Meteopatia

“…dovete darci il denaro, il denaro / dovete darci il denaro e poi ne riparliamo /dovete darci il denaro, poi ne rlparliamo, poi!”
Denaro gratis; Assalti Frontali

Capita che lo speaker di un telegiornale annunci, tra un servizio di corna e l’altro, che secondo una recente indagine il numero dei “rassegnati”, cioè di coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro in Italia, raggiunge ormai i tre milioni.

Poco tempo fa ho scritto un post chiamato “NONVIOLENZA” dove sfioravo la questione da un certo punto di vista. Per la precisione facevo notare che in questo paese il numero dei suicidi tra i disoccupati e gli inoccupati è impressionante.

Pochi giorni dopo la pubblicazione del post in questione, per puro caso, al TG2 è passato un servizio sugli imprenditori suicidi del nord-est.
Chiaramente, rispetto a quello che avevo scritto io, la frittata era ribaltata e il servizio avrebbe potuto intitolarsi: “La crisi che uccide solo gli imprenditori”.
Sia detto con tutto il più sincero cordoglio per gli imprenditori suicidi del nord-est, non si capisce -si fa per dire- come mai dal servizio fossero scomparsi gli altri: gli operai, i disoccupati ecc. Il che farebbe rientrare, di diritto, la crisi economica non più nelle categorie delle emergenze meteorologiche, ma in quella dei casi paranormali.

Mi sono convinto rileggendo il post e confrontando alcune osservazioni che mi sono state mosse, di non essere riuscito a far passare del tutto il concetto da cui ero partito.

Il punto centrale di quel post stava nel fatto che questa società non si può definire nonviolenta, qualsiasi accezione si voglia attribuire a questo termine.
Una società non è autorizzata a definirsi nonviolenta solo in virtù del fatto che pochi privilegiati possano andarsene tranquillamente in giro su auto di grosse cilindrata, ostentando sicurezza, simboli di ricchezza e potere senza che loro succeda niente di male, suscitando anzi invidia e ammirazione della massa-gregge.
Questa società è violenta e chiede ai subalterni di ammalarsi interiorizzando la violenza, fino al gesto estremo del suicidio, affinché il decoro possa essere mantenuto. E’ vero che questo decoro è richiesto dalle masse stesse. E’ vero che le masse guardano il mondo con lo sguardo dei padroni. E’ vero tutto. Ma rimane anche vero che ogni anno c’è una legione di morti che passa in ombra e una enorme massa di sofferenza viene occultata nelle pieghe della distrazione.

Tanto vale ribadirlo in modo esplicito: sono disgustato, ma non sorpreso, dal fatto che in questo paese si simuli una “catastrofe ambientale” quando si parla di economia. Stringere i denti va bene quando si tratta di un fenomeno passeggero legato ad eventi fuori dal controllo umano ecc., ma questo non ha niente a che vedere con l’economia.

Magari è superfluo ribadire che la sostituzione di ogni logica del linguaggio con il linguaggio della meteorologia non ha niente di casuale.
Meteopatia e balletti.
Ma un giovane oggi può evitare il trabocchetto del “diventerò famoso”?
A che pro evitarlo?
Per negarsi anche una minima possibilità o almeno un’illusione?
E poi, passata l’età dei balletti cosa resta a parte imitare i giovani di plastica della nuova mandata e parlare del tempo (quello meteo chiaramente).

Detto questo, non stavo affermando che l’aumento della violenza nella società migliorerebbe la condizione di tutti coloro che sono stati marginalizzati dal sistema produttivo.
Non faccio il tifo per la violenza, sia per indole che per calcolo, e, per quanto riguarda il “movente” di questa eventuale “violenza”, specifico che non ce ne frega proprio niente di andare a lavorare per otto ore il giorno (o nove, o dieci, o…) per tutta la vita soltanto per riempire le discariche di spazzatura o alimentare gli inceneritori, fino al giorno che si viene liquidati con una cesta di frutta e torroni. Questo non può essere un obiettivo. Non più.

Lo so anche io che il sistema e chi succhia alle sue mammelle possono dormire sonni tranquilli non tanto per l’assenza di violenza (che invece è ovunque, ma distribuita orizzontalmente), ma per l’assenza di ogni forma di dialettica, di logica e di buon senso nel corpo sociale.

Però…
Però dispiace sinceramente che, mentre noi restiamo a casa secondo le necessità di qualcun altro, dei bambini, in qualche paese “emergente”, vadano a lavorare al posto nostro; piuttosto che a scuola, piuttosto che a giocare, in cambio di una manciata di riso. Nient’altro.

Dispiace che la nostra inoccupazione non significhi la fine del sistema becero dei consumi, ma soltanto la reintroduzione della schiavitù in zone che il linguaggio del capitale chiama: zone di espansione economica o roba del genere.

Un po’ mi dispiace anche che la sinistra culturale si accontenti di dire che la produzione materiale si è smaterializzata, lasciando la questione sospesa…
Rimane un vuoto increscioso riempito invece dall’estrema destra che non nega, anzi esalta, il dato incontestabile che dietro qualsiasi oggetto-merce stia scritto: “fatto (da qualcun altro) da qualche altra parte”. Cosa che per la sinistra pare oggi irrilevante, ma non lo è, o almeno non è vissuta come tale, per chi si trova senza occupazione (e reddito) in Europa.
Così il fronte nazionale in Francia raggiunge il 20% E alle prossime elezioni andrà diretto al ballottaggio.
Aspettando nuovi paradigmi c’è chi non sa più che pesci prendere.

Me ne rendo conto che ognuno di questi argomenti meriterebbe davvero di essere discusso e approfondito. Ma con chi? Dove? Su facebook? Al pub? Nei luoghi della politica? Boh.
Sarà sindrome da accerchiamento, ma ho soltanto la sensazione di un mondo saturo di soggetti che hanno strutturato i propri scopi intorno al diventare ganzi e famosi.
Deve essere meteopatia o misantropia. Spero di guarire, sto provando con l’argilla.

I rassegnati.
Comunque. Mentre gli -indignati- sono stati neutralizzati dai “sistemati” da una parte e dagli “arrabbiati” da quell’altra… i “rassegnati” chi cazzo sono?
Il discorso dei “rassegnati”, che costituiscono una branca degli -inoccupati- merita una precisazione che né può essere fatta dal sistema mediale, né tanto meno essere richiesta dal telespettatore, che aspetta il capitombolo del cucciolo per sentire le risatine registrate.

Uno non è che rimane a casa piuttosto che andare a cercare lavoro perché è arrivato alla canna del gas, piuttosto per evitare di arrivarci. Svegliarsi tutte le mattine con l’idea di andare a farsi prendere per il culo è peggio che andare a lavorare.
In fondo cosa si chiede a masse intere di individui, se non equiparare la ricerca perpetua di un lavoro a lavoro socialmente utile non retribuito. Accettare di logorarsi passando la propria vita a cercare una cazzo di occupazione, in modo che le imprese (che però chiudono lo stesso) possano continuare a mantenere la loro presunta competitività.
Così dovrebbe passare la vita di buona parte della popolazione in età adulta. Fra smanie, depressioni, sensi di colpa e lotterie. Aspettando che torni il sereno o almeno arrivi la vecchiaia.
Nel frattempo, come dicono nei fumetti, anche quella che era la piccola borghesia nazionale è andata in fanteria, assorbita dai giochi del capitale globale, disperdendosi in questa massa informe che stenta ad avere un nome.

Come mai le piazze sono vuote?
Qui il discorso diventerebbe lungo, ma in uno slancio di sintesi dico che le teste devono essere piene perché le piazze siano vuote.
Ben sapendo di avere pochi lettori ma esigenti, non me la voglio cavare con una frase ad effetto e fornisco ulteriori suggestioni.. Per esempio: questa nominalizzazione (rassegnati) serve proprio per bloccare i soggetti sociali.
-Rassegnato sarà lei!-
“Rassegnato” è solo un sinonimo mediaticamente accettabile di “sfigato”.

Per generazioni cresciute nella rigida propaganda causa-effetto delle generazioni precedenti, per cui tutto quello che si ottiene è merito o demerito personale e direttamente proporzionale al proprio impegno, accettare il ruolo di “rassegnato” significa un tradimento generazionale. Sarebbe come uccidere i genitori.
E’ comodo anticipare ai padri le opportunità che spetterebbero ai figli. Ciò neutralizza padri e figli.

Chi è cresciuto in questo sistema è stato allevato secondo la speranza del successo-mediatico e dentro una “logica” da gioco di ruolo onnipresente. Questo esclude il fatto che possa accettare un ruolo scomodo e un ruolo non si accetta finché non si socializza. Andare in piazza significherebbe divenire “rassegnati”, non tanto la rassegnazione in sé.

Inoltre, per andare in piazza ancora manca la coscienza di ciò che dovrebbe essere chiesto. Eppure è semplice: soldi.
Soldi, quattrini, palanche, vaini, sghei, grana… money!
E’ semplice, ma complicato.
Solo ai padroni riesce bene chiedere soldi gratis. Deve essere per questo che sono i padroni.
Basterebbe? No di certo. E’ chiaro che no. Ma sarebbe almeno un inizio interessante.
Buon 25 Aprile.

