Politically correct

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Politically correct
Io non capisco (ma è un limite mio di sicuro) le reazioni alla notizia per cui alle primarie del PD di Roma ci sarebbero state (condizionale) file di Rom per votare. Il politically correct fa male al cervello? Se la notizia fosse vera è chiaro che c’è dietro qualcosa -e le accuse di razzismo non solo sono patetiche, ma anche interessate- e quindi un partito che ha anche la pretesa di chiamarsi Democratico dovrebbe mandare tutto a monte e commissariare le sue “diramazioni” capitoline. Se la notizia invece è infondata chi le sta mettendo in giro sarebbe, in un partito serio, invitato ad andarsene altrove e in malomodo. Non capisco invece come è che basta fare un po’ di caciara sul concetto di razzismo per mandare tutto in vacca in questo paese. Così come se tirare fuori la parola “razzismo” coincidesse con la formula magica che paralizza il ragionamento e resetta il buon senso. Come se ormai tra i tanti cliché e tormentoni che i media hanno infilato nel cervello della gente potesse starci benissimo anche un antirazzismo disneyano-holliwoodiano. -Certe cose non le puoi dire sei antirazzista!-. -Hai parlato dei Rom, stai fermo un giro.-
Come se l’antirazzismo fosse l’equivalente di una allergia alimentare o ad una limitazione fisica. -Poverino c’hai un handicap, sei antirazzista-. Siccome nessuno desidera avere handicap o limitazioni fisiche (dato che la natura ce le fornisce già in quantità) le nuove generazioni abbracciano in maniera schizofrenica ideologie e stilizzazioni fascistoidi e quando la diga del M5S cadrà assisteremo anche ad una avanzata dell’estrema destra, quella sì: xenofoba, rabbiosa e esonerata quindi da ogni limitazione. In quel momento molti grideranno allo scandalo e alla decadenza dei costumi. Compresa quella paccottaglia politico-giornalistica che ha fatto passare in questo paese (per furia di semplificazioni e assenza di analisi -pellamordiddio!-) l’equivalenza antirazzismo=debolezza e forcaiolismo di sinistra. Altri si ecciteranno perché così la loro espressività estetica antifascista e antirazzista tornerà di nuovo di moda -grazie agli odiati fascisti/razzisti-. Capisco anche che gran parte dei giovani migranti o figli di migranti o delle minoranze in genere in realtà riescano ad assorbire con estrema semplicità proprio gli stilemi fascistoidi e violenti al pari dei loro coetanei autoctoni (toh, una forma di integrazione di cui non si è accorto nessuno). Come dar loro torto, gli antirazzisti è bene che ci siano, per questioni pratiche, ma stiamone alla larga magari la loro debolezza potrebbe essere contagiosa. Mi ero scordato la premessa: di bersanianri e renziani ecc non me ne importa nulla di nulla di nulla…

[GC :::2013:::]

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Welcome

Welcome -scena del film

Welcome
Un po’ di giorni addietro mi è capitato di rivedere di sfuggita delle scene di “Welcome” di Philippe Lioret in televisione. Film del 2009. Quindi questa non è certo una recensione dell’ultima uscita. Credo che la maggior parte di voi che state leggendo abbia visto questo film; se non l’avete ancora fatto prendete un po’ di coraggio (perché c’è da pagare un tributo di sofferenza) e guardatelo. Il film è molto bello. La critica e il pubblico l’hanno premiato. Welcome è un film che parla dell’immigrazione, ma quello che volevo aggiungere io è che questo non è SOLO un film sull’immigrazione. Questo è un film sul destino delle ultime generazioni di esseri umani. La storia di questo ragazzo curdo ancora minorenne che dopo aver attraversato tutta l’Europa e aver raggiunto la costa francese del nord tenta di raggiungere l’Inghilterra a nuoto è anche la storia di tutti noi che abbiamo conosciuto la società prodotta dal capitalismo globalizzato. La storia di Bilal è la storia di intere generazioni che tentano di raggiungere il loro destino che sembra a portata di mano ma che è di fatto irraggiungibile.
Qualcuno (non mi ricordo chi) ha detto che tutte le storie narrate sono in definitiva o l’Iliade o l’Odissea. C’è invece secondo me una terza storia. Quella della fuga da un carcere e mi viene in mente il film arcinoto Papillon. Welcome è la storia di una fuga impossibile da una prigione sconfinata. E’ la nostra storia.

[GC :::2013:::]

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Cinque errori comuni della donna in pena

Theda Bara

Cinque errori comuni della donna in pena
di Luisa Caldon:

Cinque errori comuni della donna in pena
1) Non voglio incrociarlo quindi andiamo dova va lui di solito che tanto non ci sarà perché non vuole vedermi.
2) Non gli scrivo così gli manco (ma se ti ha mollata lui?)
3) Esce con una che è vacca e glielo faccio capire limonando con il suo amico di calcetto.
4) Gli mando un messaggio per sbaglio e guarda caso ha un contenuto fraintendibile.
5) Gli spiattello in faccia quanto fa schifo così mi adorerà

Cinque errori comuni dell’uomo in pena:
1) Lei non lo saprà mai (ma bea)
2) La tocco così creo intimità.
3) Mi apposto così crede che sia destino.
4) La ubriaco così riesco a parlarci.
5) La accompagno all’IKEA.

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Giullari

giullare

GIULLARI
di: Giacomo Caramelli

Siamo i ricordi di belle speranze,
ma che bel bel castello è la vita
ricolma di pagine, scritta di stanze
e di vini che lasciano la voce fioca.

Noi siamo dadi lanciati da mani
che non si lasciano guardare i polsi
siamo le ellissi di altri pianeti
e un appetito che vi dà i morsi.

Ed i sonagli dei nostri calzari
piacciono tanto ai bambini
siamo i balletti, siamo i giullari,
tarantolati e manichini.

Noi siamo il mosto di vini passati
per dei bicchieri già ubriachi,
i distillati di mille allegrie
nella gran botte dei giochi.

“beva un sorriso, Vostra eccellenza!
Ne versi pure alla sua signora,
e voglia donarle un giro di danza,
ed allentarle il nodo alla gola”.

Siamo racconti scritti di fretta
ma con un “metro” da giustificare
siamo foglietti e rime leggere
troppo pesanti per volare.

Siamo le maschere dei carnevali
riposte spesso nei carrozzoni
siamo bugie dalle gambe lunghe
ed il tormento dei luoghi comuni.

Siamo commedie ma tragiche e tristi
siamo ricordi ma senza memoria,
abbiam tremila finali diversi
e sotto il cappello la solita storia.

Noi siamo l’ago…..senza il filo
e perder il filo è uno dei rischi,
liberi ormai di pungere il culo
a chi è incapace di emozionarsi.

E se non fossimo quello che siamo
saremmo un’altra cosa,
avremmo palazzi e possedimenti
ma perderemmo le chiavi di casa.

Siamo l’amore mal corrisposto
il cuore che abbiamo è solo una burla
è solo uno scherzo di pessimo gusto
Cupido spesso nemmeno ci guarda.

Sul nostro sguardo un velo commosso
uno specchio di solitudine
se ci togliete gli sciocchi d’intorno,
siamo martelli senza l’incudine.

Siamo i sorrisi e le belle speranze
che gran banchetto è la vita
e come una cena di mille pietanze
piangendo e scherzando è già finita.

Così invitateci ai vostri banchetti
-e per un poco di pane-
vi aiuteremo la digestione
ché per dormire di tempo ce n’è.

RAMBLAS 1998 Giacomo Caramelli

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Racconto gotico toscano estivo (quinta e ultima parte)

Theda_Bara

Racconto gotico toscano estivo (quinta e ultima parte).

Arriva adesso un uomo anziano, che cammina con passo deciso e sicuro. Nonostante l’età avanzata pare davvero in gran forma. Si avvicina alle due donne presenti fin dall’inizio della storia.
-Salve.-
-Buongiorno.-
-Che è stato deciso di fare?- Mi chiede a bruciapelo.
-Per quello che ho capito si parla di interrare… cioè fare una buca e metterla la mumm… cioè la salma lì…- e indico il pratino della parte nuova nella quale nel frattempo mi sono spostato insieme alle due signore. Gli operai delle pompe funebri sono rimasti nella parte vecchia situata a pochi metri di distanza dove si arriva passando per una zona di loculi che deve essere stata il primo ampliamento del cimitero sulla struttura originaria.

-Lei è parente?- chiedo io.
-No, non proprio.-
Non è loquace, due parole le scambia e arrivo a capire, senza durare eccessiva fatica, che si tratta di un altro esponente della corrente che fa capo alla titolare delle pompe funebri e quindi favorevole o almeno non contrario al partito del -liberare il posto- che dovrebbe essere occupato dall’anziana zia recentemente trapassata.
Mi racconta un altro pezzo della vita della defunta. Era molto bella mi dice. Ma lui la conosceva poco. Poi aggiunge degli episodi confusi. Brandelli di storie troppo contaminati di ciò che non sa, non ricorda o non vuole raccontare.
Questa persona deve aver lasciato una scia dietro di sé piuttosto densa. Una scia che ancora non si è esaurita, penso tra me e me.

Nel frattempo ritorna Tiberio con lo scavatore meccanico sopra il camion. Lo aiuto. Poi lui monta sopra e lo scende. Io non guido lo scavatore. Non mi è stato… imparato. Questo è una garanzia della non necessità della mia persona sul posto di lavoro; cioè un’opzione aperta sulla mia licenziabilità.
Non mi rinnoveranno il contratto alla scadenza. Questo è sicuro. Ho già annusato l’aria che tira. Qui cercano persone che non siano strutturalmente in grado di rompere i coglioni. Non basta che non lo facciano. La volontà non basta. Non devono essere in grado di farlo. Non devono essere capaci di formulare un pensiero o una frase di senso compiuto. Non basta che non lo facciano. Questo tipo di inettitudine è diventata una virtù nel mondo del lavoro. Avevo anche pensato di scrivere un curriculum dove certificavo, la mia totale incapacità di formulare giudizi e pensieri e un ingombrante semianalfabetismo. Avrei trovato più occupazioni di quanto sia in grado di trovarne col mio.

