Un mosaico

Particolare del mosaico della cabina del mixer. Csa Intifada, Empoli
L’unico esercizio spirituale è vedere le cose così come sono.
Osho -Attraversare il disincanto-

Il bene più prezioso? Un altro essere umano.
Karl Marx

 
G. osserva con la coda dell’occhio i camion che riversano tonnellate di
immondizia in discarica. Lo fa mentre seleziona i materiali dentro il
gasolone e li getta nelle apposite aree dedicate. Ferro, legno e basta.
Il resto in buca. Questa operazione viene vista da molti operai come
un vezzo da studenti.
Di solito si butta tutto. Si fa prima. Si torna a casa prima e prima si
fa la doccia e ci si toglie la puzza di dosso.
La puzza che si sente qui è l’altra faccia della medaglia del profumo
dell’ottimismo che gli intelligentoni della pubblicità annusano nei
luoghi di consumo.
La discarica è un ottimo punto di osservazione della società. E’ un
punto importante. Ci si trova esattamente nel buco del culo della
propria città. Da qui appare chiara una cosa: la società ha la diarrea.

Il corpo della società ha raggiunto il suo apice nel ritorno
all’infanzia dei corpi individuali, quando questi mangiavano e cagavano.
Felici.
Flussi di merce-spazzatura finiscono in enormi buche che poi saranno
coperte e mimetizzate a pratino. Quando tutto va bene.

Una delle frasi più famose di Debord è: "solo chi non lavora vive."
Sui muri nel sessantotto compariva la scritta "Non lavorare mai."
Niente in contrario, solo che non ho capito bene come si faccia a
sfuggire al ricatto salariale. Anche se mi sono sempre mantenuto a dieta
non sono mai sceso sotto la riduzione del danno.
Comunque Debord da questo punto di vista mi appare ottimista. Io direi
che: neppure chi non lavora vive. Cambia il codice a barre che ci
portiamo addosso, rientriamo in qualche altra casella, in un’altra
statistica, adottiamo -tattiche possibili-, senza mai giungere ad una
strategia. Ne uscirei con una tautologia: solo chi vive, vive. Debord
non so se sarebbe d’accordo.

Comunque ad aver lavorato con la spazzatura si possono cogliere delle
opportunità. Per esempio posso offrire un contributo alla teoria della
società spettacolare.
Per me lo spettacolo è la -fretta- che hanno le merci di finire in
discarica.
Debord dice: lo spettacolo è l’altra faccia del denaro: l’equivalente
generale astratto di tutte le merci […]  Lo spettacolo è il denaro
che si -guarda soltanto-, perché in esso la totalità dell’uso si è già
barattata con la totalità della rappresentazione astratta. (tesi 49)
Io direi anche: lo spettacolo è la -fretta- che ha il denaro di tornare
in banca.

Chiaro che sono gli umani ad avere -fretta-. Le merci si direbbe che
hanno una -velocità-. La fretta non è misurabile, è una sensazione. La
velocità si può misurare. Sarebbe un errore pensare le due cose come
separate. Da qualche parte ho letto che la percentuale di merci vendute
in un dato momento che finisce in discarica entro sei mesi è superiore
al novanta per cento.

Una sedia. Prendiamo una sedia di plastica che è appena finita in
discarica. E’ stata gettata perché ha una gamba rotta. E’ una sedia che
non è costata un cazzo perché prodotta in qualche parte dell’estremo
oriente sfruttando manodopera a basso prezzo, con turni estenuanti di
lavoro e tossicità gratuita per chi la produce e per chi si trova nei
paraggi del luogo di produzione. E’ prodotta sfruttando tutte le
esternalizazioni possibili. Il valore d’uso della merce spettacolare è
risibile, ma lo è nel senso che la sua durata è predeterminata. La sua
-qualità- è poca cosa, perché è la sua immagine che viene venduta. Le
merci non possono invecchiare devono morire prima di mostrare la loro
vecchiaia. Come le rockstar prima che inventassero la chirurgia
estetica.
Mettiamo che questa sedia costi 2 euro (dico a caso), se valutassimo
quanto costano delle condizioni dignitose di vita per chi la produce e
la salubrità dell’ambiente in cui viene prodotta questa sedia non ce la
farebbe a -sconfinare-. Cioè ad arrivare ad essere venduta in questa
città e morire in questa discarica.
Ma attraversiamo il cinismo se vogliamo restare umani. Diamo per
scontato che la sfiga abbia colpito queste popolazioni e che stiano
estinguendo a fatica il loro karma negativo e che questa sedia abbia
ragione di costare 2 euro. Bene, il costo di smaltimento di questa
sedia è paragonabile al costo di vendita. Se fosse fatto pagare al
venditore e non al consumatore, tramite le varie e variopinte tassazioni,
questa sedia resterebbe invenduta. E la merce invenduta piange.
Invece questa sedia ha fretta di essere venduta, ha fretta di rompersi
e ha fretta di finire sepolta in discarica. Il suo acquirente ha fretta
di togliersi 2 miseri euro di tasca per investirli in qualcosa che occupa
più spazio, ha fretta di mutare la sua scena con qualcosa che non dura,
in modo che possa mutare di nuovo. E’ la possibilità di mutare il proprio
ambiente che compra insieme alla merce. La merce è sempre giovane, perché
ha la funzione di morire al posto del consumatore.

Sembra contraddittorio. Ma a livello inconscio il principio di non
contraddizione non conta. E’ solo uno strumento che la nostra mente
razionale ha creato. Il capitalismo l’ha capito bene. Chi ne ha proposto
il superamento non troppo o non sempre. -La bandiera del capitalismo
è una bandiera astratta- diceva Pasolini. E aveva ragione.
Però non so quanto ne cogliesse le potenzialità. Cioè uscisse da un
giudizio morale cattolico e comunista.

I samurai. Nell’Agakure (letteralmente: nascosto sotto le foglie), il
manuale dei samurai, si affronta la questione della paura. La cultura
giapponese ha anticipato di molto la psicologia pratica al di fuori del
cristianesimo e del teismo. Uno dei rimedi suggeriti per superare la
paura, ed essendo il rischio professionale del samurai -la morte- questa
cosa è tenuta in gran considerazione, è: gettare via qualche cosa.
La società dello spettacolo diviene la società della paura spettacolare
quando il consumismo non è più centrato sull’acquisto, ma sulla
distruzione di ciò che è stato precedentemente acquistato, in modo che
si liberi posto.
E’ sorprendente la velocità con cui non succede niente.

Lo so anche io che l’ideologia del valore d’uso ha creato più mostri di
quelli che credeva di combattere. Che è stato il veleno sottile con cui
si sono addormentate troppe "coscienze" marxiste e che ha giustificato
la produzione della Trabant mentre a pochi chilometri di distanza si
viaggiava in Mercedes. E che, a tutt’oggi è la stampella di chi propone
utopie archeologiche.
Però, oggi, la Trabant e la Mercedes si sono fuse insieme in una qualche
utilitaria assemblata in vari parti del mondo con pezzi prodotti
dall’estremo oriente all’estremo occidente e che non ha la funzione di
durare più di pochi anni perché entro pochi anni sarà superata da leggi
dello Stato, da incentivi e se questo non fosse sufficiente dalla
pubblicità e dalla accettabilità sociale.
Oggi, lo pseudo-cibo nutre corpi tristi attraverso l’allegria modello
degli spot televisivi. Lo pseudo-divertimento consuma il tempo di
giovani e meno giovani trasformando la vita in una sala d’attesa.
Così aspettando che la Fiat svuoti i propri magazzini, con i soldi dei
cittadini, prima di riconvertire le proprie linee di produzione in senso
"ecologico", il semplice parlare di -contrazione dei consumi- come di un
qualcosa di positivo assume una connotazione quasi -terrorista-.

Il materialismo è una mistica che non sa di esserlo. Per questo non si è
rivelato la soluzione al problema che pure giustamente poneva. Le religioni
sono l’oppio dei popoli. Diceva Marx in una delle frasi più famose del
pianeta.
Ma il problema del chiodo scaccia chiodo è che sempre un chiodo c’è.
Stalin è stato il patriarca ortodosso di questa chiesa materialista.
La forma secolare in cui si è momentaneamente convertita la chiesa
ortodossa.
Il secolo dei lumi, di cui Marx era figlio legittimo, nasceva da un
trasferimento di energia potenziale dai lumi divini ai lumi della ragione.
E’ una potenza religiosa che ha mosso la ragione che dal momento in cui a
pensato di non essere generata da nessuno è diventata tremendamente
irragionevole.

Durante la seconda guerra mondiale la RAF (Royal Army Force),
l’esercito inglese, aveva più aerei che piloti. I piloti di caccia
inglesi volavano molto di più dei loro -colleghi- tedeschi, e per
mantenersi svegli e cercare di salvare la pelle facevano largo uso di
morfina.
A fine guerra i piloti della RAF che non erano morti in battaglia
erano in gran parte morfinomani.
Fu allora che l’industria farmaceutica mise a punto un ritrovato
miracoloso; un derivato dall’oppio: -l’eroina-, che aveva la funzione di fronteggiare
la crisi d’astinenza da morfina (spesso mortale). In breve i morfinomani
divennero eroinomani. La questione non era strettamente farmacologica.