Gianni Casalini
25/04/2012

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Anatomia del nemico

Non sto dicendo che i diritti umani non contano. Sono importanti, ma non sono la lente adatta per capire le grandi ingiustizie del mondo in cui viviamo.”
Arundhati Roy

Un breve post per segnalare uno degli articoli più lucidi e taglienti che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi.
Si tratta de “I fantasmi del capitale” della scrittrice indiana Arundhati Roy. Pubblicato sul settimanale indiano Outlook e in Italia da Internazionale, sul numero 943del 6/12 Aprile 2012. [1]

Il pregio principale di questo articolo è di essere comprensibile senza per questo tralasciare, trascurare o semplificare. Raramente questo stato di grazia tocca gli intellettuali italiani, che considerano pregevole invece essere verbosi con poche idee. Questo non significa che niente possa essere aggiunto o che non siano possibili critiche alle tesi dell’autrice. Tutt’altro, ciò lo rende possibile.

Leggendo l’articolo si capisce che l’India (così come la Cina) è terribilmente vicina e le sue differenze , in un sistema globalizzato, ci permettono di comprendere ciò che non appare chiaro alle nostre coordinate geografiche. L’anello mancante della catena della nostra percezione.

L’articolo di Arundhati Roy recita nell’occhiello: “L’India è controllata da poche famiglie di industriali che si sono arricchite con gli espropri, la corruzione e le privatizzazioni. Ma il capitalismo è al collasso ed è arrivato il momento per gli sfruttati di riprendersi il futuro…”

Anatomia del nemico.
Gli argomenti di cui tratta sono tutti fondamentali per la comprensione del nostro tempo e meriterebbero di essere sviscerati uno per uno. Mi limito in questo post a esporre pochi appunti su una questione che mi sta a cuore: “la gestione del nemico” da parte del potere.

Ho sempre apprezzato la capacità di liquidare con frasi lapidarie questioni all’apparenza ingarbugliatissime. Per esempio: “Quando il Fondo monetario, mettendo in atto i suoi aggiustamenti strutturali, ha costretto i governi a tagliare la spesa pubblica per la salute, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia e lo sviluppo, le ong si sono fatte avanti. Privatizzazione Totale vuol dire anche Ong-zzazione Totale.”

L’utilizzo della filantropia, delle fondazioni e delle ong nella gestione delle funzioni del potere è stato esposto ampiamente da svariati autori. [2]
L’autrice dell’articolo non tralascia niente a proposito di questo legame ambiguo, dalle radici storiche alle forme moderne di “gestione delle percezioni”, e la lettura del paragrafo “Ingegneria sociale” è illuminante.

Tento una sintesi personale del discorso, non per esonerare qualcuno dal leggere per esteso il testo, ma per utilità in ciò che intendo dire in seguito.
Il concetto di “gestione delle percezioni” diventa rilevante quando il potere è espressione di un sistema economico che deve promuovere la libertà di scelta nei consumi e nelle abitudini di una parte estesa di salariati, la così detta “classe media” ed escluderne il resto.
In altre parole: deve agire su un doppio binario, quello della repressione militare (a vario livello) e quello della percezione dell’armonia sociale da parte di coloro che gestiscono il loro sudato potere d’acquisto.
Questa divisione non è così netta, esiste come tendenza e appare nitida soprattutto in un paese “emergente” come l’India, in cui la produzione materiale è tutt’altro che “evaporata”. [3]

Il nemico.
Arrivo al punto.
Per il potere la gestione del “nemico” costituisce la “prima scelta” e il contrasto la “seconda scelta”. Credo sia ragionevole affermare che sia la prima che la seconda scelta costituiscono livelli diversi di un piano politico-militare.
Per la mia elaborazione dei concetti è stato utile utilizzare una distinzione lessicale. Cioè la differenza tra il falso-nemico e il nemico-falso.

Considero il falso-nemico, un “nemico” promosso dagli apparati mediali e dal potere per occupare l’area del dissenso e renderla asfittica per idee e soggetti in grado di leggere la realtà e di promuoverne una trasformazione.
Nella promozione di un falso-nemico rientra quindi la certificazione di “pericolo pubblico” da parte degli apparati del potere.
Una volta ottenuta questa certificazione esso è creduto vero dal target per cui è stato pensato e promosso. Nella messa in scena di un contrasto il target è duplice, quello del proprio campo e quello del campo opposto.

Un esempio noto a chiunque è quello di Osama Bin Laden: uno degli esponenti recenti più spettacolari per questa categoria.
Un falso-nemico deve sempre produrre una fortissima intensità emotiva. L’intensità emotiva è la materia prima che il sistema mediale elabora e rigurgita sugli spettatori dei due campi opposti (splitting).

Per funzionare un falso-nemico è necessario che molti lo considerino un vero amico. Questo si vede bene non solo nel’esempio fatto prima, ma in ogni nemico temporaneo promosso dal mediale in cui il soggetto della “promozione”, che sia l’extracomunitario, l’islamico, l’adolescente ecc, pur di raggiungere l’intensità spettacolare del proprio doppio mediatico, può finire in certe condizioni per adottare i comportamenti violenti e irrazionali con cui viene descritto. Essere un nemico è considerato più accettabile che non essere niente. [4]

La categoria “terrorismo” si presta bene a questa elaborazione. Talmente bene che in tempi recenti è stato generalizzato oltre ogni limite così da essere usato nei modi più fantasiosi.

Un nemico-falso, invece, appartiene realmente alla categoria del dissenso “sostanziale” ed esso viene disinnescato con la stessa ragionata passione con cui un falso-nemico viene innescato.

Il potere spettacolare non si limita a dare un senso all’ingiustizia esso vuole gestire il dissenso dall’interno. Qui subentrano i vari meccanismi di sponsorizzazione o ong-zzazione nel caso dei paesi più poveri. [5]

Mentre il falso nemico è da rifiutare integralmente, in quanto prodotto spettacolare del sistema di potere, il nemico-falso ingloba in sé soggetti sinceramente interessati a promuovere un cambiamento e un progresso sociale. Spesso agiscono all’interno di questi spazi perché sono gli unici ancora accessibili sia pure in condizioni limitate.

Su l’importanza di questo meccanismo cito di nuovo Arundhati: “La trasformazione dell’idea di giustizia nell’industria dei diritti umani è stata un’impresa concettuale in cui le ong e le fondazioni hanno avuto un ruolo fondamentale. L’ambito ristretto dei diritti umani consente un’analisi delle atrocità in cui diventa possibile astrarsi dal contesto e biasimare entrambe le parti di un conflitto –i maoisti e il governo indiano, l’esercito israeliano e Hamas- perché violano i diritti umani. L’accaparramento delle terre da parte delle aziende minerarie o l’annessione israeliana dei territori palestinesi si riducono così a dettagli irrilevanti rispetto al discorso dominante. Non sto dicendo che i diritti umani non contano. Sono importanti, ma non sono la lente adatta per capire le grandi ingiustizie del mondo in cui viviamo.”

Evidente è anche l’utilizzo mediale di questo principio: tutti hanno torto quindi possiamo solo fare denunce di principio o rimanere imparziali.

Questo, a mio parere, significa anche che dove la parte più debole di un conflitto, da credito a principi di disumanità o arretratezza sociale in nome della rudezza del conflitto stesso, o delle contrapposizioni identitarie, si espone ad un sabotaggio dall’interno e all’isolamento internazionale. Io credo che “restare umani” abbia valore prima di tutto da parte dell’oppresso, per non validare la propria oppressione. [6] Almeno in questo l’ utilizzo strategico dei temi come i diritti umani da parte del potere può dar luogo a esigenze progressive e, se sufficientemente compreso e agito, ritorcersi contro a chi lo ha usato strumentalmente.

Conclusioni.
Al di là di ogni possibile complotto io rimango convinto che il potere non giochi a dadi.
Pochi hanno capito a fondo la natura duplice di ogni manifestazione del reale al pari di coloro che forniscono le capacità al mantenimento dello stato di cose. Essi sanno benissimo che gestire il dissenso significa agire su molti piani. Due di questi piani sono quelli che meglio rappresentano un pericolo per le elite al potere.

Io chiamo questi piani: la via della solidarietà e la via dell’antagonismo. Quando la radice della solidarietà non sta nell’antagonismo e la radice dell’antagonismo non sta nella solidarietà essi risultano inefficaci.
Lo scopo strategico del potere è agire da lontano per favorire la loro vanificazione reciproca.

Esiste un terzo “nemico” di cui non ho parlato, ma vale la pena accennarlo, almeno per la sua funzione. E’ trasversale alle due vie. Si tratta dei narcisisti e identitari nel campo dell’antagonismo e degli opportunisti nel campo della solidarietà.

Il terzo nemico emerge spontaneamente e rappresenta una sintesi fra il falso-nemico e il nemico-falso. Esso è fondamentale nell’attuazione dei meccanismi disgreganti, così come per mantenere e promuovere la disarmonia fra le due vie qualora la situazione per il potere si facesse critica.

Il terzo nemico è più ingombrante nei paesi in cui è diffuso il consumo e minore la miseria materiale estrema. Gli apparati del potere non devono fare niente di particolare per agire su di esso, dato che esso di “eccita” da solo al momento opportuno.

Affinché niente cambi tutto deve cambiare, lo sappiamo. Sappiamo anche che una parte dello stipendio che è stato fornito alle precedenti generazioni di salariati nella zona del consumo è stato versato per credere al discorso ufficiale. Per farlo proprio. Per confondere l’ideologia con un dato di fatto. In un certo senso un contributo alla credulità. Adesso non ha alcun senso pagare per credere ciò che si ritiene al sicuro di ogni possibile smentita.

