Quando chiedo la parola

 Perception, Sammy Slabbinck 2013

Perception, Sammy Slabbinck 2013

 Quasi una nota sul postmoderno.

Non so se è esattamente il postmoderno quello a cui mi riferisco. Perché ammetto di non aver capito bene cosa si intenda con questo termine. Ho trovato sempre definizioni talmente diverse tra loro, da rimanere nel dubbio.

Diciamo che è un sentimento contemporaneo quello a cui mi riferisco. Assomiglia all’assenza di certezza se non nell’azione dell’altro. Spesso proprio in quella dell’antagonista.  Deve essere qualcosa che ha a che vedere con i famosi versi di montale:

 

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

(Eugenio Montale, Ossi di seppia)

Quanto meno da esseri viventi, se non da esseri umani, dovremmo usare ciò che non vogliamo e per giungere a ciò che vogliamo. Ma se sappiamo solo ciò che non vogliamo, allora tutto ciò che siamo in grado di desiderare è, appunto, ciò che non vogliamo. Non è una condizione su cui possiamo stazionare. Posso dire: sono passato di qui. Ma qui non si monta nemmeno una tenda.

Bisogno di certezza? Non credo si tratti di questo. Le certezze sono piuttosto spigolose e illusorie. Credo che abbia a che fare con l’impraticabilità del desiderio.

Eppure io vorrei urlare che il desiderio è praticabile. Che i versi di Montale sono superati. Si possono costruire se non delle certezze delle cornici in cui il pensiero e l’azione non siano più aleatori. Perché la nostra esistenza non lo è. Non ha bisogno di un senso o di uno scopo per essere concreta. Come non ne ha bisogno la musica o la biologia.

Questo stato liquido che va tanto di moda quando è assoluto diventa un monolita solido. Questo stato liquido è un epifenomeno. Fa parte della nostra vita ma non è la nostra vita.

Rendere di nuovo praticabile il desiderio comporta per quanto mi riguarda un’assunzione di responsabilità, che è anche un’ammissione: la collettività non è in grado di fornire la felicità agli individui. Non può esserlo ed è giusto che non lo sia. La collettività è in grado di creare le condizioni in cui individui e comunità siano in grado di prodursi un desiderabile stato di felicità. La collettività ha il compito di evitare le condizioni che portano l’infelicità. E lo deve fare con ogni risorsa necessaria. La parte negativa deve stare qua dentro se vogliamo ancora affermare qualcosa di positivo.

Dentro migliori condizioni sociali gli individui possono sviluppare la loro creatività e accedere alla felicità.

In primis si dovrà scardinare il mito antidemocratico del buongoverno delle elités se vorremo avere una chance.

Questo almeno è ciò che voglio e ciò che sono, quando, mestamente, chiedo la parola.

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