Reddito di cittadinanza.
Chi non compra è un terrorista. Se non cambi l’auto i figli dei
metalmeccanici piangono.
La storia è sempre la stessa. Occorrono più consumatori che salariati.
Salta l’idea Keynesiana di welfare. Oggi è perfettamente normale stare
ad osservare il PIL, come se fosse l’indicatore di un qualche benessere,
e appare perfettamente logico che i soldi che lo stato fa produrre a
credito vadano direttamente alle imprese e non ai consumatori.
Filiera corta del denaro insomma.
Quello di cui si parla poco magari è il perché.
Perché si potrebbe mettere in crisi la produzione dello pseudo-umano;
quella che non conosce crisi anche quando dappertutto c’è crisi?
Cosa garantisce oggi che il consumatore che si riappropria del potere
d’acquisto abbia ancora voglia di mangiare i prodotti della pubblicità
e di ributtarsi nell’economia dell’alienazione? Cosa garantisce al potere
che, dal basso, si continui a produrre il potere (perché è dal basso
che si produce il potere, con buona pace dei lagnoni che pensano venga
dall’alto)?
Niente, neanche i megamiliardi spesi nell’industria dell’imbecillimento.
Il consumismo è una cosa prodotta dagli uomini, per altri uomini. Si
basa su pulsioni che sono nell’uomo, perché se non ci fossero nessuno
potrebbe mettercele. Ha prodotto il suo linguaggio, la sua retorica e
anche i suoi sogni. Ma come tutte le cose è destinato a vivere a
decadere e ad essere superato. Non è un amore eterno, ammesso e non
concesso che ce ne sia uno.
Il consumismo è un’infatuazione che si è trasformata in ricatto.
La società dello spettacolo diventa evidente e si mostra in tutta la sua
estensione perché è giunta al suo margine estremo. Perché vive solo per
accanimento terapeutico?
Chi parla di collasso della società dell’immagine non ha tutti i torti.

E’ la metropoli che è diventata fabbrica ripetono gli intellettuali.
Bene allora il margine estremo non è più il lager, che è stato una
clamorosa sintesi tra i roghi del medioevo e l’industria moderna.
La macchina perfetta di un arcaismo tecnicamente attrezzato.
La parola con cui venivano chiamati gli internati è:  stück  che in
tedesco significa -pezzo-, -componente-. I campi erano di lavoro non di
concentramento,  meglio erano campi di lavoro concentrato. Il prodotto del lavoro era
bruciato dall’economia di guerra. I lavoratori una volta che non erano più
utilizzabili erano bruciati nei forni.
Nella fabbrica-metropoli i campi di concentramento diventano campi di
concentrazione (per usare un titolo di Ottiero Ottieri). La famosa frase: "il lavoro rende
liberi" non è più proponibile, e nemmeno "il consumo rende liberi" che è stata
la frase non scritta da nessuna parte, ma che ci ha accompagnati fino all’avvento
delle tecnologie dell’informazione. Una frase che suona bene è: il lavoro è
necessario al consumo che è necessario all’immagine che è necessaria al consumo che
è necessario al lavoro.
La vita? E’ altrove.

"L'ex-operaio Ebert credeva ancora nel peccato, poichè confessava
di odiare la rivoluzione <come il peccato>. Lo stesso dirigente
si mostrò un ottimo precursore della rappresentanza socialista che
doveva poco dopo opporsi come nemico assoluto al proletariato russo
e internazionale, formulando l'esatto programma di questa nuova 
alienazione: <Socialismo vuol dire lavorare molto>."
[tesi 97 La società dello spettacolo, G. Debord]
Quello che manca in questa considerazione, e che avrebbe allontanato
ogni stupore, è ciò che mi sono sentito dire almeno una volta in ogni
fabbrica in cui ho lavorato: <Se fossi al posto loro, farei peggio di
loro>. Contestare il lusso è un lusso da ricchi.
Riduttivo classificare tutta la faccenda come -cattiva coscienza-.
Certe cose non si dicono agli intellettuali. Gli intellettuali lavorano
in un altro reparto. 
Muratori. Nel lavoro del muratore la fatica è secondaria sennò ci
sarebbero solo manovali. Fra il muratore e il manovale c’è la stessa differenza che
c’è fra Batman e Robin, o per dirla con le parole di un muratore:
"c’è la stessa differenza fra mangiare e veder mangiare".
Il muratore opera una trasformazione in base a conoscenze concrete, ma
quello che fa la differenza fra un bravo muratore e un pessimo muratore è la
capacità di -vedere-.
I muratori sono degli psicologi del lavoro manuale; se sono delle brave
persone usano la loro psicologia in modo etico, se sono dei pezzi di merda vi
auguro di non incontrarne.
Come sempre esistono le gradazioni intermedie.
Quando ci sono da spostare i quintali è molto importante sapere chi si ha
accanto.
Quindi i muratori osservano e hanno un linguaggio tutto loro basato
sull’osservazione dell’altro.
Alla base della psicologia pragmatica del muratore non c’è l’Edipo bensì
il fatto he l’altro, può essere fantastico quanto vuole, ma cercherà di fare il
lavativo quanto può. In un certo senso, per il muratore, l’intellettuale è un capo
mastro ben riuscito, perché sposta solo le parole. Però raramente li hanno in
simpatia gli intellettuali. Invece l’alter del muratore è l’artista. Colui che usa
le mani il minimo indispensabile per creare ciò che è bello, ma ancora solido,
concreto.

-Troppa attenzione.-
-Come?-
-Troppa attenzione, sei troppo concentrato.-
E’ la prima volta che qualcuno mi fa notare sul lavoro che sono -troppo
concentrato-.
Paolo è un muratore originario del sud poi immigrato a Milano e infine
approdato in Toscana.
"Se non delegassimo la massima parte di ciò che facciamo alla
disattenzione, o addirittura, all’inconsapevolezza, non potremmo mettere in atto comportamenti
complessi."
[Giovanni Jervis -Fondamenti di psicologia dinamica]

Fare attenzione a chi chiede troppa concentrazione. Per distrarre qualcuno
bisogna che si concentri su qualcosa di secondario. Questo fa la
televisione.
Così riesce ad impartire ordini. Questo fanno i generali.
Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito, ma quando lo
stronzo indica qualcosa, il saggio gli mostra il dito.
Per dire che non sempre chi cerca di distrarti lo fa per il tuo male e non
sempre chi cerca di concentrarti lo fa per il tuo bene.
Ma questo fa già parte di un altro mosaico.

Gianni Casalini

[Foto: particolare del mosaico alla cabina mixer del CSA Intifada (Empoli);
www.ecn.org/intifada/  :::mosaico di Gianni Casalini, foto Lisa Gelli:::]

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Dietro la porta

 :::Dietro la porta:::

Due uomini erano grandi amici. Ciascuno dava all’altro il necessario intuendone le esigenze.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa che si frapponeva tra loro. Quasi una carenza, un tassello mancante, che non permetteva di scrivere a caratteri cubitali la parola "amicizia".
Nessuno dei due aveva capito di cosa si trattasse, benché si sforzasse di individuarlo.
Un giorno, uno dei due "amici" fu colto da una grave sventura. Un violento terremoto gli distrusse la casa. In preda alla disperazione l’uomo si diresse dall’amico, la cui abitazione era intatta.
Nella notte fredda l’uomo bussò alla porta, pensando che l’amico lo avrebbe accolto a braccia aperte.
<<Chi è?>>
<<Sono io, il tuo amico. Non mi riconosci?>>
<<Mi dispiace. Non posso farti entrare.>>
Lo sventurato non riusciva a capire perché l’altro non lo aveva ospitato. Benché sbigottito, l’infelice non volle insistere. Di sicuro il suo amico aveva qualche buona ragione per comportarsi così.
L’uomo si allontanò, vagando alla cieca nell’inverno freddo e dormendo dove capitava.
Dopo alcuni mesi, specchiandosi nelle acque di un torrente, capì improvvisamente perché l’altro lo aveva allontanato in quella notte di sventura. Capì cosa fare e tornò a bussare alla porta del suo amico.
<<Chi è?>> gli chiese l’altro, nonostante avesse riconosciuto la sua voce.
La risposta arrivò dopo un attimo di esitazione.
<<Sei tu. Apri, presto, hai freddo!>>
Questa volta l’amico aprì la porta. Non poteva lasciare se stesso lì fuori al freddo.
I due erano ormai un’unica persona l’amicizia era completa.

Il canto del derviscio, Parabole della sapienza sufi.
A cura di Leonardo Arena
Oscar Mondadori

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Pornomachia I

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se il mondo non è pronto alla qualità non è colpa mia.
-Lo struzzo-

I. Aperitivo con Debord.

"L'architettura e la pianificazione urbana di megalopoli come Los
Angeles e San Paolo hanno limitato gli accessi e gli scambi in modo così
radicale da impedire i movimenti e le interazioni tra differenti
popolazioni - creando, in tal modo,  una serie di interni rigidamente
protetti e spazi isolati. [...]"
"A questo proposito, a oltre trent'anni dalla sua presentazione
l'analisi di Guy Debord  della società dello spettacolo risulta sempre
più pertinente e urgente. Nella società imperiale, lo spettacolo occupa
uno spazio virtuale, o , più rigorosamente, un non-luogo politico. Lo
spettacolo viene unificato  e diffuso in modo tale che è impossibile
distinguere tra un dentro e un fuori -naturale o sociale, privato o
pubblico. L'accezione liberale del pubblico, lo spazio in cui si agisce
in presenza d'altri, è stato, a un tempo, universalizzato (perché siamo,
in permanenza, sotto lo sguardo altrui, monitorati dalla
videosorveglianza) e sublimato, deattualizzato negli spazi virtuali
dello spettacolo. La fine del fuori è la fine della politica liberale."
[Non c'è più un fuori, Impero, Michael Hardt - Antonio Negri, Bur Saggi,
pag. 179]

Di tutto questo il discorso che più mi rimane impresso è -in presenza
d'altri-... ma non ho delle idee chiare in testa.
Colgo il passaggio da -in presenza d'altri- a -sotto lo sguardo altrui-.
Con la differenza che la videosorveglianza si è spostata sulla retina
degli individui. Cioè dove è sempre stata.