Tiberio sopra lo scavatore è in qualche sorta di trance uomo-macchina. Scava la buca, una palata dietro l’altra. Profondissima. A lui piace giocare con lo scavatore. Ci va matto.
Credo che la tendenza a scavare buche oltremodo profonde abbia qualcosa a che vedere con i sensi di colpa e con la voglia di seppellire parti intere della propria coscienza o del proprio passato, sotto terra. Sarà il caldo opprimente che mi propone questo accostamento, ma lo trovo oltremodo pertinente alla situazione.
Finito il lavoro di escavazione prendiamo la bara, o quel che ne rimane, con la defunta piazzata dentro alla meglio e la poniamo sul fondo in tutta fretta.
Tiberio monta sullo scavatore e inizia a riempire la voragine che ha appena scavato.
Siamo già tutti sudati. Io mi sono unito al gruppo degli spettatori che si trova all’ombra del passaggio fra la zona nuova e quella vecchia. Non tira un alito di vento e ogni movimento del corpo porta un’ondata di sudore sulla pelle.
Penso con piacere alla doccia che farò appena arrivato a casa. Per il momento mi sposto all’ombra e osservo Tiberio che finisce in fretta il lavoro, mentre una anziana signora gli passa davanti.

Quando è quasi al termine mi dirigo al furgone. Prendo la croce da piazzare sul tumulo e passando scorgo proprio accanto al tumulo di terra appena mossa l’osso della mascella della defunta. Certamente caduto durante il trasporto dallo sgabuzzino. Interpreto questo segno come un invito all’umano gesto del ridere. Mi infilo i guanti, prendo la mascella e la piazzo da una parte dove non puo’ essere vista. Poi piazzo la croce nella terra smossa senza fatica.

Tiberio porta lo scavatore sul cassone del furgone. Rimettiamo le pedane al loro posto e dopo averle legate strette sulla parte alta della balaustra che si trova sopra la cabina del camion, chiudiamo le sponde. Lui entra in cabina e sparisce dal cimitero. Senza dire niente.

Entra un anziano signore un po’ stempiato, con gli occhiali e dal passo molto più incerto dell’ultimo arrivato.
-C’è stato un funerale?… Così presto?
-No, dico io, si tratta di una… “risistemazione”.-
Un neologismo tecnico di solito blocca la curiosità. L’interlocutore dovrebbe ammettere che non sa cosa significa risistemazione. Però risistemazione è anche una parola non sconosciuta del tutto nel proprio vocabolario per cui un qualche significato soddisfacente può essere inferito.
Sembra aver funzionato; il signore con gli occhiali mi fa un cenno di assenso e prosegue.
Mi sistemo di nuovo all’ombra, respiro lentamente e rimango immobile come i messicani durante la siesta. Faccio un paio di profondi respiri.
Ecco che la siesta viene interrotta da una signora molto molto anziana che arriva in tutta fretta e dopo aver lanciato uno sguardo più alla mia divisa che a me chiede senza convenevoli: -Dove è?-
Io ricambio l’assenza di convenevoli indicando il tumulo di terra smossa. Tanto è evidente a chiunque che la fu Em. è la protagonista indiscussa della mattina e della scena.
La signora si porta le mani alla bocca come se avesse appena assistito ad un omicidio e poi scuote la testa più volte con gesto plateale da destra a sinistra e viceversa e infine pronuncia una specie di sentenza:- Poveri noi, se ne vedranno delle belle…-
Poi riprendendo a scuotere il capo si dirige verso l’uscita senza nessun cenno di saluto.
Ci mancava la profezia. In che senso delle belle? Mi chiedo. Insomma almeno non è stato ucciso nessuno. Tanto per rimanere sul pratico. No che movimentare un cadavere in questo modo sia ragionevole, ma la faccenda ha assunto una atmosfera decisamente grottesca, quindi la battuta della vecchia mi si colloca in un a interzona tra il surrealismo e la commedia all’italiana anni settanta. Resto fermo immobile all’ombra attendendo sviluppi fiducioso.

Arrivano anche un altro signore sulla sessantina con una camicia beige chiara e mi pone subito la stessa domanda dell’anziana di prima e poi arriva una donna sulla trentina non molto alta e decisamente carina. Mora capelli corti a caschetto, con un vestitino leggero e delle belle tette abbronzate e sode che prendono aria su una parte considerevole della loro superficie tramite lo scollo generoso. Non è certo la visitatrice standard di cimiteri.

Ci presentiamo in maniera piuttosto informale, visto che in quel momento sono l’unico operatore necroforo presente e tutti mi danno relazione. Così ci presentiamo. Lei è nientemeno che la proprietaria del loculo in questione, nonché proprietaria della “Pace e Riposo”, nonché causa diretta di tutto questi movimenti cimiteriali mattutini. E non è male per niente. Nel senso fisico del termine.

Si avvicina a quelli che sono i suoi dipendenti e parla a voce bassa con loro che si dirigono verso l’uscita.
-Ci vediamo fra poco.-
-Va bene.-
Che fretta c’è.

Posso solo registrare un miglioramento nella composizione della platea. Sono quelle cose che si presentano come oggettive.
Lei è piena di fretta. Ci salutiamo. Poi le suona il cellulare mentre si sta allontanando. Dice poche parole. Più che altro ascolta. Da l’idea di essere molto preoccupata. Poi è troppo lontana. Mi sto per riposizionare nel mio posto all’ombra quando la vedo torna indietro verso di me.
-Dove è stata messa?-
-Lì in terra.-
-…non si può fare va tolta di lì.-
-Aspetta che torni Tiberio e parla con lui… E’ questione di qualche minuto. Io non posso prendere decisioni-
Mi viene a mente cosa aveva detto di lei uno degli operai. -Non ha mai toccato un morto.- L’aveva detto come se toccare i morti conferisse un qualche speciale prestigio.
In effetti mi sembra una più interessata alle cose dei vivi. Marito, figli, vacanze. Costumino nuovo per l’estate al mare. Mi immaginavo. Deve avere un salotto sempre pulito e una casa ordinata. Tende bianche. Utilitaria da cambiare ogni quattro anni, grosso fuoristrada del marito. Televisore ultimo modello. Visite frequenti dal commercialista…
Il signore sui sessanta mi rivolge di nuovo la parola… e si mette a parlare con me di nuovo della defunta. Arrivo a capire che Em. aveva espresso la volontà di non andare in terra… così almeno una parte dei parenti, non di lei, ma del marito o della prima moglie è pronto a sostenere che lei in terra proprio non ci voleva andare. Mentre un’altra parte dei non parenti…
Più che passa il tempo più mi sento distaccato da questi fatti. E’ una strana sensazione. E’ il caldo; l’ossigeno al cervello arriva razionato.
Comunque sia i presenti vengono a parlare con me ad uno ad uno. A turno dico a tutti qualche banalità. -Mah, sì, s’aggiusta tutto… (tutto cosa?)- Magari trasmetto l’impressione di avere i nervi saldi solo perché sono stordito dalla temperatura. Pare che si aspettino da me che ad un certo momento tiri fuori dal cappello il coniglio rosa con in bocca la pergamena dove sta scritta la soluzione di tutto l’inghippo. Che, per inciso, nemmeno ho capito bene. Non è che mi dispiaccia questo inaspettato ruolo. Mi sento stranamente al centro dell’attenzione e devo fare solo quello che non ha fretta di attendere. Cosa che mi riesce bene perché sto aspettando la fine dell’orario di lavoro e non vedo l’ora di infilare sotto la doccia. Il segreto è tutto lì.

Dopo aver intercettato vari parlottii, anche discordanti tra loro, comincio ad avere più chiari i contorni della faccenda. C’è un moto iniziale di tirchieria che porta una parte dei personaggi che gravitano intorno a questa donna morta quaranta anni prima a chiedere di toglierla dal forno per metterla in un meno ingombrante ossario e un partito che è pronto a tutto e perché la defunta rimanga al posto in cui attualmente non si trova più.
Non capisco a che partito appartiene il signore con cui sto parlando. Anche lui mi dice che la ragazza veniva da fuori e che aveva avuto un figlio con il marito, ma che gli unici in vita sono i parenti della prima moglie, che non ho capito bene se avesse avuto figli di primo letto…

Torna Tiberio questa volta ha l’andatura confusa e l’espressione deconcentrata di chi sta accusando la troppa pressione psico-metereologica. Si avvicina alla tipa mora e si mettono a parlare. Si allontanano un po’ è io faccio altrettanto, giusto perché capiscano che di quello che hanno da dirsi non mi interessa proprio niente.

L’idea di fare una cosa lontano da occhi indiscreti è definitivamente saltata. Ogni tanto passa qualche visitatore, fa una espressione interrogativa e prosegue.
Arrivano anche altri non-parenti della defunta. Una processione alla spicciolata. Non so a che partito appartengono e se appartengono ad un partito solo oppure a fazioni di partito o sono solo stati richiamati per qualche passaparola sotterraneo che nel frattempo si è certamente messo in moto.
C’è più gente adesso che ad un funerale vero e proprio e tutti i visitatori estranei alla faccenda non capiscono come sia possibile che non si tratti di un funerale. E lo chiedono.
-C’è un funerale?-
No non è un funerale è una “risistemazione” continuo a precisare io.

Tiberio è nel panico, quando varca il cancello al mega-presidente. Il magister. Il gran maestro becchino. Uomo di comprovata abilità e astuzia. Il presidente della cooperativa Icarus in persona.
E’ la prima volta che lo vedo arrivare sul luogo di lavoro. Di solito mi capita in ufficio o nella sede della Pubblico Volontariato Soccorso e Affini.
Porta grossi occhiali da sole e rivolgendosi a noi chiede con tono deciso.
-Dove è stata messa?-
Io indico il cumulo di terra smossa.
Tiberio tace.
-Va tolta! Subito!.- La titolare delle pompe funebri scuote il suo grazioso caschetto con cenno di assenso.
-Mah io..- Tiberio assume un tono di giustificazione che a quanto pare non è richiesto da nessuno. Lo si capisce dalla smorfia del Presidente.
-Va tolta subito.-
-Vado a prendere lo scavatore!-
-Non importa.- Il mega-presidente si toglie la camicia e mostra un fisico abbronzato di una certa stazza, ma con una pancia importante da appassionato mangiatore.
Prende la pala e inizia a scavare. Fa un caldo bestia. Mi chiedo come faccia.
Certo potrei dirgli che forse è veramente meglio se viene usato lo scavatore piuttosto che la pala. Ma se lo dicessi tradirei il mio diretto superiore nonché collega di lavoro. Sarebbe scorretto. La problematica della profondità, in ogni caso, non tarderà ad emergere.

