Cartolina dalle Spiagge Bianche

Sammy Slabbinck, collage.

Sammy Slabbinck, collage.

Cartolina dalle Spiagge Bianche

Se c’è una cartolina… un’istantanea in grado di descrivere il popolo italiano nella medietà contemporanea è quella di una spiaggia affollata tra la località di Vada e Rosignano, sul litorale Toscano. Conosciuta a tutti come le Spiagge Bianche.
La sabbia delle Spiagge Bianche è, come suggerisce il nome, bianchissima ed è pure finissima, perché costituita da residui di lavorazione della Solvay.
Vista da lontano sembra proprio una località tropicale e non è raro incontrare un set con qualche modella in posa per un prodotto che richiede uno scenario balnear caraibico. Questo sono le Spiagge Bianche: uno scenario tropicale low cost.
E’ tutto finto. E’ un “caso”, per così dire, che gli scarti di lavorazione della Solvay siano bianchi. Se fossero stati, per esempio, verdi o marroni, fine dell’incanto. Ma sono bianchi. Allora nonostante il divieto di balneazione e il conclamato rischio per la salute rappresentato da una presenza decisamente sopra la norma di metalli pesanti migliaia di bagnanti tutti gli anni affollano questo angolo pseudocaraibico sul litorale toscano, magari portando anche i loro figlioletti ad intossicarsi. Non rare sono le donne incinte che prendono la tintarella col pancione. Dopotutto cosa sarà mai. E’ bianca. E’ fine. E’ sabbia. Sì, l’acqua è di un azzurro quasi fosforescente, come ai caraibi. Però a differenza delle acque cristalline dei Caraibi se c’entri dentro hai l’impressione di stare immerso in un bicchiere d’orzata. Tutto finto. Tutto tossico. Tutto pericoloso. Ma a medio e lungo termine. A breve termine si può fingere che sia vero. Sì può simulare come fossimo bambini che giocano con i fornelli e credere che dentro la pentola di plastica rossa ci sia davvero una pietanza.
Non ci sono ricchi che frequentano le spiagge bianche. Il target è, diciamo, popolare.
Mi ricorda una storia raccontata da un amico veneto (ciao Apo), quella della “terra rossa” vicino a Marghera, se non sbaglio, che altro non era se non scarto di lavorazioni di minerali di cromo e su cui per anni si è giocato a tennis. Salvo scoprire alcuni inconvenienti per la salute degli atleti.
Al di là della questione ecologica (che è seria) volevo porre l’attenzione su questa immagine. Che per me rappresenta metaforicamente l’Italia meglio degli eco-mostri o delle periferie degradate, che, nel loro orrore possono mostrare ancora un residuo di innocenza. Si può essere condannati agli ecomostri, e lo si è, da un sistema clientelare mafioso che dal sud ha contagiato tutto lo stivale, ma, almeno, in queste immagini c’è sempre la speranza di un sequestro, di cariche di dinamite che facciano esplodere quella merda. Un ecomostro è un ecomostro, anche per chi alza le spalle, anche per chi ha fatto finta che fosse tutto in regola. C’è ancora, sia pur remota, una possibilità di redenzione, che risiede nel fatto che la mostruosità non ha ucciso l’evidenza. Invece nella coopartecipazione divertita al danno ambientale con cui il popolino immagina se stesso in una ascesa spettacolare verso il mondo dei VIP -il proprio ultramondo immaginario- c’è tutta l’atroce violenza con cui la frivolezza dell’immagine pubblicitaria ha stuprato la realtà e ridotto il popolo a cosa leggera e feroce. C’è la banalità del male, per così dire.

Gianni

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