Tutte le volte che apro -La società dello spettacolo- e ne leggo qualche
tesi ho la sensazione di una rivelazione (di una nuova prospettiva) e di
un qualcosa di oscuro che invece non mi si rivela.

La parte che mi ha colpito di più è la prima -La separazione compiuta-.
Nella tesi 29 Debord scrive: "L'origine dello spettacolo è la perdita
dell'unità del mondo [...]. Nello spettacolo, una parte del mondo si
rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che
il linguaggio comune di questa separazione. [...]".

La tesi 30 finisce con: "L'esteriorità dello spettacolo in rapporto
all'uomo agente si manifesta in ciò, che i suoi gesti non sono più suoi,
ma di un altro che glieli rappresenta. E' la ragione per cui lo
spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo
spettacolo è dappertutto."

La tesi 31: "Il lavoratore non produce se stesso, ma produce una potenza
indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza,
ritorna al produttore come abbondanza dell'espropriazione. Tutto il
tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con
l'accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di
questo nuovo mondo, mappa che copre l'esatta estensione del suo
territorio. Le stesse forze che ci sono sfuggite si mostrano a noi in
tutta la loro potenza".

Ma cosa è questo spettacolo? Nella tesi 4 Debord fornisce prima una
definizione negativa, poi positiva: "Lo spettacolo non è un insieme di
immagini, ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini".

Nella tesi 34 afferma: "Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di
accumulazione da divenire immagine".

Una sera durante una cena sociale stavo cercando di spiegare o forse di
capire, il concetto di spettacolo a Costanza, che ad un certo punto mi
obiettò: "...sì, però non sono sicura che -lo spettacolo- sia un
concetto così... <<marxiabile>>...".
Bene, almeno un qualcosa che mi fornisce una crepa nella geometria
perfetta di Debord.

E se il motore dello spettacolo non fosse la produzione di una potenza
indipendente che ritorna sull'umano nella forma di una separazione, ma
il desiderio di questa separazione?
In questo senso Debord mi apparirebbe come un geniale ottimista
apocalittico.
Il lavoratore e la lavoratrice che non producono se stessi hanno evocato
questo mondo mediato da immagini come regno della abbondanza astratta?
Come -altro- rispetto ad un mondo reale che non ha mai soddisfatto
interamente l'umano. Come mondo del possibile e anche dell'inappagato.
Prima dello spettacolo non era concepibile cambiare identità cambiando
vestito. Si trattava, al più, di un travestimento. L'eroe spettacolare
ci riesce, purché nessuno vada a controllare come stanno realmente le
cose.
Mi viene da dire che è <<marxiabile>> ma a posteriori.

L'incesto aristocratico delle famiglie regnanti nell'antico Egitto era
speculare al tabù dell'incesto per il popolo. In un certo senso avevano
inventato "la televisione", ma anche lo spettacolo: "una parte del mondo
si rappresenta davanti al mondo". Il -linguaggio comune- di questa
separazione era il linguaggio del potere del faraone.

Il -paradiso- delle religioni teiste era la forma sacrale dello
spettacolo che la riproducibilità della merce ha desacralizzato? O,
magari, lo spettacolo è la forma desacralizzata del paradiso?
La parola -sacro- ha radice indoeuropea, -sac- o -sak-, la traduzione
più accettata è "separato" (La separazione è l'alfa e l'omega dello
spettacolo. G. Debord, tesi 25)
Nel paradiso c'è tutto quello che non otterrai in terra. E' lontano
perché é oltre la vita. Molto semplice, molto funzionale.
Nello spettacolo tutto quello che non otterrai ti ritorna in forma di
immagine ed è rappresentabile in terra. E' qui, ma è lontano.

Lo spettacolo deve pur avere un "sex appeal" che la riproducibilità
della merce e dell'informazione hanno liberato, ma non credo siano state
in grado di produrlo. Una specie di desiderio oscuro, effetto
collaterale e causa al tempo stesso del tempo alienato.

Però mi torna in mente quella volta che Chiara mi portò l'esempio di J.
P. Sartre. Sempre al Centro ero.
A Debord non stava simpatico Sartre. A Sartre non so se stava simpatico
Debord.
Chiara dice: "in fondo è come sosteneva Sartre... anche il semplice
fatto che qualcuno ti guardi incessantemente o in maniera invadente è di
per sé un atto che registri come piacevole perché ti comunica che
esisti."

Insomma avere gli occhi puntati addosso può essere anche piacevole in
tempo di pace.
In tempo di guerra avere gli occhi puntati addosso comunica sensazioni
negative che però conservano qualcosa dell'originale.
Certo lo sguardo delle telecamere è uno sguardo standard. Soprattutto di
quelle attaccate al muro.
Lei ti vede, tu la vedi. Eppure percepisci una asimmetria in questo
scambio.
Ma con tutti questi malviventi che ci sono in giro.
Non dico che non ci sono. Né voglio cercare nessuna scusante a nessun
atto criminale, non mi riesce. Però. Ecco è cambiato tutto così in
fretta. Perché io in fondo sono anche un conservatore. Nel senso che se
viene uno a casa mia e mi dice ho qui il robottino che ti pulisce casa
butta via la scopa. Mah, -vediamo- dico io -non traiamo conclusioni
affrettate e poi: che ne so se domani avessi da ospitare qualche strega
o aspirante tale e volesse provare a volare cosa gli do il robottino? La
scopa la tengo che non si sa mai; il robottino aspettiamo di trovarlo
appoggiato ad un cassonetto. Tanto è questione di poco.-

Alzo lo sguardo dal libro e penso: "ma cosa c'entra..."
Proseguendo trovo solo frasi fuori dal contesto mischiate a parole
illeggibili.
Così:

"L'immagine non è più quello che vedi, ma la paura di quello che vedi.
Inztusia, almariak tere ka na muis. Ezte para korja.
Al centro dell'attenzione. Ulre na moes esli kantin.
Dove è che ci definiamo umani e dove no. Cosa è il nostro lato non
umano. Ez na kera sui datami.
Roba che è importante buttar fuori.
Buttar fuori, buttar dentro evoca gioia. Fisicamente intendo."

E così via...
Poi una pagina vuota. Completamente bianca e la pagina dopo trovo un
nuovo paragrafo.