Sta scavando di buona lena il presidente, ha già fatto una discreta buca nella terra fine smossa quando si ferma pianta la pala ai suoi piedi alza la testa e chiede fissando Tiberio negli occhi:
-Ma dove cazzo l’hai messa?-
-…-
-Che avevi paura scappasse?.-
Mi trattengo a stento dal ridere perché la faccia di Tiberio è enormemente tesa e nervosa. E poi non voglio sciupare l’incantesimo.
-Vai a prendere lo scavatore!-
Tiberio parte sparato in direzione dell’uscita.
Il presidente si sposta all’ombra.
La titolare delle pompe funebri gli dice -ho già sistemato tutto.-
-…-
-Tutto cosa?-
Poi voltandosi verso di me: -Ho comprato due forni!-
-Due?-
Il fatto che per un morto occorrano due forni mi sembra un eccesso di consumismo post mortem, ma non lo dico.
-Sì due, non si sa mai…-
Ci penso un po’, ma non è che sappia darmi una spiegazione troppo razionale. E’ evidente che si tratta di una forma di compensazione. Da zero si passa a due perché è stato saltato l’uno. Così mentalmente si fa una media aritmetica e salta fuori l’uno mancante.
Boh, i soldi non le mancano.
-Ci vuole una bara…- dice il presidente becchino.
-Sta arrivando.-
In effetti nemmeno le bare le mancano alla tipina abbronzata col caschetto.

I due operai in camicia bianca dentro il carro funebre che è appena entrato sembrano i blues brothers in versione nostrale. Ci parcheggiano davanti e scendono una bara nuova di zecca.
Entra anche Tiberio con il furgone e lo scavatore sopra. Gli vado incontro con aria efficiente e operativa per non sminuire la gravità del momento e lo aiuto a ripetere l’operazione che serve a far scendere lo scavatore. Sistemiamo gli scivoli. E’ la terza volta che movimentiamo questi scivoli in alluminio e ne servirà un’altra prima della fine della giornata.

La terra che ancora mancava per arrivare alla defunta viene rimossa dalla pala meccanica e nel frattempo il presidente accanto a me scuote la testa e borbotta: -…guarda che buca …guarda che buca.- Sbuffa come una balena. Si è rimesso la camicia celeste ed è maculato di zone di blu scuro dovute alle chiazze di sudore.

Togliamo quello che rimane della terra smossa con le pale e tiriamo fuori quello che resta della bara e del corpo senza difficoltà. Le pareti laterali della bara sono disfatte e anche il corpo non è così integro come in partenza, ma c’è tutto, anche se un po’ alla rinfusa.
Quello che rimane della vecchia bara e della mummia scomposta e terrosa vine piazzato dentro la nuova bara in un baleno. Io senza farmi notare infilo dentro anche la mascella che nel frattempo avevo nascosto dietro un vaso.
La bara viene chiusa, sistemata nel loculo originario. Faccio la calce e procedo a tirar su un muro simile a quello che qualche ora prima ho rotto a mazzate, usando anche in buona parte gli stessi mattoni. Rimetto il marmo al proprio posto e avvito con cura i sostenitori in ferro che lo tengono accosto alla parete.

Em. è tornata al suo posto un po’ scomposta, ma dentro una bara nuova di zecca.
Credo che nessuno la sfratterà mai di lì.
La folla se ne va. Tutti si salutano come se avessero passato una serata a teatro. Ormai ora di pranzo. E’ così caldo che il cimitero è deserto da un pezzo, fatta eccezione per il pubblico della traslazione. Abbiamo sforato l’orario di lavoro di mezz’ora. Sono sudato.
Gocce di sudore sono calate dalla fronte sulle lenti degli occhiali, li tolgo per pulirli con cura usando un fazzoletto di carta e poi li infilo di nuovo. C’è una luce bellissima ed il cielo è stupendo.

[GC 2008-20013]

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Racconto gotico toscano estivo (quarta parte)

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Racconto gotico toscano estivo (quarta parte)
Tiberio ha la tendenza ad essere un po’ paraculo ed appartiene alla sottocategoria dei paraculi che tendono a nascondere la paraculaggine dietro un decisionismo estremo.
Stamani ha i nervi tesi perché non si sa mai come vanno a finire queste cose. Su questo non ha torto. Finché si tratta di favorire qualcuno nei lavoretti al cimitero oppure di prestare opera nel tempo di servizio per le imprese funebri o marmisti o robe del genere è un conto. Ma questo lavoro comincia ad essere classificabile come… “altro” dalla norma.

Tolgo la lapide in marmo e la appoggio da una parte facendo attenzione a non danneggiarla. Rimando il momento in cui verrà distrutta -non voglio farlo io- mi dico fra me e me, mentre compio il gesto. Poi prendo a tirare vigorosi colpi di mazza sul muro che ci separa dalla bara. Non mi fermo fino a quando non è crollato nella parte centrale. Sto ansimando. Era murato forte. Mattoni pieni. Cemento. Altre epoche. Finisco il lavoro ai margini con il mazzuolo e siccome è già discretamente caldo mi ritrovo sudato e con due grosse gore sotto le ascelle.

Sarebbe stato molto divertente aprire il muro e trovare il forno già vuoto -tutte le volte ci spero-. Mi chiedo come si metterebbe la faccenda. Ma la bara c’è proprio come c’è stata messa quaranta anni prima solo un po’ sfasciata dal tempo che arriva anche in uno spazio così piccolo e così chiuso e così protetto.
Non mi piacciono per niente i lavori sui forni. Preferisco la terra. La terra rende poco o niente. La terra elabora, mangia tutto. Giusto qualche osso o i denti. I vestiti sintetici e le calze di nylon delle donne sono i più resistenti.
Mentre quando apri una bara che è stata in un forno ti trovi davanti uno scheletro con i vestiti che si sono attaccati addosso, nel migliore dei casi. Succede che non sia scarnificata del tutto. In più parti la pelle diventa dura come cuoio e si attacca alle ossa, i capelli ci sono sempre. Sono molto resistenti i capelli. Tutto è di un inconfondibile marroncino.

Alziamo la bara che è mezza rotta. Faccio molta attenzione ai chiodi rugginosi che spuntano in certi punti, la mettiamo su una specie di lettiga e portiamo il tutto dentro una piccola cappella che si trova proprio a fianco della zona in cui stiamo lavorando.
Tutti tacciono.
L’ho detto che la morte è un odore. Quando si apre un forno l’odore che arriva è odore di morte ed ha un numero incredibile di sfumature, odore di chiuso e odori di putrescenze collassati su se stessi. A taluni questo odore provoca una violenta eccitazione nervosa. E’ evidente.
Come è evidente che comunque è un contatto sensoriale che ti rende incredibilmente sveglio, all’erta, vigile. Una botta di adrenalina. L’odore della morte fa sentire vivi per reazione. Dopotutto noi siamo come quegli animali che sentono l’odore della paura attraverso i resti dei propri simili. Quelli che diceva il mio amico. Dopo aver annusato bene l’odore della morte riesci a percepire interamente l’odore della vita. Si sente bene nell’odore dei fiori. Ma non quelli dei cimiteri che sono fiori morti.

Piazzata la bara sopra un vecchio tavolo dentro il capanno degli attrezzi, accanto alla fila di loculi, Tiberio chiede alle signore lì presenti se vogliono assistere alla traslazione. Evidentemente è convinto che si tratti di un gran bello spettacolo. Queste rispondono di no, anche scuotendo la testa e facendo un minimo di scena.
Sollevato il coperchio restiamo un lungo attimo in silenzio a guardare una mummia perfettamente conservata. Ad eccezione delle parti che avrebbero richiesto l’intervento di un imbalsamatore come le parti molli, gli occhi ecc. Per il resto si tratta di una mummia come quelle che ritrovano nelle piramidi e che a tutti è capitato di vedere in qualche documentario.

-Non si può fare- dice Tiberio alla piccola folla che sta trattenendo il respiro.
-Cioè?-
-E’ mummificata.-
-…
-Come mai?-
-A volte succede. Dipende dalla posizione del forno, dall’umidità e poi vai a sapere da cosa.-
-Quindi che si fa?-
-Si rimette dentro.-
Nel mentre si affaccia una delle due signore.
-Che succede?-
Ci deve aver sentito parlare.
Nell’affacciarsi allunga una sbirciatina verso la bara e guarda la defunta non parente.
-E’ mummificata signora.-
-Che vuol dire?-
-Che è diventata una mummia… non ci sono solo le ossa non la possiamo mettere in un ossario. Guardi.-
Questa volta la donna più anziana non resiste alla curiosità e si affaccia per guardare dentro la bara. Sembra una ragazzina che ha scoperto un giornaletto porno sotto il cuscino e ci porta lo sguardo prima di dire che le fa schifo.
-Oh madonna, come si diventa!- Si porta le mani alla faccia.
Questo è uno dei discorsi standard dei vecchi, corrisponde più o meno al -che schifo- dei giovincelli, solo che contiene molta più realistica preoccupazione.

Anche gli altri entrano nella stanza che si fa anche troppo affollata, ma il momento lo richiede e tutti osservano con ammirazione questo non comune esemplare di mummia.
-Che si fa?-
-Non lo so.- Appare agitato Tiberio.
Se fosse per lui si chiuderebbe tutto e si farebbe finta di niente, cosa per cui sto tifando anche io, ma è chiaro che sta facendo un favore a qualcuno e se il favore non viene portato a termine perde il punteggio accumulato per non so cosa.

-Faccio una telefonata.- dice Tiberio.
Una telefonata ci sta sempre bene.
So che sta chiamando il presidente della Cooperativa. Il presidente della cooperativa è anche, curiosamente presidente della Pubblico Volontariato e Affini e svolge il lavoro di becchino come dipendente comunale per un comune non servito dalla cooperativa. Vacci a capire qualcosa.
Non è cattivo il mega-presidente, si diverte soltanto a tenere sotto pressione gente come Tiberio che, poveraccio, ci cade continuamente nel trabocchetto di quello che ti maltratta per il tuo bene. Il solito vecchio trucco paternalistico.

