La bellezza è negli occhi di chi guarda

 


-Se è giusta la mia ipotesi che nella categoria dei tuoi coetanei "obbedienti" trovino posto, e per primi, "coloro che erano destinati a morire" -cioè coloro che la scienza medica ha salvato dalla "mortalità infantile", e sono quindi dei "sopravvissuti"- Quale è la loro funzione pedagogica nei tuoi riguardi?
Che cosa ti insegnano col semplice loro essere e comportarsi?
La loro caratteristica prima -ti ho detto- è il sentimento inconscio che il loro essere venuti al mondo sia stato particolarmente indesiderato.
Il sentimento inconscio di essere "a carico" e "in più". Ciò non può che aumentare la loro ansia di normalità, la loro adesione totale e senza riserve all’orda, la loro volontà non solo di non apparire diversi, ma nemmeno appena distinti.-

Questo è l’inizio di un articolo del 1975 scritto da Pier Paolo Pasolini che si chiama: -Siamo belli, dunque deturpiamoci.-
A distanza di anni mi viene da rispondere alla condizione iniziale di Pasolini: non capisco fino a che punto questa ipotesi sia un pretesto.
Un pretesto per parlare dell’obbedienza; un tema che all’epoca suscitava ancora qualche interesse).
Ho provato ad utilizzare questo articolo come una vecchia chiave inglese trovata per caso in  fondo ad un cassetto e per capire se è ancora utile a smontare qualche pezzo di realtà.
Ho buttato giù degli appunti e li pubblico sul blog.
Sono solo appunti.

-Ciò che è buono appare, ciò che appare è buono.-
Intanto lo spettacolo giovanile attuale è l’ostentazione della **gioia** che ha accompagnato il proprio venire al mondo.
**Gioia** mostrata ballando, cantando o scodinzolando non più ad un virile condottiero, ma davanti a telecamere ed a furbe conduttrici televisive come a scivolose commissioni giudicanti.
Adesso la protagonista è la "gioia". La neo-gioia, direi. "Gioia" mostrata da genitori in prima fila e "amici" su "amici" che mostrano l’esistenza come una lotta all’ultimo sangue per decidere chi può stare sul palco e chi no. Chi è il protagonista e chi è lo spettatore.
Un’obbedienza fluida che non ha niente a che vedere né con la volontà di non apparire, né di non essere distinti di cui parlava Pasolini.

Almeno che non si consideri il mondo realmente rovesciato dove l’omologazione  sta nel mostrarsi e dove non apparire è diventato sospetto.
Chi non desidera apparire sopra ogni altra cosa, potrebbe nascondere qualcosa di tremendo: una mostruosità, un segreto, un’aberrazione.
In fondo l’obbedienza non è nuova a queste condizioni. Anche ai giovani nelle scuole d’Italia durante il fascismo si insegnava ad apparire, a distinguersi secondo quella retorica, in senso rigido, militare, violento.

Nella società spettacolare il palco è militarmente presidiato e lo spettacolo mostrato può essere perfettamente riprodotto nella vita di tutti i giorni da chiunque, essendo un format creato per questo motivo.
C’era ancora molto artigianato nell’informazione quando Pasolini scriveva quest’articolo e non si poteva sospettare la potenza del -format- contemporaneo. Credo.
Secondo me il primo in epoca moderna a capire la potenza del -format- è stato Freud. Che in fondo ci ha detto che viviamo nel format della nostra prima parte della vita. Poi s’è fatto prendere un po’ la mano.
Prima di lui c’erano le religioni, in particolare quelle abramitiche. Coi loro format tuttora in voga.

Ciò che scorgo alla base del discorso è: tutte le volte che viene prodotta in qualcuno la condizione di "sopravvissuto" si ottiene un agente dell’obbedienza. Chiaramente "il pastore", colui che vuole condurre il gregge si deve mettere dalla parte del -salvatore di patria-. Occorrono dei "sopravvissuti" che siano convinti che il soggetto della salvezza sia proprio quello.
Come il potere che è sempre il "salvatore" delle sciagure che provoca o di cui ignora le cause.

Questa è interessante. Per esempio siamo tutti sopravvissuti all’11 settembre. Il fatto di non essere lì e di avere avuto pochissime probabilità di passare sotto le torri gemelle quel giorno convalida l’ipotesi invece di invalidarla.
Quelli che sono morti, sono un numero sufficientemente alto e la loro morte è sufficientemente casuale da rappresentare l’immagine di un qualcosa di cui siamo stati graziati dal caso. Siamo tutti "sopravvissuti" al terrorismo, siamo "sopravvissuti" alle emergenze e Dio sa quante ce ne sono ad ogni ora del giorno e della notte.