I. L'androide non defecante.

La dottoressa Eleonor Fustenberger accolse il tecnico della Androidia
Incorporati nella sua nuova tuta aderente in biotessuto color cremisi.
Il tecnico era un ragazzo sulla trentina con un velo di apatia sugli
occhi. Aveva capelli neri ben tenuti ed indossava l'uniforme aziendale
di un blu elettrico acceso.
-Buona sera- disse il ragazzo.
-Buona sera- rispose Eleonor, con una sottile espressione di disprezzo
sul volto, di cui il tecnico non si curò minimamente.
-Sono qui per consegnare l'androide Moes, se può passare il suo badge
identificativo nel pos. Grazie.-
Lo fece con la naturalezza di un gesto abitudinario.
-Vado a prendere Moes-
Pochi minuti dopo era sulla porta con Moes-.
Moes appariva come un uomo giovane molto alto, atletico, dai capelli
biondi leggermente arricciati e sarebbe stato difficile riconoscere che
non era un umano se non fosse stato per una lucidità artificiale della
pelle del volto. Il corpo di Moes era inguainato in una tuta bianca con
delle strisce rosse sulle maniche in simil-biotessuto che metteva in
evidenza la muscolatura ed i vistosi attributi.
-Uhmm, entrate.- disse Eleonor
I due entrarono in casa della dottoressa.
La stanza era spaziosa, pulita, ordinata e molto -vuota-, tipicamente
arredata alla maniera degli orientali. La moda del momento per i ricchi.
-Allora- disse il ragazzo -ho qui la scheda tecnica con gli standard da
lei indicati: altezza, colore della pelle, capelli, occhi, muscolatura,
dentatura... attributi...-
-Cosa c'è le sembra strano?- disse Eleonor stizzita.
-No, si figuri... nel mio lavoro ne vedo di tutti i colori- rispose il
ragazzo con distacco.
-Piuttosto signora Fustenberger...-
-Signorina, prego. Ma mi chiami pure Ele.- per la prima volta Eleonor
abbozzò un sorriso che lasciava trasparire una certa malizia - e lei
giovanotto come si chiama?-
-Alvaro, mi chiami pure Al, se preferisce.- poi continuò -...dicevo
signorina Ele che lei ha richiesto esplicitamente che il modello fosse
privo di ogni connotazione caratteriale e non defecante.-
-Esatto, purché...-
-Sì, c'è tutto scritto.-
-Sa l'ultimo che ho comprato dalla Tulsi Roboti, non era defecante, ma
non aveva neanche l'ano... capisce... se volevo giocare con le
bambole...-  Eleonor si avvicinò al giovane e gli passo una mano sulla
spalla. Accanto a lui si notava che lei era più alta di una decina di
centimetri.
-Capisco signorina- rispose il tecnico senza scomporsi -ma la nostra è
una ditta seria, la Tulsi Roboti sta piazzando sul mercato tecnologia
obsoleta.-
-Ah, terribile...- disse la dottoressa con un sorrisetto invitante messo
lì, e passando la mano fra i capelli del ragazzo.
-Ma mi parli del mio giocattolo... con quello che costa.-
-Sì, il modello Moes è l'ultimo modello di androide domestico messo in
commercio dalla Androidia Incorporati, è un gioiello della tecnologia, i
tessuti sono perfettamente...-
-Sì, lo so... ma mi parli di quello che... secerne il suo corpo.- disse
Eleonor quasi sottovoce avvicinando la bocca all'orecchio del ragazzo,
che sentì chiaramente deglutire, prima di assumere di nuovo un tono
professionale.
-Beh, è in grado di secernere un sudore artificiale, leggermente
profumato e addizionato di ormoni maschili...-
-Sì...- disse la dottoressa Eleonor Fustenberger sfregando il proprio
corpo a quello del tecnico.
-...ecco poi... sì, poi secerne saliva, sì del tutto simile a quella
umana ma... aromatizzata all'anice. Come lei ha chiesto... ma signorina
è tutto qui scritto sulla scheda tecnica.-
-No, me lo dica lei Al, è il suo lavoro.-
-Giusto, giusto...-disse Alvaro -che deglutì di nuovo.-poi secerne urina
di colore verde chiaro e... come richiesto dal cliente aromatizzata alla
menta. Per questo abbiamo dovuto fare delle modifiche, le costerà un po'
più caro...-
-Non importa caro, la qualità si paga. Ma continui...-
-Ecco poi secerne...-
-Sì?-
-Sperma! Sperma sintetico...- disse il tecnico facendo un passo avanti.
-Quanto?!- chiese duramente Eleonor.
-Molto!-
-Molto quanto?!-
-Molto molto... è il modello maxi eiaculatio, signora, cioè signorina
Eleonor!-
-Ummh, che fa scappa?-
-No signorina. Ci mancherebbe.-
-Ah, credevo.- disse Eleonor e si voltò verso Moes che era rimasto
immobile come un manichino al centro della stanza.
Anche il tecnico si voltò.
-Bene controlliamo.- disse Eleonor.
-Cosa?-
-Cosa. L'androide. Cosa vuoi che controlliamo l'aspirapolvere. Che
lavoro fai?-
-Consegno androidi domestici.-
-E quello voglio controllare, l'androide domestico. Capisce?-
-Capisco.-
-Non tu, l'androide. Capisce quello che diciamo?-
-Non ancora, devo attivare la centralina, ma ci vorrà un attimo. Adesso
è in grado di comprendere solo ordini imperativi dalla mia voce. Se
vuole l'attiviamo.-
-Lo farai dopo. Adesso ordinagli di spogliarsi. E voltati.-
-Come?-
-Che la devono attivare anche a te la centralina? Ordinagli di
spogliarsi e voltati! Cosa vuoi stare a guardare. Per chi mi hai
preso?-
Il tecnico sospirò prima di voltarsi e poi disse: -Moes spogliati!-
Mentre la dottoressa Eleonor passava in rassegna il corpo di Moes,
Alvaro non poté fare a meno di notare il videoproiettore tridimensionale
e olfattivo della Tecnokroniks. Un modello molto costoso. Lui non aveva
mai potuto permettersene uno originale e si era dovuto accontentare
della sottomarca vietnamita...
-Tutto a posto. Ti puoi voltare.- disse la dottoressa da dietro le sue
spalle. Così fece.
-Ma è ancora nudo...-
-Certo, capisce solo i tuoi ordini. Digli di rivestirsi... Cosa c'è? Non
hai mai visto un androide nudo? Sarete fatti più o meno allo stesso
modo.-
-Più o meno.- disse il tecnico osservando il membro bionico.
-Cosa dici?-
-Sì, dicevo a parte che il suo corpo è completamente glabro... Moes
rivestiti!-
-Ah, io non sopporto la peluria su un corpo. Detesto il pelo sul
corpo... anzi io detesto...-
-Signorina Ele, le attivo la centralina e poi devo andarmene. Ho
un'altra consegna da fare prima di sera.-
-Già te ne vai? Non vuoi qualcosa da bere?-
-Sì, magari un bicchiere d'acqua.-
L'espressione acida sul volto della dottoressa mutò in un benevolo
sorriso.
-Sai, mio marito mi regalò un modello simile... oggi sarebbe un pezzo
d'antiquariato.-
-Non sapevo che fosse sposata.- disse Alvaro.
-Non lo sono!- di colpo la faccia della dottoressa si trasformò in una
maschera di disprezzo per poi tornare come era prima -Lo ero. Il modello
che aveva comprato mio marito era molto utile per i lavori domestici e
per la difesa...-
-Beh, anche Moes è molto utile per la difesa. La sicurezza è importante
oggi. Soprattutto per una donna...-
-Già, lo diceva anche mio marito... ma conoscendolo dovevo
immaginare..." Sospirò.
-Cosa?-
-...quando vidi la scheda tecnica dell'androide... Avrei dovuto
capire...-
-Cosa signorina Eleonor?-
La dottoressa Eleonor Fustenberger si avvicinò al tecnico e lo prese per
un braccio.
Poi disse con tono concitato, stringendo sempre di più: -Tu sei un bravo
ragazzo lo sento, con te mi posso sfogare... ma vedi lui era.. era...
lui aveva una mente così perversa.-
-Mi dispiace...-
-Non devi dispiacerti! Cosa ne sai?-
-Niente... no niente...-
-Scusa. A volte perdo le staffe, ma sai se penso a quello che... cioè a
quello che ci faceva fare...-
-Cosa?-
-Ma delle cose....-
-Che cose?-
-Ma certe cose. Dio mio certe cose...-
Il tecnico stava cominciando a sudare e il braccio stava diventando
dolorante. La dottoressa se ne accorse e lo lasciò.
-Scusami, sai, i ricordi. Vado a prenderti il bicchiere d'acqua, quasi
me ne ero dimenticata. Continua pure con il tuo lavoro.-
Quando tornò il tecnico stava ancora smanettando su una specie di grosso
telecomando con un display colorato.
-E' a posto. Ancora qualche minuto e sarà pronto per la fase
d'apprendimento. Lo saluti in modo che possa memorizzare il suo timbro
vocale.- disse il tecnico dopo aver svuotato il bicchiere d'acqua.
-Ciao Moes! Benvenuto in casa di Eleonor.-
-Ciao Eleonor. E' per me un onore essere qui.-
-Che carino! Che bella voce che ha.-
-Sì, la nostra ditta ha curato molto l'aspetto vocale... ecco signora
questi sono i "nutrienti" per le secrezioni. E' sufficiente che glieli
dia da bere quando "ha sete". In questo modo non rischia di danneggiare
l'androide... Questi sono in omaggio. Poi dovrà comprarli o ordinarli
direttamente a noi. Mi raccomando non usi sottomarche perché rischia di
danneggiarlo e poi rischia di perdere la garanzia... che è di due
anni...". Poi il tecnico si zitti di colpo, premé un bottone sul
telecomando e l'androide ritornò allo stato di manichino che aveva avuto
fino a quel momento.
-Cosa c'è?- chiese la dottoressa Fustenberger.
-Devo dirle una cosa a proposito di questo androide.-
-Cosa?-
-Non dovrei, ma...- l'espressione del tecnico era divenuta molto seria.
-Ma?-
-Ma è una cosa troppo importante per lasciarla all'oscuro.-
-Allora voglio saperla.- disse la dottoressa non senza stupore.

Così finisce il paragrafo. C'è mezza pagina bianca.
Volto pagina, senza avere per nulla chiaro perché ci siano due paragrafi
iniziali e cosa c'entra la storia dell'androide non defecante con il
libro che ho comprato, ma anche la pagina successiva è piena di frasi in
lingue sconosciute.
Alderac, si na maus elder. Ul te na misa ka momo nante. Ecc.
Accendo il computer, mi collego alla rete e passo alcune frasi
incomprensibili, prese a caso dal testo, a vari motori di ricerca.
Niente. Nessun risultato.
Sembra proprio che non si tratti di una lingua esistente.
Riprovo e ottengo lo stesso risultato. Niente di niente.
Prendo il telefono e chiamo Mattia sul cellulare.

-Oh, pexxo di sugna!
-Ciao sciagura!
-Che mi dici?
-Sai quel libro incellofanato che mi hai venduto la settimana scorsa
-Aspetta...
-Sì aspetto. Quel libricillo della nuova casa editrice che piace tanto a
te.
-Ah, sì. "Aperitivo con Debord al Centro Sociale" di Iarno Casalotti,
Ed. Bebebe Underground.
-Bravo...
-Aspetta, lo so!
-Cosa sai?
-Mi è arrivata una email dalla casa editrice. L'ho letta ieri sera.
Dicono che il programma di impaginazione ha dato in ciampanelle...
l'apro... eccola. Dicono che per problemi informatici c'è finito dentro
un po' di tutto e che le copie distribuite saranno cambiate.
Basta che me la riporti. Già mi ero scordato di chiamarti...
-Sì, ma non mi interessa più "Aperitivo con Debord", ho trovato il
paragrafo di un racconto che volevo continuare a leggere, parla di un
androide non defecante...
-Un androide non defecante? Ah, sì sì, qui dice che in certi volumi c'è
finito dentro il primo paragrafo di "Orgasmi stellari" di Misogina
Komodo, una scrittrice diciottenne di fantascienza erotica di padre
giapponese e madre ucraina che vive sotto falso nome in una città
costiera del nord Africa. Un vero caso letterario...
Dicono che fa parte di una trilogia chiamata "Fluidi vaginali alieni"...
-Interessante.
-Sì, però...
-Però?
-Però esce la prossima settimana. Te lo posso cambiare con quello, ma
devi aspettare...
-Aspetterò la prossima settimana. Se "chi ha capito lo spettacolo non ha
fretta" allora può essere che chi non ha fretta stia iniziando a capire
lo spettacolo.