La gestione del nemico è uno dei meccanismi strategici che rendono possibile questo abbattimento dei costi di gestione a livello planetario.

Personalmente credo che l’ultima lotta possibile sarà quella per la realtà. Una lotta di una complessità immane e di una semplicità disarmante.

Sul perché chi propone una menzogna abbia sempre uno scarto su chi la rifiuta ci si dovrà interrogare a lungo, anche meglio di come è stato fatto finora, ma questo non esonera nessuno dal dotarsi delle lenti più adatte per capire le grandi ingiustizie del mondo in cui viviamo. Come ci fa giustamente notare Arundhati Roy.

Gianni Casalini
19/04/2012

[1] Consiglio di leggerlo nella versione cartacea. Ho trovato anche traduzioni online però mi hanno lasciato qualche dubbio… Se conoscete bene l’inglese questo è il link originale: http://www.outlookindia.com/article.aspx?280234

[2] Ho trovato interessante in Impero, Michael Hardt/Antonio Negri (2000), il cap. V, parte terza: Costituzione mista.
Dal paragrafo La piramide della costituzione globale: “Secondo alcuni critici, le ONG, in quanto organismi che si pongono al di fuori e contro gli stati, sarebbero compatibili e funzionali al progetto neoliberale del capitale globale. Costoro ritengono che, mentre il capitale attacca il potere degli stati-nazione dal basso, le ONG conducono una «strategia parallela» che agisce ad un livello superiore e che rappresenta il «volto comunitario» del neoliberismo. Da un certo punto di vista non è scorretto affermare che molte ONG agevolano il progetto neoliberale del capitale globale; tuttavia, occorre fare molta attenzione a non ridurne le attività a questa unica funzione. Il fatto di essere non governative (e, talvolta, in opposizione ai poteri degli stati-nazione) non significa che queste organizzazioni siano automaticamente allineate con gli interessi del capitale.”
La questione è trattata da Naomi Klein in Shock Economy (2007). In particolare nel capitolo 5: “Assolutamente non correlate”. Come un’ideologia è stata ripulita dai suoi crimini, viene approfondito il discorso dell’utilizzo strumentale dei diritti umani nell’america latina degli anni ’70. Significativo è il titolo del secondo paragrafo: I paraocchi dei “diritti umani”.

[3] Nei paesi emergenti si arriva alla coscienza di far parte di una classe produttrice provenendo dal basso, cioè dalle classi basse di un’economia tradizionale. Nei paesi post-industrializzati, come i paesi europei, ci si sta accorgendo di far parte della classe sociale dei lavoratori retrocedendo dall’alto. Cioè dalla classe media di un sistema consumistico.

[4] Questo ricorda la caccia alle streghe che ha mandato sul rogo molte donne realmente convinte di essere streghe.

[5] Per analogia con un termine ampiamente usato nel mondo dello spettacolo (con la s minuscola) io chiamo questo meccanismo che comprende sia la “sponsorizzazione”dei nemici-falsi che la “promozione” dei falsi-nemici: casting.

[6] Un meccanismo psicologico piuttosto semplice fa si che, una volta messe le due parti di un conflitto sullo stesso piano, lo spettatore scelga automaticamente quella che gli/le assomiglia di più. Questo spiega, ad esempio, perché lo stato di Israele si dia così tanto da fare per sottolineare la propria “occidentalità”, e, sempre a mio parere, perché Hamas si dia tanto da fare per allontanarla dal popolo palestinese.

 

 

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Meditazione in Supermarket

“Una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici.”
K. Marx

La merce.
Tengo in mano una bottiglia di aceto, sapete di quelle a prezzo basso che si trovano adesso nei supermercati. Esiste tutta una linea di prodotti a basso costo che hanno tutti la stessa etichetta appositamente studiata per essere priva di ogni valore estetico. Anzi esteticamente un po’ ripugnante…
Per ogni categoria merceologica esiste un prodotto spogliato dalla sensualità dell’immagine e restituito nudo e inappetibile al mercato, ma a prezzo vertiginosamente basso se paragonato agli altri prodotti della stessa categoria. Esso non ha un nome proprio, quindi la varichina si chiama “varichina” e non si chiama (per dire) “Biancaneve”, il nome dei biscotti è: “biscotti” e cosi via. Come se il tuo cane si chiamasse “cane” e non Toby, Aldebrando, Mefistofele o che ne so io…
E’ una linea molto… triste, ma dotata di un fascino oscuro. E’ una merce post-feticista. Nel senso del post-, che non supera realmente qualcosa ma si posiziona di lato.
Io la chiamo “patto di Varsavia”.

Da un certo punto di vista è come se invece che entrare in camera tua una mistress dal corpo tirato e nervoso, capelli neri corvini, occhi penetranti, sguardo glaciale, lunghi stivali neri in pelle con tacchi a spillo, perizoma in latex e frustino in mano arrivasse invece tua zia che è appena rientrata dall’orto con gli stivali di gomma motosi e ti volesse prendere a ramazzate perché ti sei dimenticato di chiudere il rubinetto e le hai allagato i pomodori.
Hai voglia a dire che è uguale, non è la stessa cosa.
E’ per questo che sono falliti i paesi del così detto “socialismo reale”, perché la merce assomigliava tutta a tua zia che ti vuole prendere a ramazzate.
In questi paesi c’era, inoltre, il problema che quando uno sconosciuto suonava alla porta non si trattava del solito scocciatore intenzionato a rifilarti un pacco qualsiasi, ma di una autentica polizia politica segreta venuta a prelevarti per deportarti in qualche simpatico gulag siberiano nel nome del proletariato.
Insomma il socialismo reale era davvero scomodo.

Questo non significa che l’URSS e i paesi del blocco “socialista” fossero dei brutti posti. Anzi erano splendidi, bastava starsene altrove. Questo era il punto di vista degli stalinisti nostrani. Erano convintissimi che il socialismo reale fosse bello là dove era e per non sciuparlo era bene che rimanesse tutto lì.

Va detto che per più di uno di costoro (quasi tutti maschi) i paesi dell’est europeo erano Disneyland e siccome quando erano qua apparivano per quello che erano: dei grigi e polverosi funzionari di partito (non importa neanche quale), quando varcavano la cortina di ferro potevano assaporare il senso del privilegio che faceva di loro dei prestigiosi ospiti della nomenclatura e soprattutto potevano chiavare in cambio di poche merci che nell’occidente borghese e decadente non valevano un cazzo. [1]

Devo concentrarmi. La concentrazione è la premessa della meditazione. Se divago devo essere consapevole che sto divagando, e se non sto divagando devo essere consapevole che non sto divagando. L’acume è una questione di consapevolezza… e non c’è posto migliore del supermercato per meditare. Dico sul serio. Non sono nemmeno il primo a rendermene conto. Voglio dire, anche altri che se ne intendono di brutto…

Il supermarket è la zona chiara nel campo oscuro della produzione massiva delle merci. Il margine assoluto. E’ pieno di certezze e carezze della mamma. Il mondo si rispecchia qua dentro ma in forma gentile, morbida, seducente. Regna sovrana l’armonia mercantile; la tregua dai contrasti sociali, dalle spigolose differenze e dalle tensioni irrisolte del mondo esterno.
Qui, dove la merce viene scelta dagli uomini, è il luogo della pace, della fratellanza e dell’amore.
Ma appena varcata quella porta automatica la merce si trasforma in spazzatura e il consumatore viene sbattuto in una meschina battaglia di cui ignora cause, moventi e contorni.

Ma restiamo qua dentro. Respiriamo profondamente l’aria condizionata, ascoltiamo la musica diffusa in sottofondo. Ad ogni respiro l’aria entra ed esce più lentamente. Lasciamo che entri sempre più in profondità e immaginiamo che raggiunga ogni parte del nostro corpo. Così ad ogni respiro il corpo si rilassa e la mente si concentra. Sempre di più. Sempre più a fondo.
Gli occhi abbandonano ogni tensione, e sempre più sgombri dall’illusione vedono. Gli occhi hanno adesso la luce necessaria per riuscire a vedere.

Nel supermarket il “ranking”, la classifica sociale, è stratificata per ordine di scaffali. Quando tieni in mano un prodotto dell’ultima linea -quella gran risparmio- ti chiedi come hai fatto a cadere così in basso. Ti senti un depravato.
Ci sono però delle eccezioni. Prendiamo la varichina. La varichina è varichina qualsiasi cosa ci si possa scrivere sopra. Quale che sia la sua etichetta, il suo marketing, la pubblicità o l’idea che mi posso fare, quello è il contenuto. Così l’ammoniaca. Così tutti i prodotti che hanno un valore strettamente quantitativo. Quindi trovo anche un po’ ridicolo il consumatore che passando tra gli scaffali spende di più per un prodotto identico.
Questo è un margine; il margine quantitativo della merce e una volta raggiunto il margine si ha una inversione. In questo caso il prodotto che ha il maggior valore “qualitativo” è quello che ha il minor prezzo quantitativo.

