Detto questo…

Rosmarino

Detto questo…

Quando anarchismo e comunismo erano ipotesi di modelli sociali storicamente realizzabili stimolarono la produzione di parecchie -mode culturali-.
Le mode culturali sono come la febbre, si avvertono bene quando la temperatura sale e quando la temperatura scende. Fuori di metafora quando le condizioni erano favorevoli alla realizzazione di quei modelli -come all’inizio del secolo scorso-, o quando le condizioni oggettive declinavano -come nel caso dell’occidente industrializzato nel ventennio ’60-’70- si registrava la maggiore influenza di queste mode.

Fino a metà degli anni ’80 l’ipotesi di realizzazione di una società socialista secondo le categorie del ‘900 per quanto scassata, logora e inefficace non era del tutto tramontata -almeno alla periferia del capitalismo-. In seguito c’è stata una morte per consunzione di questa ipotesi, sia pure con colpo di grazia finale geo-politico e tutt’altro che disinteressato.

Ci sono voluti 20 anni per “elaborare il lutto”. Venti anni fatti di relazioni fra persone e volontà di andare oltre. Da un certo punto di vista c’è stato più fermento negli anni del riflusso che in quelli dei movimenti rivoluzionari o presunti tali.
Nel 2001 viene buttato nel cesso gran parte di questo patrimonio di elaborazione e relazione e successivamente viene anche tirato lo sciacquone. Per la gioia di coloro che di quella elaborazione non hanno colto niente e l’hanno vista soltanto come un “pericolo” dentro cui magari mimetizzarsi. Per la gioia di quelli che sono rimasti a galleggiare. Gli ultra-leggeri, che si erano sottratti ad ogni riflessione, i repulsivi ad ogni cura anti-dogmatica. Cioè coloro che per il potere non rappresentavano nessun pericolo. Individui e gruppi con l’ossessione igienica per la propria purezza sono rimasti lì a galleggiare.

Questo è vero soprattutto in Italia dove ogni scena della sinistra, senza eslcudere quella dal basso, è presidiata da nostalgici delle mode culturali o semplicemente nostalgici delle mode tout court.

In Italia ci sono ancora dei comunisti e degli anarchici che di solito usano con parsimonia e pudore i termini -comunismo- e -anarchia- e ci sono pure molti che lavorano per una società più giusta senza bisogno di ricorrere a particolari appellativi. Riconoscendosi comunque in una visione di libertà, fratellanza, uguaglianza.

Per contro il gran numero (relativo) di coloro che si fregiano di questi appellativi invece mi risultano essere -comunistoidi e anarcoidi-. Nostalgici di mode culturali. Ambiscono ad essere la pro-loco del comunismo o dell’anarchia. C’hanno l’applet per le scomuniche sul cellulare. Un reality che non è stato mandato in onda per mancanza di audience.

E non riesco a vedere niente di migliore tra i faziosi-modaioli che si pongono come l’alter di un disturbo bipolare. Che cosa triste assistere allo scontro tra appassionati di mitologia e di fantascienza -con tutto il dovuto rispetto invece per questi generi narrativi-.
Lo scontro tra vintage-politico e ultima moda non è -il nuovo- è solo la schiuma rimasta sul bagnasciuga dall’onda di lungo secolo che si sta ritirando.

Io non sono un nostalgico perché ho un profondo rispetto per la tradizione del movimento operaio e degli straordinari ideali di emancipazione e… Le sedute spiritiche però non mi interessano, né sono interessato alle parole d’ordine -ultimo grido-, oppure alla collezione di frasi fatte autunno-inverno. Che un dogmino sia migliore di un dogma non lo penso. Che un partitino sia migliore di un partito -sia pure travestito da altro- nemmeno.

A me piacciono le persone che sanno distinguere tra visioni ed obiettivi e restano umili anche quando vengono scosse dalle passioni. Le altre semplicemente no. Non mi piacciono. Possono farmi vedere le belle idee che vogliono. Si fa presto a mettere insieme delle idee.. si trovano ovunque; basta ripetere delle frasi, simulare degli atteggiamenti, dire che certe cose ti piacciono e certe altre non ti piacciono… Le idee si raccattano anche da terra. Si copia-incollano da qualcuno che sta simpatico o che esercita un qualche fascino.