Gianni Casalini

[Ringraziamenti: Italo Calvino, Antonio Negri, Michael Hardt, Guy
Debord, J. P. Sartre, Karl Marx, Samuel R. Delany, Costanza T., Chiara
C., Mattia C., Lo Struzzo, tutte le ribelli e tutti i ribelli della
visione edonista]

Versione 0.1
(L) Copyleft - Uso commerciale riservato

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Eva Adamolo XXX

 

Alcuni appunti, sicuramente non esaustivi, della serata di ieri al
cinema La Perla.
Gianni

> ZONEVIDEO7 [!]  LANGUAGE IS A VIRUS
> CORTOMETRAGGI - INCONTRI - WORKSHOP - VIDEOCLIP -VIDEOART -
> PERFORMANCE - INSTALLAZIONI - VIDEOCRASH - ZONEMUSIC
> mer/gio 4/5 marzo 2009 - Empoli - Cinema La Perla - Via De'
> Neri
> ingresso libero
> www.videa.info - info@videa.info
> ----------------------------------------------------------------------------------------------
>
> 04marzo2009 dalle ore 21.00 [ingresso libero]
> ZoneActive / Language is a VIRUS: cinema, video, computer,
> web
> Presentazione di progetti artistici, visioni, discussioni,
> circolazione di saperi.
> Language Is a Virus. Linguaggi virali e contagi della
> comunicazione
> coordinano sweetie + nothuman
>
> "Anna Adamolo. Enunciati performativi come hacking"
> Anna Adamolo che non c'entra nulla con il video, ma
> piuttosto con la net-art e l'attivismo e molto con il
> linguaggio e la sua viralità.
> Antonio Caronia - Teorico e docente di Comunicazione
> all'Accademia di Brera [Milano]

La genesi del personaggio Anna Adamolo istrionicamente narrata da
Antonio Caronia. Vale la pena di esserci.
Chi è Anna Adamolo? E'un nick collettivo come L.B. o Wu Ming o altri del
genere. Credo che la rete ne offra per tutti i gusti. O forse no.
Va bene.
E' un bla bla bla che nasce su facebook. Nasce come: Maria Stella
Gelmini. Si fa un sacco di amichetti e di amichette e poi un bel giorno:
puff!!! Al posto di Maria Stella Gelmini, che molti e molte hanno preso
per la vera Maria Stella Gelmini... cazzo che bel nome. Che bel nome ha,
ministro. Dicevo al posto di Maria Stella (((pluff))) Anna Adamolo.
Minchia però qui uno a zero per Maria Stella. Chi preferirebbe passare
una notte d'amore con Anna Adamolo invece che con Maria Stella?
Valutiamo: Anna Adamolo ha dalla sua il fatto di essere virtuale. Maria
Stella è virtuale, ma è pur sempre -la notizia di qualcosa di Reale-.
Anna Adamolo è la notizia di onda anomala. Sì anomala, ma un po' floscia
per certi versi. Grandi meriti, grandi limiti.
E' un po' l'immagine di un surf lasciato lì sulla sabbia in una spiaggia
basca mentre il sole tramonta e lei si asciuga i capelli e sorride sotto
i suoi occhialetti, che sono i suoi occhialetti e non quelli di Maria
Stella Gelmini. Però quella che sorride non è l'immagine che il suo pool
di creativi ha creato. Arrivo al punto.
Io detesto il logo di Anna Adamolo.
Anna Adamolo è l'immagine posterizzata di Maria Stella a cui è stata
tolta/cancellata -la bocca-.
-Perché è la bocca di ognuno di noi...-
Già sentita questa. Allora facciamo che quella che sorride a me sulla
spiaggia di Biarriz è l'evoluzione di Anna Adamolo. Tale Eva Adamolo.
Che c'ha una bocca che solo a guardarla sblocca i canali del piacere.
Sì, perché questa storia che c'è l'evoluzione, nasce il logo, poi lo
rivendichiamo onda anomala => anna adamolo. Ci son cascati. Lia, lia...
No certo, lo saprete voi quello che fate. Ma giusto un'osservazione.
Tutta la baracca sacrifica il volto di una donna per farne un logo.
E' su una castrazione operata tramite la chirurgia visiva di un normale
programma di art design che voi avete costruito un logo. La bocca, la
lingua, piacciono in vista. Invece sul logo c'è giusto giusto lo spazio
per una benda. Sul volto di una ragazza con gli occhiali.
Non mi appartiene neanche come S/M; al limite mi verrebbe da proporre la
benda sugli occhi dopo aver tolto gli occhiali. Per aumentare la
sensibilità corporea. Ma la bocca...

In questo è significativo il secondo incontro:

> HACK.Fem.EAST
> Pratiche sperimentali, comunità digitali e video progetti
> esclusivamente al femminile provenienti dall'Est Europa
> Tatiana Bazzichelli e Gaia Novati
> Networker, Artiviste, Hacktiviste [Copenhagen - Berlin]

Tiziana Bazzichelli e Gaia Novati sono coinvolte da molti anni in
pratiche artistiche e professionali che riguardano la comunicazione sul
gender. Sono parte attiva del CumToCut IndiePorn Short Movies Festival a
Berlino. Gaia Novati è Co-fondatrice di SexyShock laboratorio di
comunicazione sul gender e primo sexy-shop gestito da donne in Italia.

Il viaggio nell'Est Europa: interessante. Il corpo. Il tema ritorna il
corpo. Più che il corpo e la macchina. Con tutti gli immaginari di
ibridazione che si erano prodotti negli anni passati ci si torna a
interrogare sul corpo. Il corpo però non più come astrazione eterea o
autoesaltazione erotica, il corpo come macchina comunicativa messa in
produzione. Un net-corpo che agisce già nel reale. E produce. In un
certo senso, un corpo più maturo, consapevole anche di essersi
inputtanito e corazzato.
In realtà mi ricordo una sola immagine. Quella di un'artista bulgara che
posa o fa posare una modella, su quattro appoggi (come dicono nelle
palestre), con un bel vestito tradizionale aperto sul culo e le cose da
notare sono due, anzi tre:
Il volto. Carnagione olivastra, bocca e occhi sorridenti. Veramente
bella. Il vestito tradizionale delle feste per le donne bulgare. Il bel
culo incorniciato da perizoma e reggenti.
Giustamente nella presentazione veniva fatto notare che la Bulgaria ha
un'economia che si regge molto sul turismo. Ora uno si chiederebbe, che
meraviglie ci va a vedere uno in Bulgaria. Sicuramente ci saranno cose
bellissime, ma a vedere dai depliant delle agenzie turistiche non è che
emerge l'immagine di una Bulgaria molto ricercata. Invece questa artista
ti fa vedere l'immagine di quale meraviglia uno va a cercare in
Bulgaria.
E in effetti è una meraviglia.
Io non avevo mai pensato in vita mia di andare in Bulgaria, dopo ieri
sera me ne è venuta la voglia.
Nel senso che è quel corpo che ti svela l'immagine segreta che tutti
hanno in testa. Ma non è un immagine "mostruosa", o svilente. E' di
nuovo qualcosa di bello in un kitch-punk. Sorpresa! Ecco a me quel
-sorpresa- è piaciuto.

Il corpo esiste perché è attraversato da flussi di piacere.

> Meglio Morire Che Perdere La Vita
> (3 visioni poetiche nell'era catodica della catalessi)
> Giacomo Verde [Teknoartista - Lucca]
> Lello Voce [Poeta, scrittore e performer - Treviso]

Valido. Da rivedere/risentire.

> Mouseville
> "portare un nome da frutta non ti cambia ma ti ripulisce.."
> Video Performance di Porte Girevoli
> con Valentina Grigò e Leonardo Diana

Mi è piaciuto

Ciao
Gianni

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Burning Berlusconi

"In paese si sta tutti male,
ci manca lo sfogo sexuale…"
In paese -Roberto Benigni-

«Di me hanno detto di tutto, i signori della sinistra. Che sono l’orco
di Arcore, che sono come Hitler e Mussolini, che sono come quel
dittatore argentino che faceva fuori i suoi oppositori portandoli in
aereo con un pallone, poi apriva lo sportello e diceva: è una bella
giornata, andate fuori un po’ a giocare». Silvio Berlusconi.

Il reality show più seguito in Israele è ambientato sul lettino di uno
psicanalista di Tel Aviv. Milioni di israeliani stanno incollati al
televisore in prima serata per guardare lo spettacolo di una telecamera
fissa che riprende le confessioni laiche di uomini e donne, che cercano
di portare alla coscienza le loro angosce. Non so a che -corrente-
appartenga lo psicanalista,  che spiega ansie, tensioni e paure di un
paese in guerra da sempre. Chissà se li manda fuori a giocare con Edipo.

Per ora gli spettatori italiani si devono accontentare della fase
precedente; quella della messa in scena dei disturbi mentali socialmente
accettabili.
Non è strano che l’eroe dell’epoca della normalizzazione sia l’anormale.
Purché occupi un posto nello spettacolo e sia messo in produzione.
Per esempio: se avessi una figlia con la quarta di reggiseno e mi
dicesse: "voglio andare sotto i ferri per avere la sesta", chiederei:
"perché?".
Qui la risposta potrebbe essere: "perché ho le tette piccole".
Nel qual caso cercherei un bravo psicanalista dicendo a me stesso:
"qualcosa ho sbagliato e se io non so cosa è, allora non posso
aiutarla".
Ma se la risposta fosse: "perché voglio andare in televisione", non
potrei dire che è mentalmente disturbata, ma che qualcun altro l’ha
cresciuta al posto mio.

Siccome io non ho una figlia e sono un lupo mattacchione propongo dei
giochi.
Il primo gioco consiste nel rileggere la frase di Silvio Berlusconi
togliendo la sua faccia e la sua voce e sostituendola con quella di un
padrino mafioso.
Ecco che la gaffe diventa una minaccia.
Stranamente non compare nella frase di Silvio che i "signori della
sinistra" abbiano detto mafioso. Mai?
Lapsus freudiano?

"Di me hanno detto di tutto" (tranne mafioso?)
-Io sono molto importante-

"i signori della sinistra."
Generico che sfuma nel dispregiativo, segue la frase che contiene il
"me".  Se aggiungiamo un po’ di sarcasmo suona come: -alcuni pezzenti-.