Dicevo la gerarchia è ordinata per scaffali, sì, ma non in ordine crescente dal basso verso l’alto. Piuttosto secondo una gaussiana. L’importanza è massima all’altezza degli occhi del consumatore, per poi decadere verso l’alto e verso il basso. [2]

Così come ogni virtuoso deve coltivare almeno qualche depravazione affinché il suo mondo non si ribalti interamente nel vizio, ogni consumatore prestigioso compra almeno un prodotto dozzinale con la giustificazione che di quel prodotto basta la presenza. In realtà esso è la sua trasgressione.
In generale trovo la linea “gran risparmio” (alias “patto di Varsavia”) affascinante perché è come se rappresentasse un doppio di tutte le categorie merceologiche. Il doppio povero del consumo. Il fratello ipodotato. La linea vintage filo-sovietica in epoca post-moderna…

In URSS non ci sono mai stato, il mio contatto diretto con la realtà dei paesi dell’est è stato il primo viaggio a Praga nel 1992 poco dopo la caduta dei regimi del blocco sovietico. Praga era la capitale della Cecoslovacchia e in quel momento di passaggio era un luogo pieno di contraddizioni di ogni tipo, anche estetiche.
Giravano per le strade della città soldati russi un po’ sbandati, nell’indifferenza generale; avevano l’aria poco raccomandabile, spesso erano ubriachi. L’atmosfera era surreale, si respirava più nervosismo e incertezza che entusiasmo, contrariamente a quanto ci veniva raccontato.
Mi piaceva la metropolitana, era bella, ben tenuta e soprattutto gratis.
Accanto ai nuovi negozi del centro delle catene internazionali come Nike, Adidas ecc uguali ad ogni altro negozio della stessa catena in ogni altra capitale europea, c’erano ancora negozi in perfetto stile socialismo reale, anch’essi m’immaginavo perfettamente identici ad altri negozi in qualsiasi altra capitale dell’ex patto di Varsavia.
Mi ipnotizzavano.
Ero capace di restare a guardarli per periodi lunghissimi e non riuscivo a capire cosa mi affascinava. Non la merce, casomai la sua assenza.
Esibivano vetrine spoglie, ma in modo del tutto particolare. C’erano pochi prodotti e ogni negozio li metteva in mostra.
Dentro la stessa vetrina venivano esposti: una scatola di biscotti, un paio di scarpe, dei cacciaviti e qualche altro oggetto insulso. In mezzo ad ogni prodotto c’era un vuoto talmente vuoto che non meritava neanche di essere decifrato. Di solito erano polverosi. Ricordavano sentinelle che avessero atteso il tempo della decadenza del sistema che li aveva prodotti e, perfettamente consapevoli che quel tempo era stato già raggiunto e ampiamente superato, non avessero più nemmeno un falso scopo da ostentare. Una volta dovevano essere state sentinelle patetiche e presuntuose. Adesso erano solo patetiche.
L’equivalenza di ogni negozio cecoslovacco con ogni altro negozio cecoslovacco e di questo con ogni altro negozio nell’est europeo ricordava quella di ogni negozio occidentale con altri negozi occidentali, ma in modo inverso. Era il mondo visto al contrario.

Le merci del patto di Varsavia non assomigliavano alle merci di un mercato dei paesi poveri con economia tradizionale; erano merci moderne a tutti gli effetti, ma in un sistema privo dell’abbondanza mercantile.
Davano l’impressione di un bambino che avesse giocato a riprodurre qualcosa del mondo degli adulti.
Stavo osservando la merce nuda, e non vedevo il nudo della modella ritratta dall’artista oppure il nudo sensuale della pubblicità, bensì il nudo burocratico della visita per la leva militare.
Il Re non era nudo, ma i sudditi sì.

La linea “patto di Varsavia” del supermercato moderno parte da un movimento opposto rispetto alla vera merce del vero patto di Varsavia; essa non è merce scadente prodotta con la pretesa di essere di ottima qualità, ma è merce prodotta per essere palesemente scadente diminuendo tutto quello che può conferire qualità ad una merce, così da giustificarne il prezzo basso rispetto alle altre merci della stessa categoria e, con ciò, senza entrare in concorrenza con esse. Cioè: le merci del patto di Varsavia volevano assomigliare alle nostre, ma non ci riuscivano perché simulavano un “gioco” a cui non appartenevano. Invece le merci “patto di Varsavia” tendono al basso per differenziarsi dall’illusione qualitativa delle altre merci sugli scaffali. Fanno finta di essere fuori dal gioco.
In particolare: una merce per essere riconosciuta come qualitativamente infima deve rinunciare all’immagine ed a volte solo a quella. Tanto basta per esser della casta dei senza casta.
Essa è oscena, ma in un mondo che non esclude più niente dalla scena. [3]

Trovai per la prima volta questi prodotti low-cost in un supermercato occidentale qualche anno dopo, nel 1997 in Inghilterra, dove al cambio di allora erano quelli che maggiormente riempivano i carrelli degli italiani. Per inciso in quegli anni avevamo un elevato potere di acquisto in Italia e basso in Inghilterra. Tali prodotti non esistevano da noi. Allora per la prima volta mi venne in mente l’accostamento con le merci del patto di Varsavia.

Erano gli anni in cui ancora godevamo del beneficio economico di essere stati la vetrina del capitalismo. Eravamo stati l’erba del vicino che doveva essere sempre più verde.
L’Inghilterra invece era già stata digerita da un pezzo e lì si potevano osservare le evoluzioni post-blocchi: smantellamento dello stato sociale, aumento del costo della vita, divario della forbice della ricchezza, aumento vertiginoso del costo degli immobili, stagnazione o diminuzione dei salari e così via. Un operaio italiano allora era sostanzialmente più ricco di un operaio inglese.

Basta questo a spiegare il fascino del sub-valore? Non credo,  esiste almeno un altro piano che ho appena sfiorato. Per descriverlo uso le parole dello scrittore polacco Witold Gombrowicz nella prefazione all’edizione francese del suo romanzo Pornografia. “L’uomo si sa tende all’assoluto. Alla pienezza. […] In Pornografia invece, secondo me viene fuori un altro scopo dell’uomo, uno scopo più segreto, e in un certo senso meno legale: il suo bisogno dell’Incompiutezza… dell’Imperfezione… dell’Inferiorità… della Gioventù…”

Se le vere merci del vero patto di Varsavia parevano merci orfane, quelle della linea “patto di Varsavia” hanno invece molti padri, perché, come dice un proverbio arabo: “la vittoria ha molti padri, solo la sconfitta è orfana”.
Le prime erano il segno di una sconfitta, mentre le seconde sono il segno di una vittoria talmente eccessiva da risultare ingombrante.

E se la merce “di punta”, quella costosa, può esercitare il fascino del vincitore, quando tieni in mano un prodotto “patto di Varsavia” ti senti un depravato, ma in un senso del tutto originale. Criptico.
Come nella fantomatica repubblica popolare di Kroda, dei fratelli Ruggeri (se la ricorda nessuno?) dove l’antigelo era ottimo anche come digestivo e la ferramenta era anche il Sexy Shop…
Così questa bottiglia di aceto che costa meno di una bottiglia vuota io la metto nel carrello. Non ci condirei niente, ma è ottimo per pulire le superfici.

Gianni Casalini
San Miniato 09/04/2012

[1] Non mi riferisco qui ai “neo-stalinisti” contemporanei, che sono generalmente soggetti affetti da quella che io chiamo la “nostalgia dei padri”. Siccome il discorso prenderebbe una piega psicologica superflua, mi limito a precisare che dopo la caduta dell’URSS non ci sono più stalinisti in Italia (ideologicamente orientati).
Fatta eccezione per qualche nostalgico residuale, si tratta piuttosto di giovincelli, o presunti tali, che interpretano il ruolo del comunista nell’immaginario televisivo. Ruolo che può essere solo: caricaturale, retorico, tronfio e, ovviamente, stalinista. Così che, tante le volte in qualche reality servisse un “comunista”, loro sono già pronti per il casting.

[2] Come si dice in Toscana: j’è tutto un dassela ad intendere. E’ bene considerare che i prodotti industriali ostentano una grande varietà di prezzo e d’apparenza, sebbene, in genere, siano tutti uguali. Per fare un esempio la quasi totalità di ciò che serve per lavare il corpo: saponi, shampoo e compagnia bella, altro non è che sodio laurilsolfato che viene “truccato” in vario modo con additivi, profumi ecc.

[3] “Nel 1967 distinguevo due forme, successive e antagonistiche, del potere spettacolare: quella concentrata e quella diffusa. Entrambe aleggiavano sulla società reale, come suo scopo e sua menzogna. La prima, mettendo in risalto l’ideologia riassunta intorno a una personalità dittatoriale, aveva accompagnato la controrivoluzione totalitaria, sia nazista che stalinista. L’altra, incitando i salariati a effettuare le loro scelte tra una grande varietà di merci nuove in competizione, aveva costituito quell’americanizzazione del mondo che per certi aspetti spaventava, ma soprattutto affascinava i Paesi in cui le condizioni delle democrazie borghesi di tipo tradizionale avevano potuto mantenersi più a lungo. Successivamente si è costituita una terza forma, attraverso la combinazione ragionata delle due precedenti,  e sulla base generale di una vittoria di quella che si era mostrata più forte, la forma diffusa. Si tratta dello spettacolare integrato, che tende ormai a imporsi su scala mondiale.”
IV – Commentari sulla società dello spettacolo, Guy Debord (Parigi, 1988)

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NONVIOLENZA

Una cosa che non ha mai capito della gente?
Non capisco quelli che hanno troppo tempo libero e lo usano male. E poi quelli che fanno gli opinionisti su internet.
Intervista ad Ambra Angiolini, -D- del 14/01/2012