Entrambi sono elettrizzati da una sorta di piccola avidità. Cosa fa di magico il denaro? Allontana i punti interrogativi. Li sostituisce con dei punti esclamativi. I soldi rendono commensurabili le vite degli umani come rendono commensurabile la merce.
Tiberio dopo aver terminato la comunicazione si rivolge a me e sembra diventato all’improvviso in vena di confidenze. Che sia il tentativo di scacciare da sopra le spalle quei due gufi appollaiati che nel frattempo sono diventati sempre più grossi e pesanti. I gufi aumentano di peso all’aumentare delle difficoltà. Adesso sono enormi devo stare attento che non mi chieda di reggergliene uno. Mi dice sotto voce. Quasi in tono confessionale…
-Sai chi è la proprietaria del forno?-
-…?-
-.. è della titolare dell’impresa di pompe funebri di Monte: “Pace e riposo”.-
Quella per cui lavorano la strana coppia qui presente: Nosferatu allegro e l’anziano.
-Ah. Deve essere ricca.
-Altroché se è ricca.
-L’ho mai vista?
-Impossibile, lei con queste cose non vuole avere niente a che fare, le fa impressione tutto nei cimiteri… tranne il soldo.
Che non ha mai impressionato nessuno. Penso io. Però dalle torto.
-Ma non è ricca per quello?
-No?
-Non solo. E’ sposata con il proprietario della Edile Monte… Il marito è un costruttore edile.
-Ehh. Dove vanno ad abitare i vivi e dove i morti. Gestiscono tutto il settore spazio abitabile in famiglia.
Mi guarda stranito. Non gli piaccio per nulla quando dico certe cose.
Meglio se parlo di soldi.
-Non capisco allora tutto questo accanimento per liberare un loculo e risparmiare due spiccioli.-
-…-
-Più ne hanno…-
-Eh già…-

Dopo un attimo di esitazione prende il telefono e chiama. Si allontana da me. Gesticola, smanacca. Mima pure. Sembra agitato. Sbuffa. Riaggancia e torna sui suoi passi.

-Cosa ti ha detto?-
-Si mette in terra!-
-Cioè si fa una buca e si seppellisce?-
-Esatto…
-…-
– …vado a prendere lo scavatore al magazzino.-
E’ visibilmente preoccupato perché manca un quarto d’ora all’apertura del cimitero ed i rischi di essere al centro dell’attenzione dei visitatori aumentano. Aggiungo che i visitatori dei cimiteri sono sempre molto curiosi per ogni movimento degli operatori necrofori. Fra l’altro sono anche molto informati in materia cimiteriale ed ottimi investigatori autodidatti.

Durante l’assenza di Tiberio mi metto a parlare con le signore che stanno aspettando l’evolversi della situazione, sembrano alla prima di uno spettacolo teatrale.
Vengo a sapere che sono parenti non della defunta ma della prima moglie del marito della defunta che era defunta in precedenza, o forse dei figli avuti con la prima moglie. Non è molto chiaro. Vengo a sapere che Em. è una forestiera. Venuta da fuori, -mi dicono un paese ligure che mi dimentico immediatamente- e che ha avuto un figlio con il marito ma questo figlio è già morto da tempo e si trova sepolto nel cimitero di un paese vicino.

Nel frattempo il cancello del cimitero si è aperto da solo e adesso lo spettacolo è aperto al pubblico.
Sono appena le nove di mattina ed è già caldo. Il sole picchia sul serio adesso. Mi metto gli occhiali da sole con le mie lenti polarizzate.
Mi piacciono gli occhiali con le lenti polarizzate. Uso solo quelli perché a differenza dei normali occhiali con lenti oscurate, non si limitano a diminuire la quantità di luce che arriva all’occhio, ma tolgono la luce superflua, il riverbero. Rendono nitida la visione. Come dovrebbe essere. Senza la luce che non essendo polarizzata su un solo piano ma su tutti i piani rende ovattata e sfocata l’immagine. L’effetto è quello delle giornate di sole nel nord Europa. Che sono rare quanto belle. Si vede tutto in maniera molto definita, precisa, i contorni netti; con le lenti polarizzate.
[Continua…]

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Racconto gotico toscano estivo (terza parte)

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Racconto gotico toscano estivo (terza parte).
Aspetto da alcuni minuti. Ho parcheggiato il furgone davanti al cimitero di Filiana. E’ presto per l’apertura. Ascolto radio 3 e mi faccio cullare dalle voci pastose dei conduttori di Radio 3. Quando ascolti Radio 3 ti sembra di vivere in un posto più serio di quello in cui realmente vivi. Gli altri cimiteri da aprire sono quelli centrali dei due comuni. Ce ne sono tre. I piccoli, quelli di campagna, restano sempre aperti. Questo fa eccezione perché si apre e si chiude grazie ad un meccanismo automatico all’orario stabilito. E’ tecnologicamente avanzato.

Arriva Tiberio, che deve aver effettuato il giro delle aperture a tempo di record. Tiberio è alto, ha una camminata infantile e dondolona; un’ anima in pena coi capelli ingelatinati e denti bianchissimi si avvicina e mi dice di entrare dentro col furgone perché il cimitero deve rimanere ancora chiuso. Almeno fino ad orario di apertura… Guarda a destra e sinistra mentre me lo dice. Poi si piazza accanto all’interruttore.
Faccio come dice lui senza fiatare. E’ evidente che ha qualche stranezza per le mani e non vuole visitatori tra i piedi per il maggior tempo possibile.
Arriva anche il furgone dell’agenzia pompe funebri di Monte.
Gli operai sono un anziano signore, che dovrebbe essere in pensione e un ragazzo tondo e calvo che assomiglierebbe a Nosferatu se non fosse che è sempre sorridente e di buon umore.
Non mi ricordo i nomi di entrambi.
-Buon giorno-
-Buon giorno- e non ci diciamo altro.
Entriamo tutti dentro, e chiudiamo il cancello dietro di noi.

-Dobbiamo fare una riduzione nella parte vecchia del cimitero.- La parte vecchia del cimitero di Filiana non ha niente di antico. E’ vecchia e basta. Solo in una zona più piccola dentro la parte vecchia, ci sono sepolture permanenti che possono risalire agli anni ’30. Non ho mai fatto caso se ce ne siano di precedenti.

Ora. Io capisco benissimo che Tiberio non ami parlare con me di sotterfugi lavorativi e sono sicuro che avrebbe preferito ci fosse stato chiunque altro al mio posto in turno stamattina. Strano che non mi abbia chiamato ieri per cambiare turno e mettere al mattino uno dei suoi scagnozzi fiduciari. Probabilmente non l’ha fatto perché ha saputo troppo tardi questa storia e temeva che mi incazzassi. Non saprei.
I primi mesi era abbastanza normale che mi chiamasse per cambiare orario. Poi ho fatto notare che la cosa mi infastidiva per il semplice motivo che vorrei sapere per tutta la settimana a che ora lavoro. Salvo casi di comprovata necessità (dissi proprio così). Gli sto sulle palle per questo. Non solo, ma anche per questo.

Ci spostiamo nella parte vecchia del cimitero. Due becchini e due operai delle pompe funebri. Luce già alta. Fra poco sarà un caldo assurdo come negli ultimi dieci giorni.

-Il forno è quello-
Indica la lapide di una donna morta più di quaranta anni fa.
Leggo le date sulla lapide. Aveva ventisette anni quando è morta. Data di nascita e di morte. Ventisette anni.
–Em. xx . A imperituro ricordo. Il marito.- La foto in bianco e nero. Si capisce dalla foto che era molto giovane. Carina pure. La foto la ritrae sorridente con un’espressione ironica e la suggestione fa scorgere uno spunto di irriverenza, di energica follia giovanile… contemporanea. Ironica. Stranamente contemporanea forse.
Conosco già quel forno e quell’immagine per un motivo molto pratico. Quando si fa il giro dei cimiteri si deve controllare e sostituire le lampadine bruciate (si gira sempre con qualche lampadina in tasca) . Lampadina di quella lapide appare spenta, poi la tocchi e si accende e per qualche giorno va avanti. Si tratta di un contatto ovviamente. Fatto sta che non l’ho mai cambiata. Basta passare di lì e toccarla e si riaccende.
Per questo motivo avevo notato anche la lapide. E’ ben lavorata. Ci sono delle decorazioni floreali in stile liberty di pregevole fattura incise sul marmo. Chi l’ha sepolta ha investito nella cura della immagine post mortem di quella donna una certa somma di denaro e soprattutto ha fatto delle scelte estetiche. Cosa non scontata.
La fotografia è in bianco e nero ben conservato. La posa un po’ da attrice d’altri tempi. -Mi immagino come abbiano scelto quella foto.- Il marito. Mi sembra di vederne la sagoma. A tratti mi immagino frammenti della scena. Qui sorride. E’ allegra. Mi immagino che intorno gli abbiano detto di sì, giusto. Qui sorride… lei vorrebbe essere ricordata così. Solo così. E’ allegra.

Esistono tre categorie di lapidi nei cimiteri. Quelle più antiche in cui non era ancora presente l’immagine fotografica. Esse non restituiscono niente dell’immagine fisica di chi è stato sepolto. Alti o bassi, belli o brutti, allegri o musoni, ma solo per l’intervallo di una vita. Per certi versi sono le lapidi più democratiche e oneste.
Per migliaia di anni le lapidi si sono assomigliate tutte e ad un tratto con la nascita della fotografia sono cambiate in maniera sostanziale.
Ci sono quelle con le foto in bianco e nero che si presentano come un alone della memoria. E infine quelle con le foto a colori. Nei vari stadi di evoluzione.

Se prendiamo una antica lapide abbandonata può suscitare ancora nel viaggiatore che passa e la vede una qualche emozione, una curiosità, un’impressione emotiva. Sembra custodire un silenzio e un segreto.
Mentre le lapidi che mostrano una immagine a colori hanno continuamente bisogno di qualcuno che le guardi. Sembrano richiedere una richiesta di attenzione permanente. Si avvicinano troppo alle nostre realistiche immagini quotidiane.
Una lapide abbandonata con una foto a colori suscita tristezza, mentre una senza foto alcuna suscita mistero; la tristezza di qualcosa che è stato pensato per appartenere al mondo dei vivi e non riesce completamente a sprofondare nella natura. Essa galleggia in un limbo estetico e il mondo che desiderò la durata di quell’immagine nel tempo è probabilmente scomparso prima di essa. Lasciandola lì a ingiallire a monito che il ricordo non sconfigge la nostalgia.