Sono stato comunista e nel significato che mi è più caro della parola lo sono ancora.
Mi ritengo libertario. Nel senso che credo che la libertà sia una cosa faticosa, ma insostituibile. Che sia ciò per cui vale la pena correre, realizzare, comprendere, costruire. Un proverbio Zen dice che -la strada che porta al cuore è piena di fango-. Parafrasando, dico che la strada che porta alla libertà è piena di merda. Non è cosa da puri e immacolati/e, da chiassoni, da disturbati, da presuntuosi, da spacconi, modaioli, tribalisti, gruppettari, imbalsamatori, strafottenti, da chi non riesce ad essere nulla di più della quinta colonna di ciò che afferma pubblicamente di disprezzare. Non ci troverei niente di male se costoro lasciassero perdere l’agenda politica e rientrassero nell’ambito della psicopatologia medica in cui potrebbero ottenere senz’altro maggiore sollievo.

Gli -abbasso e alè-, i puri e duri (o duri e puri), i pastori di greggi immaginari, gli egorivoluzionari, per quanto possano pensare di starsene riparati dalle contraddizioni sotto l’ombrello delle affermazioni di principio, oppure al sicuro dietro paraventi intellettuali fatti di meccanismi che solo-loro-hanno-capito, puzzano di merda anche senza aver percorso un metro di via della Libertà.

Il loro tanfo esclusivo li rende perfettamente riconoscibili al pari degli fascisti di cui sono la forma irrealizzata. Il NOI con cui si riempiono la bocca è quello dell’infallibilità sacra e dogmatica e risuona di ambiguità tra un soggetto collettivo e un plurale maiestatis, ma pende inesorabilmente sul secondo termine. Il NOI con cui si riempiono la bocca nasconde un io tanto minuscolo quanto ipertrofico.

A me invece piacciono le persone che hanno una testa e la usano; che si smerdano per dei validi motivi e rinunciano anche a qualche certezza pur di aggiungere un pezzetto di libertà alla realtà di tutti.

Detto questo non voglio risparmiare a nessuno la fatica di pensare.

[GC :::2013:::]

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Cumshot 4

autostrada

Cumshot 4
Chi ama i cani non sa cosa farsene delle persone che abbaiano.

La genialità non è retroattiva (e nemmeno contagiosa).

Chi entra in crisi di realizzazione tende a ganzizzarsi.

Se mi spingi alla disistima hai giusto il tempo della fuga. Usalo.

Chi si prende sul serio per il fatto di non andare a votare ha già delegato tutto quello che poteva delegare.

Una persona negativa misura il mondo con ciò che non ha. Se riesci ad offrirle una mela ti rinfaccerà l’albero. Lasciale il tempo di andarsene.

[GC :::2013:::]

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Chi ha perso la tenerezza non vale niente

Ponte a Elsa

Slogan, frasi fatte e rifatte. Luoghi comuni. Contro. -Contro?- Con una punta di cattiveria così da sembrar originali. Nascondere l’assenza di intelligenza nell’aggressività. -Tanto nessuno se ne accorge. E’ come in televisione- nessuno se ne accorge. O tutti se ne accorgono perfettamente, ma non possono smettere di mentire. -Oh, se si espongono mi fanno un piacere-. Abbasso! Contro -almeno essere qualcosa-. E sempre la stessa traccia dietro le parole che non possono esser libere per quanto alla libertà facciano il verso. Con tutta la rabbia, il livore, il rancore… niente, solo slogan, frasi fatte, luoghi comuni, una punta di vittimismo, un riflusso gastrico di spacconeria. Pezzi di un mondo solo rovesciato, ma identico a quello di mamma e papà. L’intelligenza al confino, la riflessione pure. La tenerezza. La sensualità. Al confino. Come i tanto odiati fascisti mandavano le persone. Al confino. Così da poter restar soli con la solita litania in testa di un -io, io, io, …- che non diventa mai maiuscolo.

[GC :::2013:::]

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Lingua e politica

Tutte le questioni sono politiche e la politica stessa è una massa di menzogne, di scappatoie, di follia, di odio e di schizofrenia. Quando l’atmosfera generale è brutta, il linguaggio ne soffre. E’ probabile -è un’ipotesi che non posso verificare- che le lingue tedesca, russa e italiana si siano tutte degradate nei dieci o quindici ultimi anni, in seguito alla dittatura.