Certo che quando uno è in fila al centro per l’impiego gli vengono in mente i peggio pensieri. No sul serio. Io ci provo a concentrare la mente ecc ecc, ma non è così semplice come quando ti trovi comodamente seduto in una stanza pulita e luminosa, con musica rilassante di sottofondo, dove è possibile percepire il respiro che diventa pian piano sempre più calmo, lento e profondo.
Qui è tutt’altra cosa. Questo è il centro della depressione contemporanea.
Va detto che per la mia crescita spirituale un minuto di distacco qua dentro vale quanto diecimila ore seduto sul bordo di un fiume soavemente silenzioso. Almeno credo. Cioè sì. Sennò che ci verrei a fare?
A cercare lavoro?
Macché, non scherziamo. Nessuno ha mai trovato lavoro in questi cosi.
Da quando esistono gli unici che c’hanno trovato un impiego sono quelli che ci sono impiegati (in Toscana, siccome siamo un posto civile: solo donne o diversamente abili).
A me comunque non hanno rubato niente, è giusto precisarlo, perché io come impiegato non mi ci vedo granché; non sono portato. Anche se qui, almeno da un occhio esterno, sembra che il lavoro si basi su alcuni gesti semplici che pure io riuscirei a compiere… Tipo arriva uno che cerca lavoro: gli chiedi se è in regola con la burocrazia. Questo non lo sa, ma passi oltre tanto non serve a niente. Gli chiedi se ha compilato il curriculum. Se sì passi oltre, se no gli spieghi come compilare il curriculum online.
Uomo curriculato mezzo salvato (stesso dicasi della donna s’intende). A questo punto gli mostri dove sono affisse le offerte dei centri territoriali per l’impiego. Poi gli fai vedere i giornali da consultare. Poi gli chiedi se vuole fare un corso finanziato dalla regione coi finanziamenti europei. Poi gli fai capire più gentilmente possibile che sono cazzi suoi.

Ai giornali.
Siccome tutte le postazioni internet sono occupate (affollata la faccenda oggi) mi siedo al tavolo rotondo dove si consultano le offerte sui quotidiani.

Mi torna in mente qualche giorno fa che ero a pranzo dai miei che, siccome loro guardano la televisione (io ho smesso perché mi deprime troppo), stavano vedendo un programma di Rai Storia. Curioso. Un programma degli anni ’70 scritto e, credo, diretto da Stefano Rosso. Sapete quello di: -che bello due amici una chitarra e uno spinello… ecc ecc-. Ecco lui ha fatto anche dei programmi televisivi. Io non lo sapevo, ci voleva Rai Storia sul digitale terrestre e pure i miei genitori che guardano la televisione…
Fatto sta che era proprio la storia di un giovane disoccupato a Roma negli anni ’70 e, per farla breve, raccontava di lui che di lavoro cercava lavoro e faceva vedere come tutte le mattine entrava e usciva dal centro per l’impiego, che allora si chiamava barbaramente -Ufficio di collocamento- senza cavarne niente, e per forza, dico io, con un nome del genere.

Vabbé che la storia era ambientata a Roma e non in un posto civile come la Toscana, ma facevo per dire che uno rischia di non essere neanche originale a farsi delle opinioni, nonostante sia passato un sacco di tempo.

Al computer.
Finalmente si libera una postazione. Devo giust’appunto aggiornare il curriculum… mi sono venuti in mente un paio di aggiustamenti per farlo sembrare più… rotondo.
Mi rendo conto che non sono nella postazione adatta; funziona, si naviga e tutto, ma la tastiera è scassata. Sapete quelle tastiere coi tasti duri che rimangono un po’ bloccati un po’ no e tornano su solo se ci batti in un certo modo. Ecco se c’è una cosa che mi fa girare le palle sono le tastiere scassate a questo modo.

Delle cose però sono cambiate. Dicevo rispetto al telefilm di Stefano Rosso. Cose che non sfuggono ad un sottile osservatore come me…
Intanto quello che entrava ed usciva dal centro per l’impiego di allora era un giovane carino, vestito casual, dall’aria fresca e sfigatella di chi ha ancora tutto il mondo davanti. Adesso al centro per l’impiego ci vengono persone di ogni età, ben vestite e dall’aspetto curato, ma non tanto i giovanissimi che sono invece là fuori a cercare di diventare ballerini e cantanti.
Qui invece sembrano tutti impiegati di mezza età e di alto livello che passano per caso.
Questo è un dato fondamentale: il decoro serve a non lasciare spazio al demone della sfiga. Il decoro…
Registro il dato che ogni anno questo posto è sempre più affollato (davvero, oggi pare giorno di mercato) e da gente all’apparenza ben inserita nel tessuto sociale. Il trend è in crescita, non aspettatevi sbarbini e raccattati, per capirci.
D’altronde lo spiegano tutti i manuali di auto-aiuto: dipende tutto da te e dal tuo approccio. Io ci credo.
Se uno parte che ha già addosso la divisa di uno che gli va di merda allora gli va di merda per forza.
Un po’ di decoro non guasta; bisogna mostrare serietà e competenza come se fossimo già inseriti nel posto che verrà.
Infatti sono tutti così concentrati… a parte quello accanto a me al computer che ha l’aria anche troppo popolare e mentre c’è la fila che aspetta un turno al computer, lui guarda le foto di Belen Rodriguez senza mutande. Legge con attenzione il commento e poi passa ad un sito di calcio. Mentre io sto cercando di risistemare il curriculum online con una tastiera mezza scassata questo tiene occupata una intera postazione con le sue cazzate! Cristo!
Se non fossi intensamente convinto che occorre pensare cose positive affinché avvengano cose positive mi lascerei andare a fantasie violente. Magari un altro, al posto mio, immaginerebbe la sua testa che esplode grazie alla sola forza del pensiero o cose del genere. Io invece no perché non voglio accumulare karma negativo e ci tengo a rimanere centrato nel mio essere autentico.
Per fortuna si alza e se ne va; e spero per lui che stia andando in qualche video noleggio a prendere un porno su cui farsi qualche sega meglio dedicata che alla farfallina sopra la fica di Belen.
Intanto posso rilassare di nuovo la mia mente ecc ecc.
E appena rilassata la mente anche quello accanto a me dall’altra parte si alza e se ne va.
Per dire che quando uno ha un approccio positivo rischia pure l’imbarazzo della scelta.
Adesso posso migliorare la mia presentazione sociale. Curriculum ergo sum. Sentito che roba. Potrei fare il pubblicitario, ma non mi sta simpatica la pubblicità. Essere persone di principio comporta qualche rinuncia, così controllo gli annunci lavorativi.
Quasi niente.
Un lavoro tipo: camionista con la patente anche per lo space shuttle purché madrelingua di cinque lingue, escluso italiano e compreso medio persiano, nonché buona conoscenza partita doppia.
Poi call center e altri pseudo-lavori. Apprendistato.
Sai qualcosa c’è… ma si tratta di addetti con esperienza decennale ad un modello di tornio poco diffuso nell’Europa occidentale, possibilmente transessuali, biondi, superdotati…
No pelosi o nemici dell’igiene. Astenersi poco seri, ectoplasmi e perditempo. Foto no ginecologica e cell. per rapido contatto.
Ma andate pure tutti affanculo.
Mando in stampa il curriculum così non ho fatto un giro a vuoto.

Ripenso alla fica di Belen con l’immagine del lepidottero che le svolazza appresso e a San Remo. L’anno scorso c’era un brutto governo politico di questi tempi, un governo che pensava solo ai pompini, e la democrazia era in serio pericolo. Era pure il centocinquantenario della nascita della patria.

La madre patria. Mi ha sempre fatto ridere questa espressione, perché patria deriva da pater e “madre patria” significa qualcosa tipo mamma-papa. Non è buffo?
Si vede di no, perché l’anno scorso, che la democrazia era in serio pericolo, arrivò a San Remo uno che di solito si occupa di far ridere la gente con ironia e intelligenza come Roberto Benigni che invece era serissimo! Cazzo se era serio. Arrivò addirittura a cavallo, sventolando il tricolore se non sbaglio. Cantava l’inno nazionale… Insomma altro che le mutandine inesistenti della Belen.
Quest’anno invece c’è un governo “tecnico”, lo appoggiano un po’ tutti, quelli che volevano distruggere la democrazia e quelli che la difendevano, e lo stivale sta meglio per forza; è tornato ad essere quel paese cazzone che, col tempo, tutti noi abbiamo imparato ad amare, a forza di pacche sulla spalla, olio di ricino, terrorismo di stato, fregature, smignottamenti e ritornelli orecchiabili.

A parte tutto, che Benigni è un bravo artista io lo penso davvero. Come penso davvero che la Toscana sia un posto tutto sommato civile. Dirò di più: potrebbe essere la regione più civile d’Italia! Soprattutto grazie ad una concorrenza davvero misera. Ogni modo non è un primato trascurabile.

