “Trash” restituendo gli oggetti ed i segni ad una dimensione dove emerge un maggior grado di realtà rispetto alla produzione industriale diretta. Dimensione di nuovo, in gran parte analogica, quasi che la sostanza digitale, evaporata per condensarsi in profitto, in qualche altrove lasciasse sul campo le spoglie mortali. Relitti. Ma nuova materia prima. Nuove partenze. Rianimare questa materia è operazione che comporta un delicato soffio creativo nella sua versione positiva e allo stesso tempo una resa di fronte allo strapotere della merce.
Non si ha a che fare soltanto con la messa in corto circuito dei codici estetici prodotti dal capitalismo, ma anche della consapevolezza di inserirsi nella sezione marginale e periferica della produzione di quei codici.
Senza disincanto è impossibile vedere che non si tratta di un -fuori- ma l’operazione rimanda ad un -fuori-.
In ogni caso tutte le polemiche sull’arte finiscono quando mancano i compratori.
[GC ::: 2010 :::]