[…]
La parola fascismo oggi non ha significato se non in quanto indica “qualcosa di non desiderabile”. Le parole democrazia, socialismo, libertà, patriottico, realistico, giustizia, hanno tutte molti diversi significati che non si conciliano tra loro. Nel caso di una parola come “democrazia” non solo non esiste una definizione condivisa ma il tentativo di costruirne una trova resistenze da ogni parte. È sentimento quasi universale che quando definiamo “democratica” una nazione la stiamo lodando: di conseguenza i difensori di qualunque regime proclamano che esso è una democrazia e temono che dovrebbero smettere di usare questa parola se le fosse dato un significato univoco. Le parole di questo genere sono spesso usate in maniera consapevolmente disonesta. Vale a dire, la persona che le utilizza ha una sua propria definizione ma lascia che chi ascolta pensi che intende qualcosa di diverso. Affermazioni come Il maresciallo Petain fu un vero patriota, La stampa sovietica è la più libera del mondo, La Chiesa cattolica è contraria alla persecuzione sono quasi sempre fatte con l’intento di ingannare. Altre parole usate con significati variabili, nella maggior parte dei casi più o meno disonestamente, sono: classe, totalitario, scienza, progressista, reazionario, borghese, uguaglianza.

George Orwell – La politica e la lingua inglese (1946)

Una versione scaricabile

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Cumshot 3

San Miniato
Cumshot 3

La capacità che hanno alcune persone di non stupirmi è già l’ombra del nazismo.

Viviamo in un mondo di messaggi in bottiglia.

A chi pensa che il plagio mentale televisivo sia iniziato col Grande Fratello e non con Carosello è sfuggito qualcosa di grosso.

Spesso ci si deve difendere da persone che un discorso sensato non sono in grado di metterlo insieme, ma per motivi tutti da decifrare hanno deciso che valgono più di te.

Categoria purtroppo numerosa. Quelli/e che una cosa non la fanno mai, ma quando la fanno predicano e pontificano come se non avessero mai fatto altro.

“Evoluzione” della categoria precedente. Chi dice cose giuste o virtuose quindi è esonerato dal farle (sennò proprio tutto a loro! Eccheccazzo.).

Conoscete forse qualcuno che non si presenti come il rimedio dei danni che causa o che ha intenzione di causare?

La natura è interessata alla specie, non all’individuo. Se fossimo in grado di pensare all’individuo con la stessa serietà che usa la natura nei confronti della specie le cose andrebbero meglio.

La gran parte delle malattie contemporanee ha radici nell’incapacità dell’organismo di riconoscere gli amici dai nemici. Sarà un caso?

Senza uno spazio di competizione sei solo un’ipotesi.

[GC :::2013:::]

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Le liste di mobilità hanno rotto i coglioni

Ponte a Elsa

Centro impiego: xx
Unità: 1
Qualifica: addetto alle pulizie industriali
Requisiti: età indicativa 25/45 anni, indispensabile iscrizione liste mobilità (L.223/91), precedente esperienza nella mansione, disponibilità a lavorare su turni (anche sabato e domenica) in quota e a basse temperature, automunito
Tipo contratto: LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Durata contratto: 4 mesi
Sede: xx

Centro impiego: xx
Unità: 1
Qualifica: magazziniere consegnatario
Requisiti: età preferibilmente compresa tra 25-40 circa, diploma di scuola superiore, conoscenza lingua inglese, iscritti alle liste di mobilità legge 223/91, possesso patente b e capacità di guidare furgone, , la persona dovrà avere una minima esperienza nella ricezione della merce, smistamento della stessa e consegana, uso furgone e muletto
Tipo contratto: LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Sede: xx

Oh, ma questa “iscrizione alle liste di mobilità” ha rotto i coglioni!

Ma guardate se avere più di 40 anni vuol dire essere fuori da tutto.
Ma guardate se io non posso nemmeno mandare un curriculum se non sono finito in moblità… ma guardate se in questo paese di merda non si riesce ha “tutelare” qualcuno senza mettere qualcun’altro nella merda. Questo non è populismo? Questo no?