… e io degli errori li ho compiuti in un posto così civile. E’ inutile nascondersi dietro un dito.
La Toscana non è una regione di quelle che non ti aiutano se sei nella merda. Anzi. Solo che anche un posto così civile non sfugge alle regole dello show.
Non basta essere in difficoltà, bisogna essere dei personaggi. Anche la solidarietà o il welfare vanno dietro alle regole dello spettacolo.
Per esempio io non ho maturato abbastanza punti spettacolo e me la devo rasciugare da solo. Mi spiego: se da queste parti non hai fatto un investimento del tipo essere un caso umano non ti meriti niente. Se hai fatto studi più o meno regolari, hai cercato di andare avanti e non hai dietro le spalle una comunità di recupero o un po’ di galera, una storia disperata e così via, buona parte dei lavori nelle cooperative e nel terzo settore ti sono preclusi. Non c’hai i prerequisiti. Gli altri settori invece stanno chiudendo i battenti.
Intendiamoci io ho sempre avuto paura degli aghi e non ho simpatia per l’eroina, bere sì, ma l’alcolismo non mi piace per niente e della galera… ecco ne faccio proprio volentieri a meno.
Quindi non valgo niente per lo spettacolo solidale. Altrimenti almeno un lavoro sottopagato in qualche cooperativa mi sarebbe toccato. Così no, e forse un giorno mi toccherà andare a lavorare in qualche altro posto meno civile. Giusto per campare.
Sempre che non diventi uno famoso o un super-eroe.

Benigni è un toscano doc, e noi in Toscana lo amiamo, e non è vero quello che dicono i maligni che abbia perso lo smalto di un tempo… solo che ha cambiato prospettive.
Adesso è maturo e si occupa di temi universali, e anche se volesse girare il sequel di -Berlinguer ti voglio bene- avrebbe già delle difficoltà a causa del titolo: -Bersani ti voglio bene- non fa nemmeno ridere, sembra una vanzinata. E’ proprio finito un momento storico; quello era un film sul sottoproletariato, oggi sarebbe solo un film sugli sfigati, e gli sfigati non fanno ridere fanno rabbia.
Così difende le istituzioni dai nemici della democrazia insieme a Napolitano.

Ma come faccio a conoscere tutti questi personaggi di spettacolo senza guardare la TV? Direte voi.
Semplice: perché ogni tanto leggo i giornali ed i giornali parlano della TV. Potrei smettere, ma non cambierebbe niente perché anche la gente parla della TV. -The show must go on- come cantava quel famoso iraniano divenuto una rockstar. La TV non si spenge mai. Neanche in questo momento. La “realtà” è la continuazione della finzione con altri mezzi.

Riordino un po’ i pensieri che mi frullano per il capo e poi penso che quando torno a casa scrivo qualcosa e la pubblico sul mio blog. Giusto per sfogazza. Così mi torna a mente quell’intervista ad Ambra Angiolini che ho letto sulla rivista -D- di Repubblica, trovata ancora incellofanata su una panchina mentre portavo il cane a pisciare ai giardini.
Ecco, adesso tutte le volte che mi viene voglia di pubblicare qualcosa sul blog penso ad Ambra Angiolini e mi sento un menco, che in toscano antico vuol dire stronzo.
Davvero, è castrante.
Avete presente Ambra Angiolini? Quella del gioco dello zainetto di Milena. Quella che indicava tre con le dita per dire alle sue amichette che sarebbero state sbattute in terza fila da Gianni Boncompagni, se facevano le smorfiose con lei. Che poi faceva le risatine senza senso in mezzo a discorsi senza senso di una trasmissione senza senso dove delle passerine giovani giovani con un gonnellino corto corto sculettavano continuamente per fornire materiale per seghe standard a intere generazioni di italiani rincoglioniti.
Come nel caso di Belen. Io preferivo farmi le seghe su qualche film della divina Moana Pozzi oppure andare a fantasia sulle mie compagne di studi. Che per fortuna erano cresciute prima perché le ragazzine più giovani invece assomigliavano tremendamente alle topine di -Non è la RAI-, e lì finiva la poesia. Allora meglio farsi le seghe sulle attrici porno piuttosto che sopra dei sospetti casi di lesioni cerebrali. Secondo me ci vuole una marcia in più per fare della vera pornografia rispetto a della cripto-pornografia per minorati, è questo il punto.
Di Ambra Angiolini si diceva: se fosse stupida come sembra non sarebbe in televisione, se c’è vuol dire che è intelligente e fa finta.
Era l’epoca dove bisognava dire che qualsiasi donna era intelligente. La versione spettacolare dell’epoca precedente dove bisognava dire che qualsiasi donna non era intelligente. A regolare l’equilibrio stava la legge generale dello spettacolo: tutto ciò che è buono appare, tutto ciò che appare è buono.
Ad un certo punto è ricomparsa in età matura con la qualifica di attrice di teatro. Di questo non ne so niente.
Adesso si occupa anche di diritti femminili. Nei talk show. L’ho sentita quella volta che le italiane sono scese in piazza indignate per il ruolo della donna in questo paese. C’era anche lei. Per dire come si cambia o come cambiano i tempi.
Io, però, se c’è una cosa che non capisco della gente è quella che perde il tempo a guardare finti programmi di approfondimento, fermo restando che ognuno il suo tempo se lo impiega come gli pare.

Infilo il curriculum nella cartella e siccome è ancora presto mi concedo proprio una sbirciata alle notizie sul giornale. Le solite stronzate.
Poi trovo una notizia sulla val di Susa. Questi della val di Susa non ne vogliono sapere proprio di farsi sfasciare la valle per causa di forza maggiore.
E chi trovo, proprio il presidente Napolitano che invita al buon senso nella protesta.
Poi leggo i titoli degli altri commenti. Soltanto i titoli. Superficiale? Per niente; è metodo il mio. So già cosa c’è scritto; è semplice: protestare con nonviolenza.
Ora io non voglio proprio finire a parlare di politica. Ne faccio solo una questione di chiarezza lessicale.
Vabbè, premetto che non sono molto intelligente sennò non sarei qui a cercare lavoro, anzi sarei ricco e famoso; soprattutto famoso, avrei una villa con un sacco di cani, e una moglie e figli e amanti che corrono felici nel giardino incantato della mia villa e tutto ciò sarebbe contenuto dentro un enorme fuoristrada grande come metà della Toscana con delle ruote alte centosessanta chilometri e larghe diciotto e il vento mi spettinerebbe i capelli ecc ecc. Però a differenza dello spettatore di San Remo io Ghandi l’ho letto.
Ognuno ne pensa quello che vuole di Ghandi, personalmente non ci stravedo, ma non mi risulta che fosse uno che diceva al popolo di star calmo e zitto e subire con rassegnazione.
Invece quelli che parlano in televisione dicono di sì.
Per dire come ognuno le cose le capisce a modo suo.
Volevo solo far notare che il termine -nonviolenza- in Italia è usato come sinonimo di -inefficacia-. Non si chiede che le proteste siano -nonviolente-, ma -inefficaci-. Inutili.
Per non farmi complice di un “uso sconsiderato del vocabolario” voglio ricordare che Ghandi organizzava scioperi e blocchi ferroviari che mettevano in ginocchio l’India intera. Se qualcuno oggi dicesse pubblicamente le stesse cose che diceva lui allora sarebbe arrestato con l’accusa di apologia di terrorismo.
Perdonatemi se lo sapevate già.

Uno che sicuramente di nonviolenza ne sa più di Ghandi è Casini. Avete presente Casini? Quello che invita sempre a moderare i toni.
Casini è un mito, secondo lui la rassegnazione cattolica e la nonviolenza sono praticamente la stessa cosa. Avrà letto un’altra traduzione degli scritti di Ghandi. Che ne so, una versione delle Edizioni Paoline. A proposito avete visto l’imitazione di Casini fatta da Neri Marcorè? Beh, se non avete spento la TV per continuare a vedere l’imitazione di Casini che fa Neri Marcorè siete perdonati.
Quello che è più buffo di tutti (esclusi quelli del centro destra che sennò non vale) è Di Pietro. Una sagoma. Avete presente Di Pietro? Con questo fare popolare da molisano tutto d’un pezzo?
Di Pietro parla di interesse nazionale.
Capisco che è una bella soddisfazione realizzare un’opera che permetterà, a chiunque si trovi a leggere la Gazzetta dello Sport sotto la Mole Antonelliana, di prendere il treno e ritrovarsi in un’ora e mezzo a leggere l’Equipe in piazza centrale a Lione. Decine di minuti prima di quanto ci vuole adesso. Al prezzo di una manciata di miliardi di euro. Sembra fantascienza.
Sul giornale dice anche di stare molto attenti perché i violenti sono pronti ad infiltrarsi in tante altre proteste.
Pensano di sfruttare la crisi per strumentalizzare il malcontento dei precari.
E se l’avessero provocata loro la crisi? I violenti. I precari. I violenti e i precari insieme.
Scherzo.

Su una cosa non scherzo però: la crisi non finirà mai.
Se vuoi intendere intendi.
Potremmo farci furbi e spillargli un po’ di quattrini invece che farceli fregare tutti sotto il naso e restare impalati a guardare il loro spettacolino di fighe depilate e uomini barbuti incazzati.
Pagateci per restare così… nonviolenti.
E’ giusto essere nonviolenti, ma in un’accezione così radicale occorre un po’ di sforzo e… cristosanto, sarebbe apprezzabile che fosse retribuito.
Per dirla alla Casini: lo spirito è forte, ma la carne è debole. Facciamo seicento euro al mese. Minimo.
Vabbè ci resteranno un po’ male le banche d’affari che finanziano le grandi opere “pubbliche”. Ma di interesse generale si tratta.

“Si chiude!”.
Ero perso nei miei pensieri.
Saluto.

