Il linguaggio è la fica dei popoli

Il discorso su cosa e quanto sia desiderabile (in) una società multiculturale è lungo e duro; per dirla con termini attribuibili alla migliore Moana Pozzi.
Io non sono fra coloro che hanno certezze. Non sono neanche certo che il conflitto sia evitabile, tante sono le forze che da ogni parte premono in quella direzione. Dico che la multiculturalità non sarà mai possibile come media statistica delle abitudini e dei costumi che vengono in contatto.
Dico che dall’altra parte non c’è un monolita de “la loro tradizione” da opporre alla “nostra tradizione”, e anche se è sempre possibile individuare delle macro aree culturali in ogni area è presente un conflitto in cui differenti visioni del mondo tendono all’egemonia. In altre parole io ed i giovani di casapound siamo entrambi occidentali, ma la visione del mondo mia e loro non converge. Dico anche -da sempre- che una delle classificazioni più in voga nell’epoca della globalizzazione: quella tra islam e occidente è il frutto della convergenza tra interessi reazionari in entrambi i campi. La vera divisione tra i gruppi di individui è la lingua. In questo non si fa nulla di significativo per superare le barriere. Anzi si accetta piuttosto passivamente la degenerazione di ogni linguaggio naturale, quando non si incentiva apertamente.
Quello della divisione religiosa come gap primario fra aree culturali diverse è una balla, se, tanto per fare un esempio, non fosse così il conflitto interno ai popoli islamici non sarebbe protagonista della scena da oltre cinquanta anni. Lo so che c’è chi butta benzina sul fuoco, ma sono consapevole che c’è anche il fuoco perché da sola la benzina non brucia… evapora. Infine io non sono daccordo, ma per lo stesso motivo, con quelli (e non son pochi) che pretendono una accettazione di pratiche e abitudini che condanno nella mia lingua, nella mia tradizione, nel mio paese, e tra la “mia” gente purché abbiano il “tag” di una cultura esotica. Trovo patetiche quelle persone che condannano la società patriarcale a casa propria, ma lo accettano in casa d’altri, come se altrove non si trattasse di oppressione. Le trovo degnamente speculari con quelle che invece auspicano una società oppressiva in casa propria per condannarla all’esterno. Con questo discorso bisogna sempre andarci coi piedi di piombo perché si rischia di non trovarsi in buona compagnia. E’ buona regola tenere a distanza coloro che fanno, nella nostra società, una bandiera delle libertà civili da contrapporre ad in-civiltà oscurantiste esterne che tentano di invaderci.
Dico che il partito della pagliuzza nell’occhio dell’altro è sempre di gran moda ed è, per paradosso, trasversale ad ogni cultura.
Perché sono gli stessi che si trovano quotidianamente impegnati/e sul versante della restaurazione, fanno battaglie contro le unioni civili, appoggiano i medici “obiettori di coscienza” e, in generale, auspicano ogni forma di cultura reazionaria e liberticida. Purché non provenga dalle moschee naturalmente.
Anche qui in altre parole, mi fa ridere che gli stessi e le stesse che hanno parteggiato fin’ora, e tuttora, per la repressione sessuale, la verginità al matrimonio e altre amenità del genere siano in prima fila nello sventolare la “naturale” propensione di “Noi” alla libertà dei costumi. A costo di essere banale voglio ripetere che la libertà dei costumi -con tutte le contraddizioni che pure contiene- è una conquista non un regalo e proviene dalle lotte di donne e uomini, non da concessioni che la civiltà cattolica-cristiano-occidentale ci avrebbe fatto.
Dico che per molti di coloro che sventolano le minigonne come feticcio di superiorità occidentale le donne avrebbero ancora la cintura di castità.
Magari c’è chi lo sa dire meglio. Io intanto lo dico.

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