GC

Vedi anche: Nonviolenza

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Bi-bip

Mi reputo in grado di porre la questione in termini che le siano accessibili. Le è mai capitato di guardare un programma di cartoni animati intitolato «Bi-bip»?
-Lo guardo ogni settimana è uno dei miei preferiti- […]
…le è mai capitato di notare come «Bi-bip» sia quello che potremmo adeguatamente definire un programma esistenziale? […]
Fielbinder sorrise e proseguì: – La invito a riflettere su come tale programma non faccia altro che proporci le gesta di un personaggio, il coyote, funzionante all’interno di un sistema che ha l’interessante ruolo di Natura matrigna, un personaggio che incessantemente, instancabilmente, disastrosamente persegue un oggetto/scopo il cui valore è assai inferiore rispetto a quello dello sforzo e delle risorse che il protagonista investe nella sua ricerca. –Fieldbinder sorrise beffardamente. – L’oggetto perseguito – un uccello rachitico e ossuto – è assai meno prezioso dell’energia e dell’attenzione e delle risorse economiche consumate dal coyote nel corso della ricerca. Esattamente come qualsiasi nesso irradiato dall’Io verso l’esterno avrebbe assai meno valore del prezzo che l’impianto di tale nesso inevitabilmente pretenderebbe.
[…]
Una domanda, Dr J……, – disse. – Essendo evidente che il coyote dispone di consistenti risorse finanziarie, perché mai anziché dilapidarle per travestirsi da struzzo femmina e comprare catapulte e costruire razzi esplosivi e preparare polpette da struzzo farcite di veleno radioattivo non le impiega per andare a mangiare al ristorante cinese?- […]

La scopa del sistema; David Foster Wallace

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Orwell e noi

Fiume Elsa -Foto Gianni Casalini

Orwell e noi
Dice che un post deve trattare un solo argomento. Sennò il web-nauta si rompe i coglioni. Alcuni hanno preso talmente sul serio questa precauzione da scrivere post con nemmeno un argomento -e sembra che i web-nauti gradiscano molto-. Altri invece sono talmente bravi da scrivere interi libri con nemmeno un argomento o con un argomentino scrio-scrio che si riassumerebbe in venti righe.
Io invece scrivo post molto densi. Talmente densi da fare di questo blog uno dei venti (20) blog meno influenti al mondo. Ciò mi rende orgoglioso per motivi che aggiungerebbero argomenti al post; quindi soprassederò dalla loro trattazione. Anche perché, questa volta, mi limiterò ad un solo argomento trattato in poche parole, come esige l’etichetta del bravo blogger.

Orwell. Dalla sua apparizione 1984 (romanzo troppo famoso per parlarvene senza offendervi), in quel lontano 1948, è divenuto una sorta di bibbia antiautoritaria indiscussa. Fra i numerosi pregi e qualche difetto si può dire che dopo la stampa del romanzo ogni opera di fantascienza sociale distopica sia una variazione di 1984. La maggior parte pessime imitazioni. Alcune ottime.

Prendo un esempio di pessima imitazione: V per vendetta (il film). Non ho letto il fumetto, spero che sia migliore del lungometraggio, anche perché la storia si presta meglio alla carta inchiostrata che alla macchina da presa. Personalmente ho trovato il film una roba tra il patetico e il penoso, se si ha la pretesa di considerarlo un film adatto ad un pubblico adulto, se poi si considera un cartone animato girato con attori veri e si ritiene che il pubblico adeguato debba essere inferiore ai dodici anni può anche andare. Capisco che lo sceneggiatore Alan Moore si sia dissociato dall’operazione.

Perché? La società distopica ed il regime repressivo che governa la Gran Bretagna in cui è ambientato V per vendetta non contengono niente dell’angoscia autoritaria di 1984, nemmeno in parti per milione. Si tratta di un regime tutto sommato “benevolo”, di stampo talmente tradizionalista da essere del tutto improbabile e svincolato dalla realtà delle oppressioni contemporanee. Il regime coi suoi apparati è intollerante nei confronti delle minoranze sessuali e religiose, ma dal punto di vista del divario sociale non c’è traccia di oppressione di classe -se la passano tutti piuttosto bene, se si esclude il fatto che sono rimbecilliti dalla televisione-. Esso è la descrizione distorta del fenomeno a cui stanno andando incontro le democrazie occidentali.
Il signor V è un super eroe anarchico appassionato di vintage che ad un certo punto si presenta alla televisione e tiene un discorsone che incanta tutti. Così!
L’individuo solo che cambia il destino di tutti. La solita boiata. Un tizio in maschera che si presenta in televisione e dice: vi stanno prendendo per il culo! Nessuno l’ha mai visto, ma tutti gli credono. Il popolo non aspettava altro che lui: il vendicatore mascherato. Così, dopo varie peripezie, “il popolo” in maschera assalta il parlamento inglese e V riesce a farlo saltare in aria con tanto di fuochi d’artificio. L’eroe muore, ma vissero tutti felici e contenti. Bella cazzata. Un vero false flag culturale di impostazione neo liberista grondante della peggiore retorica americana travestita da cultura libertaria giovanile. -The revolution will not be televised – per dirla con le parole di Gill Scott Heron.