Fuori.
E’ una bella giornata di sole, domani è l’otto marzo, la festa della donna non allergica al polline. Ancora non è obbligo presentarsi con dei grumi gialli pelosetti. Ancora un giorno poi tutto avrà l’odore dolciastro di mimosa sfiorita.
Domani è anche l’anniversario della deportazione di mio nonno. Che strano. Passo davanti alla lapide commemorativa. Non ricordavo che tutto l’edificio in cui si trovano sia gli uffici dell’agenzia dello sviluppo che i locali del centro per l’impiego altro non sono che la vetreria ristrutturata in cui lavoravano gli operai deportati.
Deportati in un campo di concentramento per rappresaglia agli scioperi del 4 marzo 1944.
Prelevati ancora a buio da uomini in divisa che hanno continuato a vestire la stessa divisa anche dopo il fascismo. Peccato che la storia della patria sia anche questa. Non ha vinto la nonviolenza allora. Poi processi farsa, famiglie e superstiti a cui è stato chiesto di dimenticare tutto per non disturbare la convivenza democratica. Assoluzioni di massa. Umiliazione della verità. Interesse “generale” ovunque. Oblio.
Che strano. Ho gli stessi 41 anni che aveva lui quando fu portato a crepare. La cosa un po’ mi fa effetto.
Domani qui davanti pascoleranno scolaresche di rintronati a cui sarà recitato un discorsetto patetico davanti alla lapide.
Immagino allora di essere io a pronunciare un discorso alla folla adolescenziale svaccata che non vede l’ora di togliersi dalle palle per andare a casa a vedere qualche serie televisiva messa a punto all’uopo di spappolare i teneri cervelli.
-Sbarbi e sbarbe -direi- cercate di mantenervi quei pochi neuroni che vi sono rimasti e che tutti cercano di rubarvi. Ricordatevi solo una cosa: per il potere voi siete numeri. Più il potere è incivile più siete numeri. Anche per chi vuole il potere per combattere il potere siete numeri. Anche adesso siete numeri. A volte siete numeri da far ballare e far sculettare a volte siete numeri da fucilare. Di solito siete numeri da ubriacare e far consumare.
Salvatevi la pelle senza vendere quella del prossimo. Non distruggetevi, perché qualcuno lo ha deciso per voi.
In questo paese si suicida un disoccupato al giorno. Fate in modo di non essere voi e nemmeno il vostro compagno di banco. Non è tutto. Ma è già molto.-
Saluto i morti.
Vado a pranzo.

Gianni Casalini
San Miniato, 08/03/20121

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Il fondo monetario internazionale e gli anarco-narcisisti

“Io mi concentravo sulla politica: azioni di massa, andare a Bisho [sede di uno scontro campale tra manifestanti e polizia], gridando: -Quelli se ne devono andare!- Ma non era quella la vera battaglia: la vera battaglia era quella per l’economia. E a me dispiace davvero essere stato così ingenuo. Credevo di essere politicamente maturo, abbastanza per comprendere i problemi in gioco. Come ho fatto a perdermi questo?”

Gumede; giornalista sudafricano e attivista.

(Tratto da -Shock Economy; Naomi Klein-)

Visto che si parla di indignazione  voglio esprimere la mia senza tanti giri di parole cercando di utilizzare la SINTESI e tralasciando la SEMPLIFICAZIONE, per quanto è nelle mie capacità.

Anche io come molti altri sono sceso in strada a Roma il 15 di Ottobre 2011 per manifestare disapprovazione nei confronti di un sistema finanziario che può essere a pieno titolo inserito nelle categorie dello sciacallaggio e dello strozzinaggio su scala planetaria. Un sistema che sta costruendo e pilotando crisi “economiche” con l’utilizzo del terrore e dello shock e ha le sue armi nella potente istituzione della borsa e nelle politiche monetarie del meccanismo bancario. Anche io sono sceso in strada perché mi sono rotto i coglioni della formula comunemente accettata nella nostra società di offrire la soluzione dei macro-problemi agli stessi che li creano.

Consapevole anche che quelle “soluzioni”, una volta applicate, assumono il dogma dell’irreversibilità e lasciano sul terreno scie di sangue, morte e disperazione individuale e collettiva e, visto che si tratta di decisioni “tecniche”, nessun responsabile.

Tutte cose che riguardano in buona parte la più triste delle scienze: l’economia.

Ma questo lo sapete.

Adesso che l’indignazione e l’attenzione si è tutta spostata dalla noiosa finanza internazionale alle adrenaliniche frange violente e dinamiche, mi viene voglia di far finta di interloquire con costoro. Scrivo per togliermi qualche sassolino nella scarpa e  continuare ad essere indignato per chi pare a me e non a voi.

Su un piano esistenziale mi astengo dal giudicarvi, come mi astengo dal giudicare chiunque, perché ritengo giudicare gli altri  una delle trappole più subdole e velenose della mente. Per manutenzione di me stesso cerco di non giudicare nessuno; valutare e giudicare sono cose parecchio differenti… (qualche intromissione nella filosofia orientale dato il nome del blog me la concedo).

No. Piuttosto voglio scrivere osservazioni che mi riguardano intimamente; cose individuali.

La prima è una riflessione a caldo; avuta mentre le volanti della polizia sfrecciavano pericolosamente a tutta velocità attraverso il  corteo accompagnate da lancio di pietre che rimbalzando rischiavano di accoppare chiunque… ed è questa: io non mi sono iscritto a cotale gioco e mi disgusta che qualcuno si sia adoperato, di fatto, per iscrivermi.

Trovo il vostro atteggiamento, prima che violento, AUTORITARIO, e non riesco a concepire l’autoritarismo dal basso migliore dell’autoritarismo dall’alto.

Io non sono uscito di casa pensando che fronteggiare le forze dell’ordine in qualche via di Roma costituisse un ostacolo ai seguaci di Milton Friedman o fosse in grado di inceppare le macchinazioni della finanza e della politica. Né l’organizzazione, né la piattaforma prevedevano questo, e mi sembra di avere agito con coerenza dunque.

Liberi di pensarla diversamente su tutto, ma non riesco proprio a capire perché le vostre “ragioni” si dovessero trovare mescolate alle mie come a quelle di alcune centinaia di migliaia di altre persone.

Oltre che un’incompatibilità d’intenti, c’era e c’è un’incompatibilità pratica e d’azione. Esprimo quindi il mio disappunto per essere usato come scudo umano nella strategia militare di chiunque.

La seconda è questa. Nei due giorni successivi mi sono dato la pena di ascoltare qualche telegiornale, cosa che di solito evito per amor proprio, e devo dire che siete stati proprio bravi a rubare la scena a tutti. Disprezzerete il capitalismo, ma lo spettacolo no di sicuro. In due giorni si è sentito ripetere fino alla nausea “black block” e “anarco-insurrezionalismo” e nemmeno una volta ho sentito nominare il fondo monetario internazionale. Siete un brand affermato adesso, e il fumo nero di piazza San Giovanni è servito ad oscurare la totalità delle motivazioni della protesta.

Puntuali le proposte per la reintroduzione di leggi antiterrorismo in Italia (quelle antimafia richiedono ben altri sacrifici che una camionetta data alle fiamme e vetrine rotte).

Puntuale, e inevitabile, la divisione fra buoni e cattivi e puntuale, ma originale, il passaggio di un personaggio come Mario Draghi  da potenziale oggetto della contestazione al ruolo di “ascoltatore attento” delle ragioni della protesta, chiaramente quelle dei pacifici. Già perché nell’immaginario collettivo si sono ricreate, e possono essere sfruttate, le solite divisioni tutte novecentesche per cui i violenti stanno chiedendo più dei pacifici.

Voi rivoluzionari e noi riformisti. Eccoci.

Sarà ancora più difficile far capire in questo paese che scendere in piazza senza sassi e passamontagna non significa avere richieste moderate. Non c’è niente di moderato quando si tocca il denaro.

Se volevate far passare agli occhi dell’opinione pubblica, per dir così, chi è sceso in piazza senza cercare nessuno scontro come un ingenuo boy scout e voi come idealisti violenti, sexy e intransigenti ci siete riusciti. Complimenti. La prossima volta cerchiamo di essere in luoghi differenti magari.

Gianni Casalini

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L’importanza del crocifisso nelle aule scolastiche

Ho letto da qualche parte:
 
Jake, il figlio di Goldberg, si rifiutava di prendere la scuola seriamente; non faceva mai i compiti e passava il tempo a giocare.
Il preside suggerì di mandarlo alla Yeshiva, cosa che Goldberg fece; ma, nell’arco di alcune settimane, il figlio fu espulso.
I Goldberg sapevano che la scuola parrocchiale cattolica era molto severa, per cui decisero di spedirci il figlio. Lo iscrissero alla scuola per ragazzi "Il preziosissimo sangue di Cristo" e lo ammonirono: "Segui diligentemente le lezioni, fai i compiti e sii rispettoso. Questa è la tua ultima opportunità, se verrai espulso ti manderemo al riformatorio!".
Al termine della prima settimana, Jake tornò a casa con voti ottimi: miracolosamente, sembrava essersi convertito in uno studente modello, serio e coscienzioso.
"Come mai sei cambiato così all’improvviso?" chiese il padre incuriosito.
"Be’", fu la risposta, "quando ho visto quell’uomo inchiodato alla croce, appeso in ogni stanza, mi sono detto che era meglio se mi davo una regolata!".
 
 
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Disgusto

Da quando anche la rabbia non è più vera
e vince soltanto chi è più falso,
come è più facile provare pena
che compassione.