Guardando un documentario in TV la settimana scorsa ho scoperto che gli ebrei hanno una filosofia dei seppellimenti piuttosto diversa dalla nostra; lasciano i loro cimiteri in una sorta di composta e misurata decadenza. Che non è proprio decadenza ma uno sprofondamento degli elementi naturali.
Apprezzabile.

Un’altra cosa su cui apprezzo la tradizione ebraica è quella di lasciare in pace i defunti e le loro spoglie mortali. Gli ebrei hanno la sana abitudine di non andare a rompere i coglioni ai morti. Forse sulle ragioni per cui esercitano questa premura non saremmo del tutto daccordo. Ma tant’è.
Intendiamoci non credo che l’estinto possa in alcun modo soffrire degli spostamenti. Almeno razionalmente la vedo così. Ma nel dubbio io li lascerei in pace e poi volete mettere la comodità di fare il becchino in un cimitero ebraico.
Invece da noi in Italia, vuoi per l’idea di trasformare anche la morte in qualcosa di spettacoloso, vuoi per questioni più o meno burocratiche, ma soprattutto di pecunia, si assiste ad un continuo metti e leva. Uno sviaggìo ininterrotto di salme, ossa, ceneri, resti mortali.
Volete mettere un’antica estetica gotica con la sua solennità di fronte ai prati-aiuola che devono assomigliare agli spartitraffici o alle tombe che paiono scaffali degli autogrill. Mi sa che non è lontano il giorno in cui sulla tomba verrà piazzato uno schermo e un video e passando davanti ad una tomba si potrà pigiare un pulsante e vedere le immagini video dei defunti, sentire la loro voce. Rivedere alcune delle loro esperienze.
Allora vedremo i vivi girare come zombi nei cimiteri completamente rapiti da quegli schermi-finestra che danno su un tempo andato.
Anche se quel giorno gli esseri umani non fossero ancora in grado di vivere pienamente un’esistenza avrebbero realizzato il sogno di riuscire a riprodurne i frammenti della propria immagine all’infinito.
O forse quel giorno non ci sarà mai perché sarà anticipato dalla scomparsa del luogo fisico. Niente più camposanti. Resteranno solo cimiteri virtuali. Non so. Credo che almeno nello stivale la seconda ipotesi sia resa improbabile dal giro di soldi che gira intorno all’argomento.

Lascio da parte per un attimo le mie riflessioni e torno concentrarmi sul lavoro. Non capisco questo dispiegarsi di forze per una riduzione.
Ricordo piuttosto bene il momento in cui ho fatto per la prima volta una riduzione. Prima di venire assunto qui non sapevo nemmeno cosa fosse. Si tratta di aprire una tomba prendere le ossa del defunto, che si spera essere del tutto scarnificate e metterle in un contenitore grande più o meno come due scatole da scarpe. Per poi deporre il nuovo recipiente in un ossario, in modo da liberare il posto.

-Perché tutto questo mistero per una riduzione?-
Lo chiedo a Tiberio che sulle prime si mostra contrariato di questa mia domanda. Non sopporta la gente che è in grado di porre delle domande. Poi capisce anche lui che in effetti la domanda è abbastanza ovvia. Dovrà affrontarla prima o poi.

-Dobbiamo liberare il posto perché stasera c’è un funerale e il morto, anzi la morta, deve andare lì… – E mi indica la lapide della signora Em. che ci osserva beffarda come sempre da un degherrotipo ovalizzato di quaranta e passa anni fa.

Poi, visto che la risposta non è esauriente e che sicuramente porterebbe uno strascico di ulteriori domande decide di vuotare il sacco senza bisogno che io aggiunga altro.
-…non si deve sapere, non abbiamo l’autorizzazione. Quindi è bene che non ci veda nessuno.-
-…
-…niente di che, ma precauzione. E’ una questione di tempi e burocrazia. Il funerale c’è stasera e…
-e…?
-Niente la parente della defunta si è accorta di essere proprietaria di un loculo… occupato da questa qui e indica la solita faccia beffarda nell’ovale.
-Ah…
-… non avremmo fatto in tempo coi permessi. Solo questo.

Mi guarda come dire: -siamo complici vero.-
Dentro di me penso -complici un cazzo, io sono un dipendente e faccio quello che mi dici come superiore, ma questa è una stronzata.-
-…
-Va bene.-
So che per questi giochetti c’è il rischio legge, ma questi giochetti sono sono abbastanza comuni in quanto i morti non tendono alla loquacità e qualsiasi aggiustamento è di solito ben taciuto. Poi in generale non è che succedano grosse cose. Praticità. Niente di più.
-Chi è la proprietaria del…-

Arriva una telefonata sul cellulare di Tiberio che gli impedisce di rispondermi. Mi lancia un’occhiata di traverso e si dirige spedito verso l’entrata senza dire niente.
Torna seguito da due signore una più anziana e una di mezza età. Mi sorpassa col cellulare all’orecchio e le due donne lo seguono con passo lento.

Le saluto e chiedo a loro se sono parenti. Di solito a questi rituali macabri partecipano i parenti.
-No… non siamo parenti ma… cioè lei non ha parenti.- E indicano la foto in bianco e nero di Em.
Cosa significa lei non ha parenti? Desisto dall’indagare, mi sembra di aver capito che oggi con le domande bisogna procedere con parsimonia.
-Iniziamo-
Prendo la chiave per togliere i buloni e liberare la lapide.
-Anche io da morto voglio andare in un forno…- è l’operaio pelato che ha parlato.
Il più anziano gli risponde: -Di sicuro…- poi rivolgendosi a noi come ad un pubblico: -…lui ci si fa mettere il televisore, sky, internet. Tutto.-
Ridiamo per la sagace puntualizzazione.
Stanno tutti in semicerchio a guardare me che tolgo i buloni. Mi sento in diretta.
Appena tolto la lapide in marmo la guardo non senza una certa platealità e come un attore di una commedia dell’arte scandisco la frase:- E’ un peccato che queste lapidi più.. antiche.. vadano perse, sono quasi opere d’arte.-
In effetti la lapide in questione è di pregevole fattura. Anche se questa non è la norma, di solito pure le lapidi vecchie seguono niente altro che vecchi standard. Sono vecchie ma convenzionali.
Tiberio mi guarda con aria contrita e con stampata in faccia la scritta: -che cazzo dici?-; si lascia trasparire un’espressione di disgusto. Gli altri tacciono. Volevo vedere come reagivano. Tutto qui. E ognuno ha reagito secondo il profilo del proprio personaggio.
[Continua…]

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Racconto gotico toscano estivo (seconda parte)

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Racconto gotico toscano estivo (seconda parte)
Lavoro qui da nove mesi. Ogni mattina o pomeriggio, a seconda del turno, ci troviamo in questa stanza bianca con tavolo e sedie ikea e leggiamo l’ordine di servizio prima di partire per l’apertura dei cimiteri. Seppellimenti, traslazioni, qualche controllo di eventuali manomissioni -infrequenti per la verità riti satanici e similia- eventuali riempimenti in caso di cedimento del terreno -questi frequenti-. Il più delle volte si tratta di sistemare il prato in camposanti di campagna. Potatura di qualche siepe. Sostituzione di lampadine bruciate. Aggiungere un po’ di terra qua e là per colmare seppellimenti recenti. Questa operazione si rende necessaria dopo periodi piovosi prolungati, quando la terra che ricopre la sepoltura si compatta e diminuisce anche di un venti per cento del volume iniziale.

Quindi per prima cosa leggiamo gli ordini di servizio spediti via fax e attaccati con uno spillo alla bacheca in sughero nella stanza d’ingresso. Quella dove si trova la capa in molta carne e ossa e di conseguenza non possiamo fare a meno di essere supervisionati da lei ogni mattina. Se dietro di lei non c’è niente che ci riguardi (e lei ci osserva mentre noi osserviamo dietro di lei) allora significa che non ci sono funerali. Quando non c’è nessun funerale il nostro lavoro si riassume nella parola: manutenzione.
Se parlate di me con qualche collega quello vi dirà che non sono molto zelante. Per i miei colleghi quello che io ho espresso col termine “zelante” equivale a comportarsi come se ci si fosse fatti un clistere di caffeina nel tentativo di fronteggiare una acuta crisi ansiosa dentro una cornice da sindrome bipolare. L’atteggiamento che deriva da queste premesse per la maggior parte dei miei colleghi equivale ad un livello ottimale di efficenza. Invece io sono fra quelli convinti che un lavoro si tratta di farlo meglio possibile e basta, capisci? Non ce n’è proprio bisogno di interpretare la parte dei super-qualcosa e calarsi nel ruolo come super deficienti. Poi pensatela come volete… ma almeno si dovrebbe essere tutti d’accordo che lo zelo e il lavoro di becchino non sono un accostamento di buon gusto. Poi dico. Cimiteri di campagna. Cambiare lampadine bruciate. Sistemare prati, aiuole e potatura di qualche siepe e piccola manutenzione ordinaria. Si può farlo senza particolari superpoteri.

La nota dolente, e ineludibile, sono i funerali. Vero fiore all’occhiello della cooperativa, peraltro. Nei passaggi di stagione si concentra la maggior frequenza dei funerali -i becchini esperti confermano-. Quando c’è il passaggio da una stagione ad un’altra aumentano coloro che passano dalla vita alla morte. Per dire come la natura è ciclica e misteriosa, precisa ed armonica. Non sbaglia un colpo la natura. Fa i cambi di stagione come noi da vivi facciamo con gli armadi. Per questo ci sta sulle palle la natura -non di rado ci lascia piuttosto risentiti, anche se è difficile ammetterlo-, noi siamo pro eternità, lei contro.