Un esempio di ottima ispirazione e fattura è invece Brazil (1985) di Terry Gilliam, dove la società distopica del futuro non è un rabbercio di 1984, ma una società in cui il trionfo dello stalinismo effettivamente non c’è stato, bensì c’è stata la fusione della società burocratica con il cattivo gusto del consumismo (grazie Fabio Casalini). Forse unico esempio di traduzione in opera narrativa del concetto debordiano di -spettacolare integrato-. Opera di tutt’altro valore sotto ogni punto di vista rispetto alla precedente.

Di sicuro il concetto più inflazionato e inutile del romanzo rimane proprio lui: il Grande Fratello. Rivenduto in forma metaforica dentro ogni discorso sul plagio delle menti contemporanee è significativamente stato ribaltato nel format del primo di una lunga e terribile serie di Reality Show targati Endemol. Il concetto è talmente evidente: non c’è nessun Grande Fratello che voi non desideriate già. Lo slogan non sarebbe tanto -Il Grande Fratello ti guarda-, ma –se il Grande Fratello smette di guardarti tu smetti di esistere-. E nel frattempo Lo guardi.

In 1984 l’autoritarismo poggiava sulla propaganda e sul un controllo del reale. Ciò che accade oggi è che non c’è più nessuna realtà da controllare, la realtà viene creata. Propaganda e controllo si sono fusi insieme. Anch’essi integrati.

C’è tuttavia un aspetto di 1984 che risulta fin troppo attuale, ma che non gode di quasi nessuna notorietà. Mi riferisco alla divisione geopolitica del mondo in cui vive Winston Smith ed alla tremenda somiglianza con il nostro mondo attuale.
Chiaro non ci sono super-stati, ma si sono prodotte con una certa approssimazione delle macro-aree geografiche descritte da Orwell. Ci riflettevo leggendo dell’accordo di conversione diretta yen-yuan di un paio di anni fa. Adesso si può dire che esistono realmente delle macroregioni monetarie che coincidono con Oceania (area dollaro/sterlina), Eurasia (area euro), Estasia (area yen-yuan). Permane l’incognita America Latina. Però, a parte questo, le coincidenze sono al limite del profetico.
Più o meno i confini -vaghi anche nel romanzo- coincidono con quelli di influenza e circolazione delle monete. L’africa è sbranata da tutti e la principale risorsa dell’Estasia sono i prolet sottopagati. Senza contare una guerra permanente in cui i vari stati si alleano e combattono in una alternanza temporale. Adesso questo processo avviene con simultaneità, mentre nel romanzo è consequenziale; ad una alleanza segue una guerra ecc. La realtà attuale e lo scenario descritto da Orwell si trovano su piani paralleli non divergenti, ma nemmeno coincidenti.

[GC :::2013:::]

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So future

Fiume Elsa

So Future!

Sono solo appunti, pensieri a voce alta, riflessioni e proposte sull’economia vista da lontano. Frutto di viaggi in rete, ma nondimeno della lettura dei libri di Marazzi e dell’ottimo -Filosofia del denaro- di G. Simmel, di Naomi Klein, Luciano Galllino e altri… C’è farina del mio sacco, dunque esonero gli autori sopracitati da ogni responsabilità e dagli errori eventualmente contenuti.

Ho estratto alcuni fatti che ritengo vadano maggiormente messi a fuoco rispetto al rumore di fondo. Mettere del tempo -e non solo dello spazio- fra noi e quello che si vuole osservare e poi mettere a fuoco.

Domanda: il sistema economico dei vincitori ha aspettato la vittoria storica per incepparsi?
Risposta: direi proprio di no.