Gianni

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Il pallone e la luna piena


Quattro uomini e una donna sono seduti intorno ad un tavolo in una sera d’estate. Si trovano in un parco di una città italiana di provincia. Davanti a loro una luna piena e luminosa è ormai alta all’orizzonte.
Gli alberi, i cespugli, il piccolo lago e tutte le cose vicine e lontane sono rischiarate dal chiarore argenteo della luna. Non lontano dai cinque commensali, sul prato, dei bambini stanno giocando a palla. Non è una vera e propria partita, ma un chiassoso rincorrersi scartarsi e dibblare senza uno scopo preciso a parte il divertirsi e dar prova di bravura.
Ci sono altri tavoli e altre persone che stanno parlando fra loro intorno ai nostri cinque.
A poche decine di metri c’è un chiosco in cui si servono cibi e bevande e da cui arriva una musica di sottofondo.
Il primo uomo si sente contento perché sta bevendo dell’ottimo vino che va giù che è una meraviglia e più va giù più si sente allegro e di buon umore. Inoltre è rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che il vino è di qualità e costa davvero poco e non vede l’ora di finire quello che ha davanti per prenderne ancora.
Il secondo uomo sta parlando dei massimi sistemi e di come lui abbia chiaro in testa il metodo che permetterebbe di salvare il mondo, se solo avesse un seguito numeroso oppure una posizione adeguata nella gerarchia del potere mondiale.
Si sente veramente lucido e chiaro, è in gran forma ed è convinto che gli altri lo stiano ascoltando con rapito interesse. In effetti è l’unico che sta parlando a quel tavolo.
Il terzo uomo sta guardando il bel fondoschiena di una ragazza che è seduta ad un altro tavolo pochi metri da loro e che spesso si alza per giocare con il proprio cane. E’ completamente rapito da quelle rotondità che periodicamente e generosamente si mostrano davanti a lui in tutta la loro magnificenza nel gesto di chinarsi a raccogliere il bastone da lanciare al cane.
Il quarto uomo è convinto che gli altri commensali siano solo degli ingenui e di poterli usare per i propri scopi. E’ assolutamente convinto di avere delle intenzioni al sicuro dagli sguardi degli altri e di poterle giocare al momento opportuno, quando gli si presenterà l’occasione; come ha già fatto in passato e come cercherà di fare in futuro. Si sente completamente appagato dalla padronanza delle sue potenziali oscure trame.
La donna si chiede cosa sta facendo a quel tavolo. Non è che vorrebbe essere da nessuna altra parte in particolare però non trova piacere nel vino e ogni sorso che manda giù le lascia un senso di sottile tristezza, al punto che il suo bicchiere è fermò a metà da ormai molto tempo.
Ascolta con una certa pena il secondo uomo, e trova che niente di quello che sta dicendo sia in nessun modo significativo.
Ha notato che il terzo uomo sta guardando il didietro della ragazza davanti a lui e per un attimo ha avuto anche un sentimento d’invidia che però si è subito riassorbito perché non è certo dal terzo uomo che lei vorrebbe farsi guardare e perché dopo aver notato il sedere della ragazza le ha anche osservato bene il volto e vi ha scorto qualcosa di talmente brutto e falso che se il terzo uomo avesse successo e potesse realizzare le sue fantasie maledirebbe ben presto il proprio successo.
Sa bene che il quarto uomo è una persona scivolosa e si trova lì solo per il proprio tornaconto personale ed è l’unico a fargli veramente pena perché almeno gli altri sono rapiti da qualche piacere. Lui è solo compiaciuto della propria miseria e non ha altro in mente.
Si può dire che si sta annoiando e inizia a perdersi nei propri pensieri annotando un lento scivolare in una sensazione malinconica.
Ad un certo punto il cane della ragazza dal culetto grazioso abbaia in maniera talmente strana da attirare l’attenzione di tutti e cinque.
Davanti a loro non ci sono più i ragazzi che giocano, ma la palla ferma sul prato e la figura di un uomo di spalle, molto robusto e atletico che sembra prepararsi a tirare un rigore.
Prende la rincorsa e colpisce il pallone con un calcio incredibilmente potente e preciso.
Il pallone prende il volo, si alza in cielo e diventa sempre più piccolo fino a scomparire allo sguardo dirigendosi in direzione del luminoso disco lunare.
Il calciatore si dirige velocemente verso l’uscita del parco senza voltarsi.
I quattro uomini vengono presi prima da una sensazione di invidia poi di stupore. La donna registra volentieri un piacevole prurito nelle parti intime che però sfuma ben presto in stupore e perplessità.
I cinque si guardano in faccia e non sanno cosa dire.
Il terzo uomo rispolvera la brillante oratoria che l’aveva contraddistinto fino ad allora e rompe il silenzio:
-Una cosa è evidente, finora eravamo sicuri di essere svegli tutti e cinque, ma adesso si pone un problema, quello che abbiamo visto… che probabilità ha di essere reale?-
-Vuoi dire forse che stiamo dormendo e sognando?- Dice il primo uomo dopo aver tirato giù l’ultimo sorso di vino rimasto nel bicchiere.
-Voglio dire che il fatto che abbiamo appena visto non è… normale-
Il terzo uomo allora aggiunge. -E se stiamo sognando, chi di noi sta sognando?-
Silenzio.
Riprende il primo uomo, già un po’ brillo, e dice: – In fondo quello che abbiamo visto non è poi così incredibile e non starei a soffermarmi tanto su una pallonata in aria.-
-Giusto, lo riprende il secondo uomo, si sarà trattato di un effetto ottico, magari la luna piena e l’atmosfera… Ce ne sono tanti di questi effetti e magari noi abbiamo preso lucciole per lanterne.-
Poi rivolgendosi al terzo uomo lo interroga: -Te cosa dici?-
Il terzo uomo che ha già la mente assorbita dal culetto che si agita di nuovo davanti a lui tira corto: -Questo è un posto frequentato da gente strana. Qualcuno potrebbe averci fatto uno scherzo e messo qualche droga nel vino. Abbiamo visto un normale calcio al pallone e ci siamo suggestionati a vicenda. Il pallone sarà sicuramente finito nei cespugli là davanti. Io ho la sensazione di essere completamente sveglio e mi sembra anche voi… giusto?-
Gli altri annuiscono ad eccezione della donna che si mostra assorta.
-Tre su tre, tu cosa dici?- rivolgendosi al quarto uomo.
-Sì, mi sembra una spiegazione ragionevole la tua, ma anche la sua, anzi una non esclude l’altra e poi… io quando giocavo a calcio.. non dico di essere stato proprio in grado di alzare il pallone a questo modo, ma quasi…-
Mostrando un aria compiaciuta aggiunge: -Quattro su quattro. Te cosa dici?- rivolgendosi alla donna.
La donna fa passare un momento prima di parlare e poi sorridendo dice: – No, io credo che quello che abbiamo visto non può essere né reale, né concreto. Quale è il risultato adesso?

Gianni C. 

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Giusto un altro post

Giusto un altro post per dire che esistono due tipi di persone nel mondo.
Quelli come me, e come voi probabilmente, che fanno sempre le cose un po’ a cazzo di cane, che non gli combacia sempre tutto, come succede nel mondo reale, ma ci provano lo stesso e cercano di imparare; ascoltano gli altri e cercano di andare avanti, e quelli che invece le cose le fanno sempre perfette per due motivi: o perché non le fanno proprio o perché le fanno solo per i cazzi strettamente loro, che se non le facessero sarebbe pure meglio. Una cosa non esclude l’altra.
Di solito questi ultimi percepiscono uno stipendio dallo Stato o dallo stato delle cose.

Gianni

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Il regno degli dei gelosi

 
"Quando
siamo attratti dalla debole luce rossa, finiamo per rinascere nel
regno degli dèi gelosi, noti anche come semidèi o
asura. Nell’iconografia
buddhista tradizionale, il regno degli dèi gelosi viene
situato immediatamente al di sotto del regno degli dèi. Benché
si tratti di un regno superiore caratterizzato da molte condizioni
positive, chi vi dimora gode di un senso di prosperità,
piacere e potere inferiore rispetto al regno degli dèi.
L’emozione dominante in questo regno è la gelosia, un’emozione
strettamente legata all’invidia e caratterizzata da un senso di
paranoia e competizione. In sé la gelosia può sembrarci
relativamente innocente, ma in realtà si tratta di un’emozione
di natura distruttiva.
La
sofferenza di questo regno di esistenza viene tradizionalmente
simboleggiata dall’immagine di un bellissimo albero dei desideri
piantato dagli dèi gelosi al centro del loro mondo. Gli dèi
gelosi hanno lavorato con grande diligenza, prendendosi cura
dell’albero che ormai è cresciuto così in alto da
arrivare al regno degli dèi. Il risultato è che ora
agli dèi basta allungare una mano per cogliere e gustare i
suoi frutti squisiti, mentre gli dèi gelosi devono continuare
a lavorare per prendersene cura. Gli dèi gelosi sono dunque
continuamente in guerra contro gli abitanti del regno degli dèi
sopra di loro, rivendicando il possesso dell’albero e di tutti i
frutti. La contesa non ha mai fine e si rivela sempre disastrosa per
gli dèi gelosi, i quali non cessano mai di provare invidia per
la maggiore ricchezza e la felicità degli dèi."


Dzogchen
Ponlop Rinpoche; La mente oltre la morte.

***

Disegno di Marco Falchi:

http://falchimarco.carbonmade.com/
http://suite100gallery.com/profile/maccu
http://www.bluecanvas.com/falchimarco/
http://anothermaccu.deviantart.com/
http://marcofalchi.blogspot.com/ 

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