Seppellire è un lavoro faticoso perché qui si fa sempre all’antica, con pala e attrezzi manuali e sudore. Lo scavatore meccanico viene usato solo per fare la buca.
Ma una volta giunto il pubblico sul luogo della tumulazione, la cooperativa Icarus, signore e signori, è orgogliosa di presentarvi un lavoro impeccabile sia dal punto di vista tecnico che scenografico.
Una volta calata la bara e tolte le funi si esegue il mistico rituale del riempimento a mano -una volta riservato ai parenti-. Belle sudate, ma di questo non mi lamento. L’idea che qualcuno venga seppellito da una macchina non mi piace. Non mi piace e basta. Poi meglio spalare terra che stare rinchiusi qua dentro a vedere questi programmi di merda. Penso.
Le volontarie non commentano quello che vedono, ma seguono con attenzione. Aumenta volume e intensità delle risate fuori campo. Fine di una scenetta. Una delle spettatrici, quella di poco più alta, si toglie il giubbotto ad alta visibilità, lo depone su una sedia e prende nella direzione porta del gabinetto. La sua amica non batte ciglio; resta con lo sguardo incollato al video.
Noto che non è male attrezzata la volontaria che ha diminuito il livello della sua visibilità togliendosi giubbotto catarifrangente per accingersi ad espletare umana necessità normalmente a bassa visibilità. Le due spettatrici, a parte l’indubbio vantaggio di essere tridimensionali sono decisamente meglio di quei due pezzi di catrame che recitano in TV. Lo sarebbero anche diminuendo il numero delle loro dimensioni o aumentando quello dei catrami.
Che le guardano a fare?
La porta del bagno si chiude. Mi strofino gli occhi e sbadiglio.

Si può avere a che fare con immagini macabre in questo lavoro. Per forza. Niente in confronto alle cerimonie funebri. La liturgia cattolica mi disturba. Non ci posso fare niente. Lavoro qui da poco, e sono riuscito a fare l’abitudine a quasi tutto: teschi, ossa, malleoli, tibie e peroni -tibie e peroni si dicono sempre insieme-. Ci si abitua alla trasformazione del corpo in qualcosa di orribile alla vista, all’olfatto, al tatto… Anche all’odore di fiori recisi tendenti alla putrescenza che impesta i cimiteri in estate.
L’ipocrisia burocratica dei salmi funebri proprio non la mando giù bene. Rimane appiccicata addosso.

Da quando faccio il becchino mi trovo a fare i conti pure con la sensazione che i morti in qualche modo percepiscano tutto quello che succede intorno a loro. E’ assurdo lo so, ma mi sono convinto che, in maniera differente dai vivi, lo percepiscono. Non so come è che ho iniziato a prendere in considerazione questa cosa.
Avverto più la sensazione del percepire che il soggetto del percepire. Non mi riferisco di sicuro al corpo del morto che è appunto un corpo morto. Proteine per ovvi motivi in decomposizione. Ma a qualche tipo di coscienza o di processo cosciente o… qualche residuo di coscienza curiosa vagante. Forse sto diventando superstizioso… o new age. O tutte e due le cose insieme.
Non tutti i giorni provo la stessa sensazione. Dipende dalle condizioni del tempo e dall’umore che mi porto dietro e da chissà quali altre cose. Il che avvalorerebbe l’ipotesi che si trattasse solo di suggestione. Ma secondo voi i credenti ci credono tutti i giorni allo stesso modo nella resurrezione di Cristo? Non penso proprio.

Pur ammettendo, per assurdo, che i morti, o ciò che lasciano come traccia rimanga in ascolto ,e si accorgano di tutto quello che avviene intorno a loro, va riconosciuta la grande pazienza con cui reagiscono alle performances dei vivi. La mia teoria è che non mettano mai bocca sulle cerimonie solo perché molto educati e magari si limitano a qualche scherzo. E’ anche logico che se il trapassato lascia nell’atto di trapassare la vanità in questo mondo materiale, allora le faccende dei vivi debbano apparire oltremodo comiche e spassose da un eventuale punto di vista ultraterreno.

Per ingannare il tempo ed esercitare la fantasia mi capita di pensare che siamo noi i veri sacerdoti. –Sì, e mi immagino vestiti con abiti cerimoniali precolombiani- Sì noi! Gli operatori necrofori della coperativa Icarus assunti per causa e merito di una esternalizzazione di due comuni decisi ad abbattere i costi gestionali dei servizi cimiteriali. Noi vestiti come i Maya. Eccoci: sacerdoti occulti senza divisa da sacerdoti (per questo i vestiti precolombiani). Con travestimento composto da normali abiti da lavoro. Una copertura senza dubbio. Senza il nostro sudore profuso mentre solleviamo terra con le pale e gettiamo terra nella fossa, il trapasso non sarebbe onorato a sufficienza. -Oh, no.- E’ tutto merito nostro. Andrebbe tutto in malora altrimenti. I vivi andrebbero incontro a nefaste conseguenze. Su questo ne converrebbero anche gli antichi. Apparizioni in sogno al fine di passare false informazioni in merito all’andamento dei mercati azionari ed i vivi a bruciare compulsivamente i risparmi.
Non mi immagino fantasmi, ma residui di coscienza osservante. Eppure se c’è qualcosa-che-sente qualcosa allora sente il sudore e la fatica e le sensazioni fisiche mi immagino io, non voci lamentose che pronunciano frasi cerimoniali di circostanza. Se ogni tanto un orecchio si protende verso il mondo pesante dei vivi deve essere per una nostalgia residua del corpo colle sue meravigliose miserie. O magari per il semplice fatto che c’è qualcosa che deve essere sentito, c’è chi sente, se ogni cosa che merita osservazione creasse il proprio osservatore? Sennò non c’è proprio niente che sente niente e festa finita. E’ una suggestione e stop.

Ogni becchino ha il suo stile. Il proprio personale atteggiamento psicologico nel trattare la faccenda. Siamo dei professionisti, altroché. Comunque voglio dire che è un lavoro in cui ti senti utile. Ha una certa solennità. Dicevo che può sembrare macabro e… ammettiamolo qualche volta è macabro. Ma di fastidioso una volta prese le misure e fatto un po’ di callo alle brutture, a parte le cerimonie funebri di cui prima, rimangono solo alcuni colleghi di lavoro con il loro atteggiamento. Oppure certi visitatori che ve li raccomando. La loro inutile vanità mi dà sui nervi. Davvero.
Un esempio di fastidio è il collega che sto aspettando e con cui sono in turno stamani. Tale Tiberio. Il Responsabile Operativo della cooperativa. Mi sta sui nervi e la cosa è reciproca. Magari si tratta di un povero diavolo e basta, ma lui e le sue ansie igieniste intermittenti e alternate ad una attrazione erotica per la sporcizia non le digerisco. Di sicuro è solo un povero diavolo, ma io non ho il distacco necessario per digerire tutti i poveri diavoli e al momento non riesco a superare il livello base del fastidio. Il che mi fa tornare a mente il caffè e mi sale di nuovo l’odio e poi vedo le due volontarie, perché nel frattempo è tornata anche quella che era andata a pisciare, che si scambiano un commento che vorrebbe essere sarcastico sul vestito delle collegiali, imboscate dietro il video -per giunta meno fiche di loro– nel frattempo è emersa anche una storia di corna che non ho seguito, ma deve essere stata davvero avvincente perché loro si aggiornano subito- e finalmente odio tutto di nuovo. E di nuovo mi sento meglio, mi metto a sedere e sbadiglio ancora e poi ancora.

La vicinanza con i fatti legati alla morte può indurre strani effetti. Fra cui la sonnolenza, o l’iper-eccitazione. E’ un fattore di stress, come direbbero gli psicoterapeuti -categoria, a torto o ragione, non molto frequentata dagli operatori necrofori.- Alcuni di questi effetti li augurerei a quelle stronze che hanno deciso finalmente come si vestiranno per il loro cazzo di ballo.
-Se uno lavora come becchino anche per poco è perché ha dovuto misurarsi con queste reazioni al pensiero della morte…- Un amico che è dentro fino al collo con la filosofia indiana me l’ha cantata così, che secondo me è un altro punto di vista un po’ new age. Però a volte mi sa che questi indiani c’azzeccano o forse è una copertura per dire che non ho trovato nessun altro lavoro. Non si sa mai come vanno di preciso queste cose. Autosuggestione – mi sono convinto che è stata una fortuna trovarmi impiegato qui. Certo sarebbe un lavoro insopportabile se non avessi il pallino dell’osservazione.
Ma io sono l’osservazione.

-Buon giorno.
-Buon giorno.
Entra il medico dell’ambulanza, un tizio sulla cinquantina con tutti i capelli e tempie bianche, estrae una custodia dalla tasca del giubbotto ad alta visibilità, si infila un paio di occhiali dalla montatura metallica e inizia leggere il giornale sul tavolo dalla cronaca locale.
Guardo l’orologio.
Strano, dovrebbe essere già qui. Ritardare non è da lui.
I colleghi. Uno degli effetti più evidenti per la maggior parte di coloro che hanno a che fare con ciò che è funebre è un attaccamento morboso al denaro. Una sorta di avidità famelica. Poi c’è anche una certa passione per ciò che è macchina. Automobili, motociclette, talvolta computer ecc. Cose che si rompono, ma si aggiustano cambiando un pezzo, sborsando una cifra in moneta.
Avere a che fare con la rottamazione della macchina umana incentiva la fuga verso mondi macchina fatti di metallo e circuiti e gomma e plastica che dovrebbe essere eterna -ma si sbriciola dopo pochi anni che è una bellezza.- Una certa sfiducia nei meccanismi biologici assale gli operatori necrofori e li scuote nelle radici. Ecco di cosa si tratta. Le nostre parti proteiche, ossee. I nostri strati lipidici. La cheratina dei capelli -quelli sì, resistenti per davvero-. Povere macchine morbide. Così poco modulari… e così poco sostituibili. Piene di condutture […] Capisco che ti può colpire questo pensiero se fai questo lavoro.