La capacità produttiva totale era già sufficiente alla ricchezza mondiale trenta (forse quaranta) anni fa. Il problema era solo distributivo. La sconfitta di un sistema realizzato “alternativo” ha rilanciato l’ipotesi che il problema non fosse solo distributivo. In altre parole si è affermato un sistema (l’unico) che permetteva la totale espansione tecnologica al proprio interno.

L’emergenza produttiva di un sistema alternativo al capitalismo avanzato non aleggiava sulla società finché restava reclusa dentro il blocco sovietico. La trasformazione in un ipotesi socialdemocratica del blocco andava eliminata per questo motivo. Doveva essere uccisa sul nascere. Liberare la questione dell’improduttività e dell’inefficienza per farne un fantasma planetario era lo scopo -storico- delle manovre geopolitiche successive al crollo del muro di Berlino. Adesso per il fatto di avere eliminato i vinti dobbiamo accettare capricci e crisi -incurabili- del vincitore.

La percezione di una incapacità antropologica organizzativa al di fuori del sistema produttivo dominante. Questo era il trofeo da portare a casa.

Paradosso. La tanto pubblicizzata concorrenza interna del sistema liberale sembra essere stata una forma protetta di liberalismo classico ed era mantenuta dalla concorrenza tra i sistemi economici. Il capitalismo si è sempre nutrito dei fallimenti del collettivismo burocratico, ma dopo aver eliminato quest’ultimo ha assunto la caratteristica di un monopolio ontologico… che minaccia di esplodere. Di fallire. Di incepparsi. Lasciando tutti alle prese con l’abisso (che esso stesso seleziona, produce e struttura di volta in volta come nel caso dell’integralismo religioso).

[A tutt’oggi uno dei blocchi “psicologici” legati all’elaborazione delle alternative è l’immagine assolutamente -arretrata- delle capacità produttive in relazione ai bisogni. Tanto per fare un esempio l’agricoltura industriale produce eccedenze alimentari che hanno il solo scopo di contingentare il mercato e non quello di essere consumate. Si tratta di un’esigenza “astratta”. Quella produzione reale assorbe energia e tempo, ma serve come -potenziale- e -deterrente-. La sua eccedenza non è in relazione col soddisfacimento dei bisogni.
Eppure la percezione di un agricoltura “post-industriale”, cioè svincolata in gran parte dall’industria petrolifera-mineraria, sebbene di maggior qualità e vantaggiosa per il consumatore viene giudicata -incapace- di soddisfare i bisogni dell’umanità. Quando le cose stanno esattamente al contrario. Non sarebbe capace di soddisfare i bisogni della finanza cioè di produrre il triplo del necessario in alcuni luoghi per esportare sotto costo in altri (dumping) e cioè di eliminare la concorrenza -non economica- (economia di consumo).
La percezione della questione è ancora legata alle condizioni e agli schemi di lettura degli anni ’60, in cui si proponeva il dato esclusivamente quantitativo. Questo dato oggi è superato, ma le diseguaglianze distributive hanno lo scopo funzionale di mantenerne la percezione.]

Osserviamo un paradosso ben sapendo che cogliere la natura paradossale di un’ingiustizia non ha di per sé valore liberatorio -ma almeno si produce un discorso che ha un verso e una direzione-.

L’aumentata capacità produttiva richiede minore manodopera ed è talmente potenziata da essere ormai -fuori scala-. Fuori scala anche perché alcune produzioni si sono rivelate incommensurabili alle altre dato il loro contenuto tecnologico.

La capacità produttiva contemporanea richiede la produzione di enormi quantità di moneta. Tale moneta subisce dei cicli brevi o brevissimi e viene capitalizzata da enti finanziari di cui le imprese manifatturiere sono una divisione “accessoria”. Non sembra nemmeno tangere ciò che sta fuori dalla scala alta del sistema economico-finanziario.
Il paradosso è che viene creata enorme quantità di moneta/non-moneta (derivati & Co.) tramite forme di ingegneria finanziaria e questa moneta/non-moneta, che è -moneta speculativa-, viene capitalizzata esplodendo in bolle speculative. La moneta speculativa tossica non circola “sotto”: nello scambio di merci e servizi fra esseri viventi; circola solo in alto, fra entità giuridiche. Esplode in bolle speculative e “assorbe” la moneta più “reale”, realizzando cosi il profitto (rendita) [quanti livelli monetari esistono se si considera il segno astratto scambiabile con valore moneta a corso legale?]. Fra ogni livello e quelli adiacenti ci sono interfacce giuridiche che permettono la convertibilità del valore. Lì c’è possibilità di azione.