Quindi: Io sono molto importante e i pezzenti parlano di me.

Inizia l’utilizzo dell’anafora: "Che sono…"

"Che sono l’orco di Arcore".
Come Shrek? Questa suona bene. Arriva sulla scena "l’orco di Arcore".

"Che sono come Hitler e Mussolini."
Due personaggi indubbiamente famosi. Il discorso regge sull’ambiguità
del "guardate come mi trattano male…", associato con suggestioni che
accreditano la "grandezza", o la pericolosità, dell’orco di Arcore.
Si sta accreditando su un piano, parlando di quanto -gli altri- lo
screditano su un altro. Sta generando un’immagine -potente-.

"che sono come quel dittatore argentino che faceva fuori i suoi
oppositori portandoli in aereo con un pallone,"

"Quel dittatore argentino…" una metafora così precisa senza un nome
preciso. Al posto di una costante abbiamo una variabile. In effetti chi
lo conosce quel dittatore argentino.
Quel dittatore argentino a cui adesso possiamo sostituire la faccia dell’orco  di Arcore
faceva fuori i suoi oppositori portandoli in aereo con un
pallone.
Non si parla di uccidere o ammazzare. Mai. Faceva fuori i suoi
oppositori… con un pallone in mano. Il linguaggio è quello del sadismo
lucido, o meglio della -perversione morale- (e non c’è niente di erotico
in questa definizione).
Poi, guarda la coincidenza, con in mano un pallone… detto dal
presidente di uno dei più famosi club calcistici del mondo.

"…poi apriva lo sportello e diceva: è una bella
giornata, andate fuori un po’ a giocare."
Presa fuori dal contesto si direbbe che si sta parlando di un buon
padre. Ma subito la mente corre al fatto che è lo sportello di un aereo
quello che si sta aprendo.
Tutta la frase permette la sostituzione con la figura del padre.
Il padre prova piacere ad uccidere i figli… Ma non dice uccidere.
Li elimina. Elimina gli oppositori… i figli disobbedienti.
Ma, soprattutto, li umilia.
La -notizia- di questa umiliazione permette la sostituzione con la
figura paterna. Perché difficilmente uno può sostituire un assassino con
il proprio padre, ma tutti, in qualche modo, hanno subito qualche
-umiliazione- dalla figura paterna.

Adesso è in grado di fare paura. Infatti la platea ride. Cioè mostra i
denti. Noi siamo animali e anche se abbiamo perso l’abitudine di
mostrare i denti quando abbiamo paura lo facciamo quando ridiamo.
Ciò che fa paura fa ridere.

E se c’è una cosa che gli italiani e le italiane ricordano anche troppo
bene è che: parla solo il pater.
Gli altri ammiccano, fanno gli sciocchi, urlano, strillano, starnazzano
e si fanno delatori: come nei reality show. Sono liberi di diventare
fastidiosi, insoddisfatti, violenti e immaturi, come si addice ad una
società gerarchica, se vogliono continuare a pensare che il pallone in
mano a papà è sempre quello del derby e non è diventato qualcosa di più
terribile.

 
Gianni Casalini 
febbraio 2009 
 

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Chi è hacker?

Una delle domande a cui è sempre stato difficile dare una risposta
precisa è: chi è hacker?
Voglio riportare una storiella che mi è stata raccontata che mi ha fatto
pensare: questo è stato un hacker.
E' una storia ambientata qui in Toscana in un tempo molto precedente
alla diffusione di massa dell'informatica. Forse precedente anche
all'invenzione di un elaboratore propriamente detto.
E' una storia che mi è stata raccontata al csa Intifada da Simone, che
non possiede un computer, e a cui è stata raccontata a sua volta dal
padre.
E' una storia della Toscana di provincia, ancora quasi completamente
contadina.
Inizia più o meno così:

C'era una volta una civiltà contadina dove le persone vivevano molto
isolate e il massimo degli incontri che potevano avere era quando al
sabato andavano a ballare, nelle poche Case del Popolo o, più spesso,
sulle aie più spaziose dei popolosi casolari, nella bella stagione.
In questa epoca i proprietari terrieri erano spesso preoccupati del
fatto che i contadini e le contadine si trovassero insieme perché
temevano che le idee di libertà, fratellanza, uguaglianza che avevano
trovato nuova veste e giravano ovunque per l'Europa arrivassero anche
lì, nella campagna senza tempo.
Allora i proprietari terrieri pagavano i più fedeli lacchè che si
vestivano da fantasmi e si mettevano sugli alberi per impaurire i
passanti che, sempre in gruppo, si spostavano nella notte per andare a
ballare.
Erano chiamati: "le paure".
Quando i contadini passavano "le paure" si mettevano ad urlare sugli
alberi e impaurivano le persone più semplici o più giovani.
Una volta un contadino andò a ballare con una grossa e affilata ascia da
boscaiolo.
Arrivato al ballo tutti gli chiesero che cosa avesse intenzione di fare,
ma lui la posò come fosse un ombrello e rispose: "mi serve dopo".
Al ritorno verso casa la comitiva passò per la solita strada buia e da
un albero "la paura" cominciò a emettere suoni terrificanti da sotto
l'immancabile lenzuolo bianco.
Il contadino con l'ascia si portò velocemente sotto l'albero e cominciò
a sferrare colpi al tronco dell'albero... al che la paura urlò:
"fermo, sono..." E disse il nome.
Ecco una possibile risposta alla domanda: Chi è hacker?

Ciao
Gianni

 
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Nettuno

 
Un indiano è stato picchiato e bruciato nell’atrio della stazione
ferroviaria di Nettuno, vicino Roma.
I medici del Sant’Eugenio dicono che ha riportato ustioni sul 42 per
cento del corpo e che le possibilità che sopravviva non superano il 40
per cento.

Tre italici giovanotti dopo una serata un po’ sbandata, gonfi di alcool
e sostanze hanno deciso, secondo le loro dichiarazioni, di prendersela
con qualcuno. Hanno pensato bene di fare un salto alla stazione dove
hanno trovato un uomo di 35 anni e l’hanno picchiato e bruciato con un
po’ di benzina che, casualmente, si erano portati dietro. Ricordandosi
poi di portare via il contenitore dopo il raid.

In parole povere hanno detto che serviva loro qualcuno più sfigato e
visto che non doveva essere così semplice trovarlo ne hanno creato uno
con un’azione che ora, è tornato di moda definire -futurista-.
L’avvocato di uno degli imputati ha dichiarato che il suo assistito, non
si è quasi accorto di quello che stava succedendo e che adesso è molto
scosso.

Filippo Tommaso Marinetti aveva capito di che sostanza è fatto il
"futuro": un groviglio di lamiere, imbecillità, fiamme e velocità. Lui
pensava che tutto ciò è bello di per sé. Riuscì a incanalare la
frustrazione piccolo borghese della sua epoca.

Le sostanze propriamente dette, da sole, hanno un effetto farmacologico,
invece associate ai media hanno un effetto "magico".
Ad esempio le sostanze secondo i nostri media fanno fare cose
incredibili. Sono la causa della totalità degli incidenti stradali,
stupri, violenze e molto altro.

Tipo: negli incidenti stradali l’automobile non c’entra e nemmeno chi la
guida. Che bello. Che situazione invidiabile. Viviamo continuamente
sotto pressione per le nostre scelte, invece nella situazione: guido
sotto effetto di sostanze, vado veloce e rischio la morte e la
notorietà, sono liberato da ogni responsabilità, nel peggior fallimento
divento famoso. Io, sì proprio io che di solito rischio solo
l’anonimato.

La televisione dà ordini. Al resto ci pensano le leggi.Il rischio per
chi guida in maniera pericolosa è minore rispetto a chi sta dormendo in
un parcheggio dopo aver fumato cannabis. Conta cosa consumi e chi sei
non conta quello che fai. Ecco lo Stato etico.

Tutti in coro: Stato più duro, più controllore.
-Vogliamo uno Stato… virile-. Anche perché nella fase -decadente-
dello spettacolo l’unico soggetto che può diventare "virile" sembra
essere lo Stato. Questo ha capito bene quella destra che non ha più
bisogno di una identità fascista.
La produzione di tensione, che un tempo era eversiva oramai è delegata
all’emarginazione, alla televisione ed ai giovanotti che hanno ancora
bisogno della loro identità -fascista-, cioè delle linee che definiscono
questa soggettività -razzismo, omofobia e antisemitismo-.

-Ispettore cosa ne pensa?-
Ingravallo gettò un’altra occhiata alle foto sulla scrivania, poi si
passò la mano sulla fronte come era solito fare quando qualcuno gli
chiedeva un parere.
-Penso che per un italiano compiere un delitto del genere dopo aver
assunto sostanze sia un’assicurazione…-
-In che senso?-
-Questo è un paese dove se sei extracomunitario si dice che hai compiuto
un delitto: "dopo aver assunto droghe", se sei italiano: "sotto
l’effetto di droghe".-

Poi un delitto verso un "non-italiano" rappresenta un’emergenza
-xenofobia-, mentre un delitto verso un italiano rappresenta
un’emergenza -sicurezza-.
E’ vero che ognuno ha la sua emergenza. Ma è evidente che è più
difficile trovare una donna preoccupata dalla prostatite rispetto ad un
uomo.
E tutte le volte che qualcuno mi ricorda troppo che sono italiano, di
questi tempi, è perché mi fa vergognare di esserlo.

Finale banale con la speranza che i medici riescano a fare del loro
meglio e che quest’uomo riesca a vivere. Vorrei un bel finale banale.

Gianni Casalini

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Difendi il tuo castello di sabbia.