Sempre sul versante rischi professionali .Da non sottovalutare il pericolo regressione all’infanzia e tendenza ad adottare espressioni ed atteggiamenti puerili. In alcuni becchini inoltre si presenta un senso del morboso e del macabro vero e proprio. Tipo passione per i film horror. Immedesimazione con senso del disgusto o visioni aberranti o raccapriccianti o trash o porno. O tutto quanto insieme.
La serie delle immagini che finiscono nel magazzino psichico di chi lavora coi morti sono più forti di quelle che mediamente attraversano la vita del consumatore comune di immagini. Ma sono terribilmente più vere e non arrivano dall’occhio soltanto.
La cosa che terrorizza non è l’immagine visiva, anche se questo sembra oggi difficile da capire. Sono gli altri sensi che ci sbattono fuori dalla normale percezione delle cose. I nostri occhi sono abituati a vedere di tutto. I nostri occhi sono assuefatti quasi a tutto. Ma il naso no. Non siamo abiutati ad annusare tutto. A toccare tutto. No. La percezione della morte è un odore. L’odore è qualcosa di antico. Quello della morte è assoluto; è irriducibile.
-Mi viene a mente quello che diceva l’amico mio che a parte dilettarsi di filosofia indiana fa il contadino e mi parlava del curioso metodo per tenere lontani caprioli e gli stambecchi ed erbivori di grosse dimensioni , potenzialmente dannosi per le coltivazioni da una zona. Si devono cercare delle pelli di questi animali e poi bruciarle. Diluendo le ceneri in acqua si ottiene un repellente che cosparso lungo il perimetro funziona come una recinzione invisibile da cui gli animali stanno lontani perché fiutano il pericolo della morte.-
La paura diventa pericolosa solo quando non si riesce a darle una forma. L’odore non ha forma. Arriva all’archeo cerebro. La ragione ci protegge poco dalle informazioni non visive. Chi sente l’odore della morte prova l’istinto immediato della fuga. Da qualche parte le immagini olfattive si immagazzinano. Poi mi sa che ti modificano da dentro. Lavorano dentro. Ed il tatto? Toccare uno scheletro umano per spostarlo è qualche cosa di parecchio differente da vedere le immagini di uno scheletro umano in televisione. Anche se manca la colonna sonora. Il video è il nostro rifugio, finché ci arrivano solo immagini crediamo di essere al sicuro. Il becchino vorrebbe sempre fuggire, ma non sa dove perché non esiste un luogo sulla terra dove non esista il suo lavoro o qualcuno che ne svolga la funzione. Non esiste e non è mai esistito e non esisterà mai. Il becchino può fuggire solo dentro se stesso. Precipitare in qualche botola. Inseguire conigli bianchissimi come sperma. Fottere infiniti buchi senza amore e poi piangerne. Creare il mondo e distruggerlo. Istigare rivolte piene di sogno. Trasformarsi in robot d’acciaio. Invadere la luna e dichiarare guerra alle stelle.

Trovarsi per la prima volta a contatto coi residui della morte ricorda ciò che avviene quando per la prima volta ti trovi a contatto col sesso. (Per dire che Freud non doveva essere per niente fesso.)
Metti il caso del sesso e come l’odore e il sapore della secrezione vaginale, la sensazione tattile della lubrificazione siano un’esperienza diversa dall’immagine. L’odore del sesso non ti arriva dal video. Sì. In un certo senso ogni odore è odore di realtà. E non tolgo niente all’immagine. Ma tutti i sensi convergono alla coscienza. Arrivano lì, non chiedono il permesso. Viene prima del linguaggio e di tutto il resto. Allora, in un certo senso il contatto con le spoglie mortali dei defunti e il loro odore è inebriante. Spurga la mente dagli schemi. Con la stessa intensità ma con segno opposto a quello del sesso avvertiamo la sensazione della morte. Paura e desiderio si mettono davanti come due specchi, la paura e il desiderio, la morte e il sesso e noi lì seduti nel mezzo.

L’amico che mi passa le info new age dice che paura e desiderio altro non sono che la stessa energia in due forme differenti. E dalla mia esperienza non posso dargli torto, è pieno di gente che si fa di paura.

Paura e desiderio sono il contrario dell’attesa. Paura e desiderio annunciano l’azione. Quando superano un certo livello ti paralizzano. Quando li provi è come se non esistesse empasse. Devi agire e basta. Ma la nostra epoca assomiglia ad una sala d’attesa. Attesa della paura e attesa del desiderio. Se fossi un pittore dipingerei solo enormi sale d’attesa. Ogni tipo di sala d’attesa. Sale d’attesa del dottore, del dentista, sale in cui si aspettano colloqui di lavoro o enormi stanze piene di musica e luci colorate che sono discoteche e luoghi di ritrovo. Si attende. Ho sentito dire che succederà qualcosa. Ma non so quando. Né se è vero. E’ solo un presentimento. La provincia è tutta ad una sala d’attesa. L’immagine è l’attesa della realtà che continua ad annunciare se stessa diventando sublime o terribile. Richiede continuamente risorse e prestiti alla nostra fantasia per rendersi, accattivante. A volte giochiamo al gioco dell’attrazione a volte a quello della repulsione. Ma sempre restando in attesa. A volte abbiamo paura dell’attesa e allora scivoliamo nel panico.

Arriva Tiberio e non ha per niente un bell’aspetto.
Sbuffa pesticcia e guarda tutti prima di accennare un saluto. Ha l’aria agitata come suo solito e l’espressione di qualcuno a cui è stato affidato un impegno al di sopra del proprio spessore. I maligni affermano che qualsiasi incarico sarebbe stato al di sopra del suo spessore. Ma io questo non credo sia del tutto vero per nessuno. Sembra sull’orlo di una crisi e più del solito trasmette l’idea di uno che potrebbe sbroccare da un momento all’altro, ma sapendo quanto è abituale la situazione viene rubricata solo come pericolo ipotetico. (Ciò che è familiare ci sembra sempre meno pericoloso.)
Sembra che Tiberio si muova camminando su un lastrone di ghiaccio che galleggia sopra una massa di lava fusa.
Responsabilità poco gestibili possono sempre manifestarsi da parte sua nel dito puntato verso qualcuno o qualcosa a portata di dito puntabile e astiose ripicche varie ed eventuali. Sento puzza di caccia alle streghe di prima mattina. E’ bene essere diffidenti. Temo l’aumento della temperatura; questa settimana le massime vanno sui 40° all’ombra senza accenno di diminuzione.
Mi viene a mente quello che dice Max di Tiberio, -Max è il collega più anziano nonché il capro espiatorio professionista nelle dinamiche patologiche della cooperativa (sono il cane e il gatto): -Ha la testa piena di mostri.-. Dice proprio così.
E’ evidente che ha la testa piena di mostri; -forse ce l’abbiamo tutti- gli rispondo sempre io. Il problema è che i suoi mostri entrano ed escono dalla testa come i fumatori entrano ed escono dai pub il sabato sera. Saggezza impone di non farli uscire tutti insieme, e strategie di evitamento per possibili attacchi di branco.
Prima cosa: chiedere con aria almeno altrettanto greve della sua che cosa c’è oggi da fare. -Importante non usare un’espressione che possa togliere serietà o mettere in ridicolo il groviglio interiore.-

Buongiorno va sempre bene.
-Buon giorno.
-Buongiorno.
Si stropiccia gli occhi, è già schizzato bene bene ma vuole fare la parte dell’assonnato. Poi prende un similcaffé per peggiorare la situazione.
Pare che il caffè ci riesca.
-C’è da fare una riduzione. Prendi il furgone, vai ad aprire i cimiteri e poi vai a Filiana-
-Non ho visto nessun foglio…-
Non è per essere pignoli, è che di routine i lavori vengono inviati via fax dall’ufficio la sera prima e poi vengono appesi in una apposita bacheca ecc ecc e non c’era nulla. Nulla di nulla.
-No, non è segnalato. Te lo spiego dopo.-.
La sua voce manifesta una nota di disappunto per il fatto la prima domanda che gli ho rivolto è già eccessiva e sembra contenere una via di mezzo tra un rimprovero per aver osato chiedere e una leggera supplica nel non proseguire oltre con eventuali richieste di chiarimento.
Mi incuriosisce. Quando ha lavori in odor di losco per le mani il lato spassoso potrebbe fare irruzione nella routine. Questo mi incuriosisce. A lui dà sui nervi.
La sua preoccupazione ha un vantaggio: non è contagiosa. Questo rende lui tollerabile a me, ma questo è anche il motivo che rende me intollerabile a lui.
Saluto le due involontarie protagoniste dei miei incompleti desideri erotici mattutini mettendoci una punta di desiderio per nulla ricambiato dal loro tono di voce, e saluto il medico dell’ambulanza che, deciso ad avvelenarsi, nel frattempo si è portato alla macchinetta del caffè pure lui. Per uscire si deve passare di nuovo di fronte alla boss dietro la reception del potere. Quindi affronto l’aria con qualche frescura notturna ancora presente in questa mattina di luglio. Accendo il furgone e mi dirigo verso il cimitero di Filiana.
[continua…]

[GC :::2008:::]

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Racconto gotico toscano estivo (prima parte)

Theda Bara

Racconto gotico toscano estivo (prima parte)


…Solo automobili e treni fermi sui binari che si trovano nel mezzo all’asfalto come i binari di una tranvia. Parcheggiato c’è un treno merci con delle grosse cisterne e senza locomotore. Ci sono altri treni fermi. Tutti in deposito senza motrice.
Arriva di nuovo il capostazione in scooter, è un tipo dinamico, molto alto e di un buon umore contagioso. Mi dice che il prossimo treno che partirà è proprio quel merci lì davanti.
Sembra sapere il fatto suo ed è sicuro che il mio treno partirà, ne è certo, sebbene io non lo veda e non riesca a capire come ciò possa essere possibile.

Infine mi sveglio.

Automobile, guidando verso il paese di Monte. Quindici chilometri circa da dove abito. La mattina c’è traffico non bisogna starci stretti. Questa settimana ho turno di mattina. Quello che mi crea più problemi. Il bello del lavoro di operatore necroforo –a parte il versamento dello stipendio a fine mese sul conto corrente- è che si lavorano sei ore il giorno. Purtroppo si lavora anche il sabato. Ogni rosa ha le sue spine. Per me sta bene. L’umanità dovrebbe lavorare quattro ore il giorno. Anzi meno. A distanza di un secolo dalle otto ore lavorative abbiamo riconquistato le dodici ore pagate sei. Siamo dei fessi. Globalmente intendo. Ammettiamolo ci siamo fatti fregare.
Adesso faccio il becchino per conto della cooperativa Icarus da circa sei mesi. Qualcuno storce la bocca quando parlo del mio lavoro, ma vi assicuro che questo è un lavoro pieno di possibilità di crescita e di stimoli umani. Lo so che non gode di buona fama. Magari neanche io l’avrei fatto se proprio non ci fosse stata in giro una disoccupazione aggressiva a mordermi il culo. Ma devo ammettere che ha i suoi vantaggi. A parte le sei ore giornaliere. Ho l’occasione di guardare il mondo da un punto di vista privilegiato. E’ come una postazione panoramica.