Perché questo sistema risulti vagamente sostenibile occorrevano le condizioni di un sistema produttivo eccedente. Adesso ci sono e sono utilizzate per rendere la crisi permanente e la società in una permanente stagnazione deflattiva.
Occorrevano anche le condizioni di un sistema finanziario interconnesso in cui il capitale potesse viaggiare in forma simbolica ad una velocità molto maggiore rispetto a quella che possono raggiungere merci ed individui. Borse e sistema telematico sono un meccanismo ad uso del sistema finanziario qualora fosse necessario il salasso di una economia nazionale. Ricattabilità e subalternità degli stati-nazioni.

Paradosso. Se non fosse emessa falsa-moneta tossica in forma di derivati la quantità di moneta necessaria per fronteggiare la super capacità produttiva renderebbe “tutti ricchi” -pena il blocco del sistema-? Modificherebbe cioè il corpo sociale. Produrrebbe l’espansione di una nuova classe media -non così alleata al capitale- invece che la contrazione… Porterebbe la questione ambientale in primo piano invece che dietro le quinte.

La realizzazione di una rendita speculativa è dunque la realizzazione pratica di un esproprio su scala globale.

Conseguente azzeramento della questione ambientale -produzione incommensurabile significa anche problema ambientale incommensurabile- e dispersione nell’emergenza critica dell’economia-spettacolo.

Quindi si produce molto, si distrugge molto, non si permette l’accumulo da parte delle classi subalterne. Assenza di sicurezza. Iperproduzione ed impoverimento della società. Ipertrofia spossante.

Possibilità di accumulo del tempo differito (sicurezza e certezza per il futuro) soltanto in forma monetaria. Soltanto in modalità -individuale- e non tramite garanzie collettive. Essere sicuri che saremo curati se ci ammaliamo, essere sicuri che i figli riceveranno un’istruzione è -sempre- troppo costoso. Le risorse per questo tipo di -sicurezza- sono state fagocitate dalle risorse per la sicurezza poliziesco-militare oppure destinate ad evaporare, nelle bolle esplosive dei livelli di astrazione maggiore.

Questa non è economia liquida. Caso mai “gassosa”. Sempre di fluidi si parla, ma il livello energetico molecolare è diverso. Un’economia che riesce ad evaporare in tempi ristrettissimi da un luogo fisico ad un altro attraverso un sistema di protocolli telematici ricorda più un gas che un liquido, che ha bisogno quantomeno di dislivelli.

Sul piano sociale questa -incertezza- si è espressa in forma -integrata- rispetto ai due sistemi in antagonismo funzionale dell’epoca precedente: il collettivismo burocratico e il liberalismo democratico. Ciò che ne risulta è una sintesi viziosa tra l’abbondanza del superfluo nella permanente incertezza dell’essenziale. Evoluzione in un sistema integrato della così detta -sopravvivenza aumentata (Debord)- che deve continuare ad avere come sfondo minaccioso la -sopravvivenza pura-.

Se la quantità di ricchezza reale prodotta non risulta su scala globale ormai un problema tecnico, cosa giustifica l’asimmetria distributiva? Proprio il fatto che i soggetti che fanno parte della sfera dell’accumulo (e dell’esproprio) devono -secondo questo principio organizzativo della concorrenza interna- espropriare e ingigantirsi in un continuo conflitto tra “oligarchi” [che su altri piani si assicurano il governo dei territori su cui circolano i loro flussi di merci e denaro tramite la collaborazione].

Il dato di fatto [un assoluto percettivo] che i grandi devono ingrandirsi per “essere competitivi” è il paradigma che giustifica una situazione che pure si presenta come paradossale.

Che fare?
Linee di intervento “dall’alto”; -conservatrici- nel senso che hanno la funzione di riportare “indietro” l’orologio, cioè di posizionarlo in modo che sia possibile di nuovo una qualche forma di coesione sociale opposta alla dispersione. Visione: azzeramento della deriva funzionale imposta dalla globalizzazione.

