C’erano una volta le BR

Lungo il Fiume Elsa

C’erano una volta le BR
Dopo aver letto l’articolo: Brigate Rosse, tabù e mediocrità di Daniele Codeluppi ho espresso il mio dissenso su alcune questioni sollevate. Lo stesso Daniele, tramite fb, mi ha stimolato a buttar per scritto i motivi del dissenso. Ho scritto una specie di lettera (visto che era indirizzata a lui). Poi ho deciso di condividerla sul blog in forma di post- pertanto non ha senso leggere quanto segue senza prima aver letto l’articolo-. Non sono un esperto, né uno storico. Queste sono suggestioni e valutazioni personali. Avrei voluto sistemarle in forma più… strutturata, ma non ci sono riuscito. Segno che devono rimanere solo osservazioni. Forse serviranno a qualcuno, forse no. Io spero di sì.

Premessa necessaria. La storia politica di Prospero Gallinari e del brigatismo non mi appassionano. Non mi appassionava quando era vivo, non mi appassiona dopo la morte. Non dico di avere passioni migliori. Dico che questa non è la mia. La sua storia personale invece appartiene agli amici, agli affetti e ai conoscenti, come qualunque altra; non la conosco e non la giudico.

Non so se fa ancora parte della premessa, ma io non sono di Reggio Emilia e non so niente del rimosso politico cittadino. Un po’ me lo immagino per analogia alla condiziona in cui ho vissuto e vivo. Regione rossa. Partito-istituzione ecc.

Anche io ho militato nella FGCI, ma questo è avvenuto in tempi in cui l’internazionale faceva addirittura più nostalgia di adesso, essendo nato due anni prima che Prospero Gallinari entrasse nelle BR.

Cosa penso della lotta armata? Per me quello che diceva Pasolini negli anni ’70 rimane a tutt’oggi un giudizio lucido su quell’esperienza: in Italia non ci sarà la rivoluzione proletaria non perché mancano le avanguardie rivoluzionarie, ma perché gli operai non la vogliono (cit. a memoria). Credo che la lotta armata – e la reazione che ne è conseguita- in Italia sia stata la tomba di ogni reale movimento di dissenso. Sono convinto che quello che allora si chiamava “il sistema” abbia saputo capitalizzarla meglio di qualunque altra cosa, per lasciare alla generazione che si è affacciata alla vita sociale immediatamente dopo quegli anni la certezza di un deserto. Io di quella lotta non condivido niente, né per storia, né per indole e nemmeno per riflessione.

Il funerale. Che ci sarebbe stato un gavettone di indignazione istituzionale dopo il funerale era evidente. Che molti dei discorsi avrebbero avuto toni e contenuti superficiali e isterici pure… Su questo non si può cadere dalle nuvole. Interessante, dal mio punto di vista, è osservare che buona parte dell’indignazione giornalistica che ho intercettato conteneva sotto traccia, non tanto il presunto passaggio di testimone tra una generazione di brigatisti e un’altra -che sappiamo tutti essere una cazzata-, ma lo stupore nel vedere che una scelta estrema come quella della lotta armata riceve, dopo tutti questi anni, sia pure in forma ormai mitica ed evocativa, flussi emotivi e passionali.

Mi sarei aspettato che qualcuno di questi indignati commentatori avesse fatto notare che le BR hanno perso, ma lo Stato non ha vinto. Nel senso che la realizzazione di un ordine e di una giustizia sociale non è stato realizzato dai vincitori; è rimasto un trofeo celibe, è affogato nella retorica e… adesso di nuovo ci troviamo di fronte a spaccature drammatiche nella società che appaiono solo più domabili a causa della frammentazione dei soggetti sociali.

Quello che fa paura è la narrazione. Che la storia di un ragazzo del popolo, un contadino, sacrifichi la sua vita (e anche quella degli altri, intendiamoci) per un’istanza violenta di liberazione non è ancora paragonabile alle guerre puniche o delle insorgenze contro-risorgimentali. Il fatto che qualcuno lo possa ritenere un combattente di una guerra che non è ancora conclusa ha fatto allentare l’intestino a parecchi.

Il potere economico e militare senza nessun contro-campo consistente si sente esonerato da ogni realizzazione, da ogni passo, anche parziale, provvisorio o formale, nella direzione dell’uguaglianza e della giustizia. Quindi teme ogni segnale che denoti crepe in questo esonero. Anche se si tratta solo di crepe simboliche.

Scrivi: “Nel comunicato di Aq16 di lunedì 14 si esprimeva cordoglio per la morte di una persona che piaccia o meno è stato un protagonista della storia d’Italia e che ha mostrato durante tutto il suo trascorso politico coerenza e fermezza, qualità che nella classe politica italiana non se ne vede da un bel pezzo.”