:::Difendi il tuo castello di sabbia.::::

You're a man of the mountains, you can walk on the clouds,
Manipulator of crowds, you're a dream twister.
-Bob Dylan, Jokerman-

Un bambino sulla spiaggia sta finendo di costruire un grande castello di
sabbia; con guglie, torrioni, il fossato di protezione e una piccola
bandiera,  fatta con uno stecchino e un pezzetto di carta, issata  sulla
torre più alta.

E' assorto nel suo gioco.. il castello di sabbia davanti al mare gli
appare imponente e il tempo non esiste proprio.
E' lì da solo con una paletta in mano e il suo volto appare tranquillo e
concentrato nella costruzione dell'opera.

Arriva un altro bambino, anche lui solo.
Guarda il primo bambino giocare e non dice niente, la sua faccia però è
indispettita: il taglio della bocca orizzontale e gli angoli puntano
verso il basso, gli occhi tendono a stringersi e in mezzo alle ciglia si
sta formando un "cruccio". Intendo quella ruga che hanno gli adulti fra
le sopracciglia, lì dove nei dipinti degli orientali viene
dipinto il terzo occhio.
Un adulto vedendolo potrebbe pensare che è invidioso.
Il bambino che sta costruendo il castello alza lo sguardo.
Il castello è quasi finito e lui prova un senso di orgoglio.

-Gianni... Oh, Gianni... hai un sonno agitato.-
L'ho svegliata.
-T'ho svegliata, mi dispiace.-
-Tutto a posto?-
-Sì. Stavo sognando.-
-Che sognavi?-
-Boh, non saprei... una spiaggia, un castello di sabbia...-
-Eri al mare!-
- ...era come se non ci fossi. Non mi ricordo gran' che.-
-... buoni tuffi!-
🙂
-...buoni tuffi anche a te!-
Sorrido.
-Notte.-

Il castello, a guardarlo bene, ha molti difetti, ma è comunque un bel
castello e lui l'ha costruito con le sue mani compiendo gesti leggeri e
pieni di potenza creativa. Ha visto quel castello prima che ci fosse, lo
ha aiutato a venir fuori dalla sabbia bagnata. Poi quel castello non è
abitato da nessuno, a parte dalla sua fantasia; dalla sua capacità di
immaginare il mondo. Quel castello non deve difendere nessuno e non deve
essere difeso da nessuno; il sole e il vento lo porteranno via.

L'altro bambino che si è avvicinato se ne sta in piedi, in silenzio.
A guardarlo bene, la somiglianza con il bambino che ha costruito il
castello è impressionante. Sembrano due gocce d'acqua; solo
l'espressione del volto è molto differente.
Il bambino dal volto corrucciato si avvicina e, con un gesto veloce e
rabbioso, prende a calci il castello, fino a ridurlo ad un semplice
monte di sabbia. Mentre l'altro bambino rimane impietrito come una
statua di un castello vero.

Il suono di un messaggio sul cellulare mi sveglia.
Sotto il sole di una giornata quasi primaverile in inverno, mi sono
appoggiato al muretto nel giardino interno del cimitero e mi sono
addormentato.
A quest'ora di lunedì non c'è nessuno, e dopo aver sistemato un po' di
cose mi sono appoggiato lì, aspettando un collega  e, nel silenzio,
sotto il solicchio, accanto alla siepe di lavanda che si è messa a
rifiorire in inverno, mi sono addormentato.
Lavoro in questa cooperativa da poco e ho scoperto che i cimiteri nelle
giornate di sole mi danno narcolessia.

Spesso il becchino non ha molto da fare.
Un tempo era considerato normale, perché quando -ha da fare- ha da fare
cose delicate.
Ma la calma sembra essere rifuggita dai vivi, o, almeno, da questa
cooperativa dove i necro-operatori sono tenuti a correre vorticosamente
per fare, magari, niente.

Mimando l'agitazione tutti sembrano più produttivi. Salvo poi essere
pericolosi per sé e per gli altri e nei casi più promettenti riuscendo a
creare confusione e malumore.
Chi viene a trovare i propri morti è considerato un cliente che può in
ogni momento lamentarsi con qualche "superiore".
Se non sei agitato sei un fannullone. E il tuo "superiore" non vuole
essere sgridato dal suo "superiore", che magari è un furbetto un po'
sadico-politico che si inventa delle lamentele che non ci sono state,
e... quindi ti chiede... -agitazione-.

Ma figuriamoci se è il caso di farsi prendere dall'agitazione in un
cimitero e se un -cittadino- è un -cliente- e se -i morti- sono -merce-,
no figuriamoci, allora anche i -vivi- sono -merce-... e, seguendo il
flusso delle mie riflessioni che gira sempre più lentamente, mi appoggio
al muretto a fianco alla siepe di lavanda, e, sotto un cielo sereno,
riscaldato da un tiepido sole, aspettando il collega che non si vede, mi
addormento di nuovo.

Il volto del bambino invidioso è adesso soddisfatto. Osservandolo non
mostra una soddisfazione piena, completa, appagata; mostra piuttosto la
soddisfazione di uno sfogo, di un rigurgito, di un brufolo che esplode
davanti allo specchio.
Non c'è più l'oggetto per cui si sentiva costretto a volersi sostituire
al bambino con la paletta in mano. C'è solo un mucchio di sabbia.
Anzi adesso è il bambino con la paletta che è rimasto impietrito e..

Entra un adulto nella scena. E' il padre del bambino prepotente.
Il bambino prepotente quando lo vede dice: -E' stato lui! A cominciato
lui!- Indicando il bambino con la paletta in mano che nel frattempo non
si è mosso di un millimetro.
Il padre osserva la scena e -sgrida- suo figlio. Ma il tono della
sgridata si fa stranamente compiaciuto. Lascia trasparire un senso di
orgoglio nel vedere i segni inequivocabili che il figlio è un -maschio-
appartenente alla sua stessa specie.
Distruggere ciò che non si sa fare, e umiliare chi si invidia.

La madre è rimasta indietro perché non è sua abitudine esporsi e aspetta
che il resto della famiglia la raggiunga.
Il padre prende il bambino per il braccio e lo porta via, come se il
bambino con la paletta non fosse mai esistito.
Papà è fiero di lui. Suo figlio non è un debole.

Il bambino che distrugge i castelli prova un sentimento strano in quella
stretta. Una specie di cameratismo. Sul volto una punta di strafottenza,
si gira per guardare in faccia il bambino che costruisce i castelli, ma
appena voltato nota con sorpresa che non c'è più nessun bambino che
costruisce i castelli, né lì, né sulla spiaggia.
C'è solo il padre che lo porta via e sua madre che dice con voce
stridula: -Cosa è successo?-
Il bambino che distrugge i castelli si sente attraversato da un sottile
senso di terrore.

-Biglietto!-
Mi trovo nello scompartimento di un treno da solo, e vengo svegliato da
un bell'esemplare di femmina umana fra i venti e trent'anni in divisa da
controllore.
-Biglietto?- dico io, ancora non del tutto sveglio.
-Sì, biglietto. Che è strano?-
No, non è strano, in treno non è strano. Mi frugo nelle tasche e trovo
il biglietto. Lo do alla controllora  che lo timbra.

[to be continued]

Gianni Casalini

 
[24 dic. 2008]

							
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Yugen – La politica è morta

A Valentina Cioni, cittadina del cielo.

A Sandro Mazzantini, cittadino del cielo. 

 

"L’Occidente rappresenta la mente maschile, l’intelletto e la sua
aggressività. L’Oriente rappresenta la mente femminile, l’intuizione e
la sua ricettività.
L’Oriente e e l’Occidente non sono fatti arbitrari: si tratta di una
divisione molto profonda ed estremamente significativa."
-Oriente e Occidente- Osho

"Dagli anni ottanta non se ne esce vivi."
After Hours

Circa venti anni fa io e Pilade Cantini eravamo due imberbi studenti che
portavano a testa alta le loro turbe ormonali e il loro disadattamento
sociale. L’età, e qualcosa a cui non avrei saputo dare il nome, lo
permettevano.
Allora eravamo militanti della Lega Studenti Medi, federata alla
F.G.C.I. la federazione giovanile del PCI.
Io provenivo da una piccola militanza nel WWF, forse l’unica
associazione ecologista presente ad Empoli allora. Leggevo gli articoli
che parlavano di ecologia e vedevo disastri planetari ovunque.

Soprattutto eravamo due studenti che organizzavano comitati e
manifestazioni e tingevano striscioni e distribuivano migliaia di
volantini. Sempre. Ed eravamo sempre nelle assemblee. Che organizzavamo
incessantemente.
Dire che c’era stato il riflusso era riduttivo. La sensazione era che
avessero buttato la bomba a neutroni.

Decidemmo di fare un giornalino degli studenti medi e lo chiamammo:
YUGEN.
Il nome era farina del mio sacco. Yugen è una parola giapponese di cui
non esiste una traduzione precisa in italiano. Il significato è
all’incirca: il sottile contrapposto all’ovvio. L’avevo pescato da un
libro di Alan Watts sullo Zen, che stavo leggendo in quel momento.

Yugen per me era una cifra distintiva su cui non si può bluffare.
Metteva sullo stesso piano (ridicolo) le retoriche della chiesa
ufficiale (PCI) e delle varie sette gli giravano intorno con le loro
retoriche altrettanto appiccicose ma un po’ più rabbiose, oppure il
qualunquismo dilagante, la melma democristiana, l’ignoranza
folcloristica e la Milano da bere di cui a noi non ci sarebbe mai
toccata una goccia.