[Considero la necessità di agire con obiettivi sul campo opposto rispetto alla -visione- in armonia ad una strategia mutuata dal taoismo. Chi vuole rivoluzionare la società in un sistema altamente strutturato deve agire sui meccanismi che ne permettono la conservazione alterandoli “da lontano” -se non si accontenta di essere fenomeno estetico-folkloristico-.]

§ Attacco alle forme estreme di astrazione del valore. Bloccare l’ingegneria finanziaria. Impedire che il debito venga trasformato in credito o in presunto valore. Regolamentazione europea dei mercati finanziari.

§ Abolizione del sistema bancario ombra.

§ Tassazione di tutte le rendite finanziarie, sul modello Tobin tax.

§ Riappropriazione del valore della moneta (senza entrare nel merito tecnico).

§ Secondo alcuni… anche la separazione delle banche commerciali dalle banche d’affari sarebbe cosa giusta e buona.

Questi sono interventi in senso liberale -e sono potenzialmente tutti sabotabili e pseudorealizzabili-; per ora gli unici, insieme alla ridistribuzione in forma di reddito di cittadinanza, che possono alzare un argine alla distruzione del tessuto sociale e al dilagare delle condizioni di ricatto neo-liberiste.

Non sono il primo a dirlo, ma va bene (stai leggendo i miei appunti).

La popolazione deve tornare quantomeno a desiderare di nuovo il proprio tempo vitale piuttosto che essere ridotta ad implorare la realizzazione della propria alienazione. Questo è necessario da qualsiasi punto di vista si affronti la questione.

Intanto.
Intanto coloro che si vantano tanto di avere una visione progressista o rivoluzionaria farebbero bene a iniziare seriamente un dibattito sulla necessità di riappropriarsi dell’economia attraverso forme propositive di autogestione cooperativa che non siano solo marginali o simboliche rispetto all’economia contemporanea e che prevedano nuovi paradigmi anche di simbiosi sociale con meccanismi virtuosi di produzione di ricchezza non distruttiva.
Come farebbero bene a prevedere un campo d’azione legato a tutta l’euro-zona e non solo all’orticello. Come farebbero bene a cercare di proporre forme normative che vadano nella direzione dell’esproprio dei mezzi di produzione qualora le esigenze speculative prevedano lo smantellamento di questi per cause di così detta “forza maggiore”.

Chi ha la capacità di elaborare modelli (anche migliorabili) esca dalla comoda copertura delle agende spontaneistiche e si assuma l’onere -e non solo l’onore- del ruolo intellettuale, cioè di proporre sintesi ed obiettivi, agende e programmi che gettino almeno il seme di un nuovo progetto di società libera basata sul bene comune, piuttosto che prestare slogan a destra ed a manca, oppure nascondersi nella comoda e inutile critica al grillismo.

E che possibilmente lo facciano in un linguaggio comprensibile ad una fascia di popolazione numericamente superiore a quella della ristretta cricca di accademici a cui appartengono. Essere chiari e farsi capire nelle proposte operative, se non da tutti almeno da molti, non è populismo… Anzi se i mostri del populismo sono ancora in giro vivi e vegeti è anche grazie ad un certo elitarismo di cui faremmo volentieri a meno. E non da ora.

[GC :::2013:::]

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La domanda

Ponte a elsa - Gianni Casalini 2013 -GIMP

La domanda (di Luisa Caldon)

Ecco un post che invita tutti alla pratica del feedback compulsivo.

La citazione: Qualcuno è il pre, qualcuno è il post, senza essere mai stato niente.. – CCCP Fedeli alla Linea

L’immagine
: l’urlatore da assemblea che non ha ancora provato l’omeopatia.

La domanda (di Luisa Caldon):”ma tutti quei cavolo di ex sessantottini che nel primo decennio del 2000 altro non hanno fatto che frenare i movimenti adesso dove diavolo si sono nascosti?”

Un esempio di risposta (di Gianni Casalini): Ci metterei anche gli ex 77ini e post-77ini… in linea di massima stanno aspettando che qualcuno si muova di nuovo per ributtarsi dentro il nuovo movimento e mandare tutto in vacca un’altra volta.

Lascia la tua risposta a questa scottante domanda utilizzando i commenti al post. Oppure rifletti in silenzio, nell’ombra.

Aspettando la generazione che finalmente assesti a tutti questi ex-qualcosa un grandioso calcio nel culo.

Bau!

G

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