Questa stranezza si può spiegare come passaggio dalla società spettacolare alla società del terrore spettacolare. Cioè alla società del -sublime-; che non si accontenta più di prefigurare le proprie sciagure e la propria apocalisse, ma le produce in lontananza, o le cattura, in qualche luogo del reale, per riprodurne l’immagine su tutta la superficie.

Quello di cui stava parlando Pasolini non potrebbe essere qualcosa che può essere descritto o portato alla coscienza come -vivere nel peccato-?
Siamo tutti sopravvissuti al vulcano che non ci è esploso sotto il culo, ma non per questo ci sentiamo -colpevoli- o -peccatori-.
Non stiamo vivendo nel peccato per questo. Non ci defiliamo, ne ci mostriamo per questo. Il vulcano non è stato abbastanza pubblicizzato in televisione come: -emergenza vulcani estemporanei-; se lo fosse il discorso cambierebbe di brutto. Potremmo esserne riconoscenti alla protezione civile, per esempio.

Un "sopravvissuto" nel senso attribuito da Pasolini al termine è invece uno che vive in qualche peccato. Si sente "a carico" e "in più", si sente "in casa d’altri", ma per questo non c’è nessuna condizione oggettiva necessaria, ad eccezione della storiellina del peccato originale, forse. Oppure tutte, basta saperle sfruttare. In pubblico come in privato.
Sì, l’intervento della scienza può avermi salvato grazie all’incubatrice, ma anche il fatto che l’URSS abbia deciso di fare bancarotta senza che qualche generale spalmasse l’occidente di testate nucleari ha la stessa validità.

Interessante è la propaganda che ha girato intorno alle ultime guerre. Propaganda a cui possono fare riferimento entrambe le "placche culturali" dell’ultimo conflitto di civiltà messo in scena: quella islamica e quella occidentale.
Questo conflitto produce i campioni della "resistenza" alla perdita di identità collettiva e individuale da entrambe le parti. Campioni speculari.
E’ curioso che per rendere credibili le parti in lotta  i valori della laicità vengano fatti passare come -prodotto- della religione cristiana. Nel sentire comune adesso sono le chiese che hanno permesso l’emancipazione femminile, le libertà dei costumi e quella d’espressione.
C’è un pacchetto difensivo che comprende dalla minigonna al crocifisso, passando per il bigliettone verde ($) su cui c’è scritto "In God we trust". Questo pacchetto è valido per entrambi le parti.

L’ipotesi di Pasolini mostra alcuni aspetti validi per la nostra epoca: l’obbedienza ad un qualche tipo di spettacolo o di gestalt o civiltà, avviene con maggiore facilità in quei soggetti che sono stati "salvati", o credono di essere stati salvati, da una qualche istituzione di questo spettacolo o gestalt o civiltà.
Si deve essere salvati da qualcosa di cui -si ha notizia-.
Può essere creata la notizia per creare dei "sopravvissuti" e riprodurre questo -effetto docilità- indipendentemente dal rischio reale.
-Docilità- oggi significa apparire o tentare di apparire secondo le regole di format soggetti a continui aggiornamenti, simili a quelli dei programmi informatici.
Fornire l’aggiornamento -di ciò che si può fare e di come si può fare- è compito del sistema dell’informazione ormai privata di valore comunicativo. Aggiornarsi è compito individuale; un neo-dovere di cittadinanza, o un dovere di neo-cittadinanza se si preferisce.
Format oggi è sia il reality di punta che costruisce identità fornendo modelli di relazioni, che l’insieme delle reazioni mostrate per un fatto reale come il terremoto in Abruzzo.
Gli eventi che costituiscono calamità o rischi reali: delinquenza, terremoti, attentati o malattie possono essere ricucite in uno pseudo-continuum che è lo spettacolo dell’emergenza, di cui si da continuamente notizia, come contro altare allo spettacolo della distrazione e della gioia.
Questo meccanismo non è nuovo, è tipico delle religioni strutturate intorno all’idea di peccato e può essere usato da centri di potere come da individui.

Per oggi basta. Però prima voglio riportare l’ultima parte dell’articolo di Pasolini per allontanare dubbi di fantasmi eugenetici. Che mi sembra doveroso. [Gianni C.]

-Ho imperversato un po’ contro questi "destinati ad esser morti", col rischio di apparire un po’ vile e razzista: di creare cioè  una categoria di persone da proporre alla condanna.
No. Tra i destinati a esser morti ci sono esseri adorabili per lo meno come te, così vistosamente destinato alla vita. Se ho polemizzato con particolare violenza contro gli insegnamenti che ti impartiscono i "destinati ad esser morti", è perché ho preso questa categoria a simbolo della media: media che ti insegna, appunto, queste stesse cose, e senza quel tanto di disperato che le corregge, le giustifica, le rende umane.-
[P.P. Pasolini 29 maggio 1975]

 
Immagine: In my hand, di Marco Falchi 
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