Stamani stranamente non sono in ritardo. Accendo la radio. Dopo un po’ esce di frequenza. La stazione selezionata non si prende mai in questo tratto di strada. Cambio stazione. Ne trovo una che arriva bella chiara. Tutti ridono. Voci squillanti e chiassone. Lascio lì, per sentire di cosa stanno ridendo questi simpaticoni. C’è in corso un dibattito appassionato su quali siano le cose che gli uomini fanno meglio delle donne e viceversa. Si tratta di una di quelle trasmissioni radiofoniche dove ci sono diversi speaker e tutti fanno i battutieri, ma nessuno dice niente e le battute fanno ridere solo se sei idiota come loro (che di lavoro imitano gli idioti che li ascoltano) e c’è anche una ragazza che fa la fica del branco e tutti che fanno i piacioni; grezzi come la merda e inutili come un fazzoletto di carta appena buttato nel cestino.

Penso al sogno di stanotte, me lo ripeto.
Cambio ancora stazione e trovo una vecchia canzone degli U2 che mi riporta indietro qualche ricordo. Tanto ormai sono quasi arrivato.

Centro commerciale. Il punto di ritrovo di ogni operatore necroforo, moderna dizione del ruolo meglio noto col termine di becchino, impiegato presso la cooperativa Icarus, si trova nella sede della Pubblico Volontariato e Affini che, a sua volta, si trova situata, architettonicamente parlando, sotto il centro commerciale del simpatico paese di Monte. Centro commerciale voluto e realizzato dalla cooperativa del consumo totale che è titolare del supermarket, a sua volta incastonato come una pietra preziosa, dentro il centro commerciale.
Questo fa si che in un solo edificio si intreccino storie di commercio, assistenza, malattia, morte, amore, offerte del mese, snackers, volontariato, ravioli, dialisi, terzo settore, servizio civile, intrallazzi, immondizia, moda, ambulanze, bellezza, brutture, eiaculazioni lente, medie e precoci, cooperative, consorzi e TV satellitari. Ancora il ministero non ha concesso il permesso per la vendita dei carburanti creando così un temporaneo, ma significativo, intralcio al progresso.

La mattina alle sette e qualche minuto risulta evidente l’esistenza di due categorie di persone. I mattinieri iperattivi ed i notturni che hanno occhi abbottonati e lunghi sbadigli da condividere. A quell’ora dentro la sala della “pubblica” ci si scambiano i buongiorni e si spande nell’aria l’odore del caffè velenoso delle macchine automatiche.

Entrata. Appena si entra nella sede della Pubblico Volontariato e Affini ci si trova davanti un bancone tipo reception con dietro seduta la ragazza della “pubblica” –PVeA-; tipa mora, piuttosto giovane, decisamente in carne, ma di quelle piene di fame vitale. Due occhietti neri e vispi scintillano sulla facciona graziosa. Una che tiene la situazione sempre sotto controllo. I pantaloni attillati fasciano il grosso culo e un seno di altri tempi minaccia di esplodere in faccia all’interlocutore. Ha un che di metresse e uno spunto di vipera. Sfodera sorrisi e tiene una battuta in canna, non sempre la migliore possibile, ma funzionante.
Che il discorso piroetti su particolari di storie piccanti come sul più e sul meno il colpo è lì, pronto ad esplodere come le tette. Il suo forte sta nel decifrare rapporti di forza, intrallazzi di ogni tipo e intrighi di corte, in chiunque le capiti a tiro. Però si capisce che è un’osservatrice, e non è di solito interessata a mettere cose che non ci sono sul conto del prossimo suo, almeno che non rientri nei calcoli di qualche strategia temporanea. Il che denota una certa intelligenza o almeno una calibrata furbizia. Si muove leggera come una ballerina classica nonostante la stazza e il peso fisico. E’ giovane.

-Buon giorno.
-Buon giorno.
Ci scambiamo anche un mezzo sorriso.
-Tutto a posto?
-Alla grande.
-…
Mi scruta, mi registra e passa oltre. Anche io passo oltre. Mi sposto nella stanza.
A parte l’entrata dove si trova lei, c’è una stanza grande con tavolo e sedie, televisore e anche una poltrona e poi c’è un bagno molto spazioso e pulito. Molto a norma.

Il compagno della tipa lavora alla “pubblica” pure lui ed è un tipo un po’ gatto sornione. Sembra avere una certa conoscenza delle cose del mondo anche se decisamente meno carisma e intraprendenza di lei. Una certa attitudine a rendersi invisibile. Si completano, ma non si escludono. Ogni tanto accennano qualche litigio rituale durante il quale lei ristabilisce la dominanza territoriale e lui attua ponderate ritirate strategiche da micio astuto. Oggi non lo vedo in giro. Deve essere sui tetti in perlustrazione.

La stanza. Qui dentro volontari e dipendenti -li confondo sempre- si organizzano per l’assistenza a vecchi e malati cronici. I più giovani si raccontano qualche roba della sera prima; sbronza molesta e simili gesta di ripetitive epopee consumate nei discorsi sempre uguali che tentano di imitare l’ineguagliabile, e non si avvicinano nemmeno alla versione disperatamente scontata dell’obiettivo.

Piano inferiore. Ottimo punto di osservazione. Stanza volontari e affini in cui il sottoscritto sta sorseggiando un caffè disgustoso e bollente, fornito contro moneta da una macchinetta diabolica. Il contenuto catramoso scivola da dentro insulso bicchierino di plastica esaurita e non più riciclabile giù giù nella gola e non mantiene nessuna delle pur flebili aspettative di piacere.
Gli occhi sono attratti dallo schermo luminoso di un televisore acceso posto in un angolo in alto nella stanza. La TV è sintonizzata su qualche canale di quelli che bisogna anche pagare per vederli e che non guarderei nemmeno se mi pagassero per farlo. Autentico conforto per tutti i volontari in attesa di qualche urgente chiamata o servizio urgente o urgenza in generale: il televisore. Strumento che riesce a rendere anche la noia un’emergenza.
Due volontarie della Pubblico Volontariato e Affini dentro il loro giubbotto arancione fosforescente stanno infatti fissando delle biondine bidimensionali che dietro lo schermo dell’apparecchio schiamazzano per un problema tipo: come vestirsi per il ballo della scuola. Lacerante dilemma da cui a quanto pare sembra piuttosto difficile trovare un’uscita dignitosa.
Il programma è più disgustoso del caffè, ci sono delle cretine che sembrano la barbie con la cellulite e si preoccupano solo di farti notare quanto sono cretine e muovono la bocca in modo che tu possa immaginare quanto sono brave a fare dei pompini immaginari. Aperta parentesi. Cosa che per altro è completamente falsa, perché quelle che muovono la bocca come loro sono solo brave a far credere di saperli fare i pompini e in realtà non li sanno fare per niente. Chiusa parentesi. Sanno solo strillare e attirare l’attenzione. Le odio. Odio anche il caffè. Odio il supermarket. Odio tutto. E’ solo un momento ma ecco che finalmente mi sento bene. E’ iniziata la giornata!

Solo chi sta al piano di sotto, come me in questo momento, percepisce questo intreccioso multiforme brulicante groviglio di realtà nel complesso e capiente edificio che contiene il centro commerciale e la Pubblici Servizi e Affini. Si tratta di un luogo così pieno di cooperative. Cooperative per i vivi al piano di sopra e sotto ci siamo noi; la cooperativa per i morti. Al piano di sopra svuotano scaffali, riempiono carrelli, accumulano punti, pagano e poi nel parcheggio, si riempiono bauliere. Si paga, si svuotano gli scaffali, si riempiono le bauliere. Le auto se ne vanno. Auto arrivano. Simili alle precedenti. Con viaggiatori simili. A volte scendono famiglie intere di mussulmani con le donne vestite da mussulmane e gli uomini vestiti da italiani degli anni trenta ed i ragazzi vestiti da rapper americani. Il tapis roulant porta dal parcheggio delle facce che non si capisce mai se sono felici. Vanno su col carrello vuoto, ma poi lo riempiono e tornano all’incirca con la stessa faccia. Adesso non ci sono. Per forza, è presto. Molto presto. Ma anche quando vanno in su e in giù sui tapis roulant, col carrello vuoto e poi col carrello pieno non si capisce se sono felici. Allora vorrei affacciarmi e urlare – Siete felici?
Chissà cosa risponderebbero …
Cosa vuoi che rispondano? Che idee stupide mi vengono a quest’ora di mattina. Sono felici se la cassiera sbaglia a fare il resto a loro vantaggio.
Infine il cerchio si chiude dopo tot carrelli pieni, tot bauliere riempite, tot tapis roulant. Allora non ci vuole più la cooperativa di consumo. La cassiera non può più farci niente. I punti non bastano. Interveniamo noi. La cooperativa per i morti. Icarus. Intanto sono preoccupati perché è scaduta l’offerta del mese. Pensa alla cooperativa del piano di sotto e vedrai quanto te ne sbatte dell’offerta del mese… Li odio, ma la seconda volta è solo una scossa di assestamento.

[continua…]

[GC 2008]

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Amina

Amina

“…siamo in guerra. Una guerra tra due epoche. Una guerra tra una mentalità retrograda che appartiene al medioevo ed una progressista radicata nel 21° secolo. Una guerra fra libertà e oppressione. Una guerra tra democrazia e dittatura. Una guerra fra coloro che trattano le donne come cani e coloro che gridano ‘siamo donne, siamo esseri umani’. […] Io denuncio l’islamizzazione radicale e la distruzione degli ideali della primavera araba”.

Amina, la diciannovenne Femen tunisina è scomparsa

Si chiama Amina, rischia la lapidazione

“…la Tolleranza è una virtù ammirevole, tranne nei casi in cui tollera l’Intolleranza.”
Vitaliano Brancati

Sui metodi delle Femen ho sempre avuto delle perplessità, però devo riconoscere loro il merito di fare uscire il marcio a galla. Se c’è chi, come l’imam Abdel Almi, si permette di dichiarare: “E’ una blasfema, dovrebbe ricevere dieci frustrate e poi va lapidata finché morte non sopraggiunga” è giusto essere partigiani e non nascondersi dietro un dito. Io sono di parte e non tollero la cultura dell’intolleranza che si nasconde dietro la richiesta di tolleranza. Ogni islamismo è un fascismo. Ogni integralismo religioso è un fascismo. Chi lo tollera nel nome dell’irredentismo, del nazionalismo o dell’anti-imperialismo, appoggia di fatto un fascismo. Io sono di parte e credo che di gente come Abdel Almi questo mondo potrebbe benissimo farne a meno.

Vedi anche: Imagine no religion

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