Coerenza e fermezza ne ha avuta tanta anche Pino Rauti, ma c’è un motivo valido per cui non stiamo parlando del suo funerale e dei saluti romani.
Tutto il tuo discorso verte sullo storicizzare. Le passioni del novecento non si sono spente nella storia degli ultimi anni e io penso che questo non avvenga in un arco breve di tempo, ma è un processo graduale attraversato comunque da molteplici rimandi all’attualità, collegamenti, capovolgimenti… -sono ancora nell’agenda politica del paese questioni risorgimentali!-

“Comunque tornando sul giudizio politico, penso che è monco se lo si dà a determinate azioni estrapolandole dal contesto perché questo meccanismo è la base di tutti i revisionismi storici. Come chiedere se tagliare la testa a Maria Antonietta fu un atto giusto o meno, senza comprendere il momento storico in cui si dette quella determinata azione.”

Vero. Ma chiedere se tagliare la testa a Maria Antonietta fu un atto giusto o meno adesso è una domanda differente dalla stessa domanda posta nel 1820.

“Erano anni in cui nel mondo la strada per il cambiamento sociale passava anche per la canna di un fucile, soffermarci solo sul fatto che i brigatisti hanno ucciso tante persone non serve a capire la storia, ci si ferma sull’espressione di un fenomeno senza capirlo. “

Vero. Ma poi dici: “Tutto il resto è storia: l’escalation omicida, i processi, gli ergastoli, la marcia dei quarantamila, una generazione di comunisti rivoluzionari sconfitti, l’inquisizione per tutto il movimento dell’opposizione sociale, l’inizio della contrazione del contropotere sindacale, il contesto mondiale in piena guerra fredda.”

Sì, ma allora vogliamo storicizzare oppure no? Consideriamo Prospero Gallinari (riposi in pace) un rivoluzionario sconfitto perché si definiva tale… oppure uno dei tanti che ha preso una cantonata scambiando l’Italia degli anni ’70 con Cuba del 1959? Nemmeno la storia è neutra. E più le ferite sono aperte meno lo è.

“Come è storia degli anni ’70 anche il salario medio degli operai che in dieci anni si raddoppia, lo statuto dei lavoratori, le lotte e le conquiste femministe e il diritto all’aborto, l’istruzione gratuita di massa, il welfare, la produzione culturale italiana nel suo maggior apice. Non è facile parlare degli anni ’70 perché sono molte storie, un periodo densissimo e ricchissimo.”

Concordo in pieno.

Poi aggiungi: “Ridurlo alla misera definizione di “anni di piombo” è stupido e fa il gioco di chi della storia d’Italia e dei movimenti preferisce che non si sappia niente, producendo di fatto una generazione di italiani senza futuro e senza memoria storica, con la convinzione che in Italia in un periodo storico indefinito c’erano dei “terroristi” venuti da chissà quale incubo che uccidevano a caso delle brave persone.”

Io qui non sono daccordo, non perché penso che -c’erano dei terroristi venuti da chissà quale incubo…- ma perché ritengo che la lotta armata sia stato il modo con cui il sistema di dominio ha fatto una colata di terrore e l’ha chiamata -pace-. Non ho elementi per dire se lo avrebbe potuto fare lo stesso e con la stessa agilità. Mi attengo a quello che so della storia e quello che ricordo dell’esperienza.

“Anche perché se proprio vogliamo parlare seriamente di morti ammazzati vale la pena ricordare che la storia italiana gronda sangue, un mare in cui le BR sono solo un puntino. Pochi esempi a memoria: il risorgimento, l’uccisione dei soldati dell’esercito borbonico…”

Questa relativizzazione di un fatto storico recente con altri più remoti, quando sono ancora vivi i parenti delle vittime della lotta armata, secondo me, ha poco senso…

Insomma volevo dire questo: che un fatto storico per quanto riguarda la lotta armata è anche un fatto politico. Che il potere tenda ad accomunare nella “violenza” qualsiasi esperienza del dissenso e lo faccia con scopi preventivi è evidente. Ma non si può solo invocare la storia. Perché la storia non è esaurita in quegli anni e piuttosto che appianare la questione continua a chiedere se Prospero Gallinari e chi ha fatto la sua scelta ha avuto ragione, ma è stato sconfitto, oppure avevano ragione i tanti che hanno preferito strade diverse da quella.

Mi ha fatto piacere leggere un articolo che non fosse costruito con slogan e frasi di circostanza. Ho dovuto scrivere di fretta ed è venuta una cosa un po’ di getto… spero che quello che ho scritto sia di qualche utilità.

Ciao
Gianni

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