Eravamo pieni di buoni sentimenti allora e anche di sfiga, che vanno
sempre a braccetto insieme. Infatti mi ricordo ad una festa figgicciotta
da qualche parte era partito un coro di quelli idioti-amarcord, anzi era
una canzoncina in perfetto stile piccì-picciò. Tale canzoncina era così
strutturata: c’era la madre che diceva alla figlia -figlia ti voglio
dare in sposa ad un …- fascista, socialista, qualunquista, liberale,
democristiano ect e la figlia sempre rispondeva che non lo voleva perché
il tizio era in qualche modo sgradito fino a quando non si arrivava al
comunista e se non ricordo male il comunista c’aveva invece il cazzo che
conquista.
Mah, io tutto questo cazzo che conquistava non ero sicuro di averlo
(però forse ero poco comunista, chissà), ma il passaggio interessante
era:

M -Figlia ti voglio dare in sposa ad un democristiano (x2)
F -Il democristiano lo voglio NO!
M -Perché? Che c’ha?
F -Il democristiano lo piglia in culo e in mano (x3)

Inutile dire che sul democristiano si raggiungeva il massimo del patos
collettivo.
Stavo ascoltando questa cosa con un leggero distacco e con una punta di
disprezzo, anche perché  lì con noi c’era più di un compagno omosessuale
e non capivo perché dargli del democristiano solo perché gli piaceva
prenderlo in culo o in mano. Non erano tutti solo sfigati come me. C’era
gente che una sessualità di qualche tipo ce l’aveva.
Paolo che era lì accanto a me ed era dichiaratamente gay, mi guardò e
disse:- Mah, prenderò la tessera della DC. Se butta bene a questo modo-.
Questo è yugen.

Ci tengo a precisare che la sinistra parlamentare non era messa né
meglio né peggio di quella che allora era chiamata la sinistra
extraparlamentare. Ad una manifestazione antiproibizionista a Roma,
svariati extra intonavano il coro "Craxi frocio" nel loro spezzone con
una gioia da ripetenti di prima elementare.

Le pubblicazioni di Yugen si fermarono al numero 0. Mi sembra più che
lecito per un nome preso in prestito dallo Zen.

La politica è morta dicevo. Ma anche la filosofia non sta molto bene,
anche se apparentemente gode di buona salute. Anzi di rinnovata
giovinezza. Certo la filosofia è più interessante perché ci sono un
sacco di concetti da familiarizzare. Mentre la politica è sempre più o
meno una furberia messa in opera.
Quello che le varie scienze separate hanno sempre cercato di conquistare
(purtroppo riuscendoci spesso) è il terreno della Passione Civile.
Ma adesso è la Passione Civile che deve conquistare la conoscenza per
portare a compimento i movimenti di emancipazione.
Fino alla vittoria, che è di chi vince.

[-A presto-]
Gianni Casalini

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Frivolezze (2° parte)

 
"Ilari noi, con una punta di -DISPREZZO-"
Uoki Tochi, L’estetica.

La Repubblica di Sabato 8 novembre 2008 titola a tutta pagina: "Obama:
la mia guerra alla crisi". Subito sotto viene citato il neo presidente
degli Stati Uniti d’America che dice: "E’ la più grave della nostra
vita. Subito aiuti alla classe media".
Ricetta interessante, non sapevo esistesse ancora una classe media negli
U.S.A. Anche da noi è in via di ridefinizione. E’ -fuzzy- fra due
estremi che vanno dall’indigenza all’ostentazione.

Mi è venuta in mente la vignetta di Vauro dove è disegnato un barbone
che sta leggendo un giornale e dice ad un collega: "Hai sentito sta
scomparendo la classe media."
E l’altro barbone gli risponde: "Tanto a me è sempre stata sulle
palle!".

No, è una questione di stile, ladi’s and gent’lmen, infatti Vittorio
Zucconi firma un editoriale, accanto alla foto a colori di Obama che
parla dal pulpito del "the office of the president elect", intitolato
"Uno stile kennediano".
Nelle prime righe dice: "Poiché la presidenza americana è stile, prima
ancora che sostanza, se guidare una nazione di nazioni come questa è
capacità di parlare direttamente alla gente, prima ancora di pretendere
di governarla, è davvero cominciato un giorno nuovo, negli Stati Uniti".

"Bravo Bozzone… ti facevo più ignorante, parei Kennedi!".
"Modestamente c’ho i’ mi’ stile".
Bertolucci, Benigni e Monni avevano anticipato questo momento storico
già ai tempi di -Berlinguer ti voglio bene-.

Ci sono anche le polemiche fra il PD e il PDL sulla definizione di
abbronzatura o meno del presidente USA.
Il Silvio proprio non riesce a mandarla giù questa cosa che il
presidente degli USA può fare a meno di lunghe sedute agli UV (che poi
si vede…) e allora, invidioso come è, ti pianta una polemica
internazionale con il Walter risentito perché certe cose non si dicono
al suo amico Obama.
Insomma tutta una storia di bullismo e gelosie fra iscritti in seconda
elementare che riempie pagine e pagine di cazzate.
E poi dai Berlusconi è uno del popolo. Invidioso come il popolo degli
spettatori. Noioso come il popolo degli spettatori. Ottuso come il
popolo degli spettatori.

La politica è vicina alla gente. Infatti alla gente piace sapere chi ce
l’ha con chi, come l’ha offeso, se c’ha le corna e con chi gliele a
messe, in quale ristorante va a mangiare cosa, se il cane è un labrador
o un salsiccio-meticcio.

Che doveva dire il Silvio? Scherzava. Lui ha dei maestri di umorismo
dietro le spalle non indifferenti, come Massimo Boldi, o Jerry Calà, o i
fratelli Vanzina.
Anzi per le prossime elezioni italiane propongo una svolta epocale.
Facciamola una follia in questo paese di gente noiosa. -Una botta de
vita- come dicono a Roma.
Candidiamo entrambi i fratelli Vanzina: uno per il PD e uno per il PDL.
Che  vuoi che non ce ne sia uno -più di sinistra di un’altro-.
Basta che Napolitano li convochi con la scusa di un premio alla cultura
e guardiamo chi si mette a destra e chi a sinistra. Così, senza dire
nulla prima. E’ una figata garantita.
Chiunque vinca ti fa un governo di fighe esagerate, e con un ministro
della difesa che ti chiama "cipollino" (fa tanto ridere quando a uno gli
dici -cipollino-).
Invece che interrogarci sulla definizione di nuovi cittadini, vecchi
cittadini, migranti o stanziali chiamiamo tutti cipollini e cipolline.

Siccome mi sa che, nonostante le dichiarazioni d’intenti, questa crisi
me le sta un po’ rodendo le palle mi propongo anche io per un progetto.
Si vive a progetto oggi. Se non hai un progetto non sei nessuno.
Si ama a progetto. Si fa sesso a progetto.
Dove vai se un progetto non ce l’hai?
Posso mettere da parte il mio progetto di allevare asini e vendere latte
di asina per fare qualcosa per il mio paese. Sono un patriota.
Propongo un Piano di Rinascita Umoristica. PRU.
Silvio, cosa ci fai con Licio Gelli? E’ inutile che vada a fare
programmi in TV.
Dai, -Venerabile Italia- con il simbolo della massoneria. Passata
l’euforia iniziale si viene presi dalla commozione nel vedere questo
signore anziano che dovrebbe godersi la serenità della sua età e invece
è lì a sparare giudizi su governo e magistratura.
E’ uno ancorato a vecchi schemi, ce l’ha con le studentesse con
l’ombelico scoperto.
Io sono molto più indicato, è più facile che trovi da ridire sulle
studentesse con l’ombelico coperto.

E per far capire che dico sul serio offro un demo del Piano di Rinascita
Umoristica (PRU).

Prima cosa, l’ho già detto, il prossimo presidente si chiamerà Vanzina.
Poi facciamo come i presidenti americani: dichiariamo sempre guerra a
qualcosa. Bush l’ha dichiarata al terrore. Ce l’ha fregata, siamo
arrivati secondi e possiamo solo dire sì dai giochiamo anche noi. Guerra
al terrore è buono perché è eterna. Anzi meno riesce ad ottenere
risultati più il terrore aumenta e più bisogna stanziare finanziamenti
per fare la guerra al terrore. Obama dichiara guerra alla crisi. Anche
questa è buona. Non finisce mai.
A noi restano sempre -la guerra alla noia-, -la guerra al malumore-, -la
guerra all’antipatia- e molte altre. -La guerra al sesso- no, quella va
lasciata al Vaticano anche se lo spostiamo in Cina, sono arrivati prima
loro.
Le possiamo fare tutte, ma io sarei per fregare un vecchio slogan
antimilitarista, facciamo -guerra alla guerra-.
Lo spieghiamo a tutti che finanziamo gli armamenti perché c’è troppa
guerra e più spostiamo eserciti e polizie più c’è guerra. Con questa
facciamo schiantare d’invidia anche Obama.

Poi ci mettiamo daccordo con tutti i nostri amici e facciamo pure noi la
guerra alla crisi.
La guerra alla crisi si fa così: il sistema bancario fa delle buche
spaventose, noi le giustifichiamo dicendo che sono stati dati troppi
mutui facili e chiediamo alle banche centrali di emettere soldi che
diamo alle banche. E noi ci teniamo il debito. Come hanno votato insieme
Obama  (il buono) e Bush (il cattivo).
Certo potremmo regalare soldi alle persone. In fondo cosa ci vuole a
fare dei soldi. Basta una tipografia.
Si regalano alle banche per salvarle dal fallimento, si potrebbero
regalare a chi deve pagare i mutui. Così li da alle banche che hanno
indietro i loro mutui e tutti vivono più o meno felici e contenti. Si
sarà prodotto debito, ma l’economia è andata avanti.
Ma noi non facciamo così, li diamo direttamente alle banche che si
prendono anche le case e gli immobili ipotecati. Come negli USA.
L’importante è che il debito sia moooolto grande e che si rischi la
catastrofe. Per farlo diventare molto grande basta prendere i migliori
manager che ti applicano gli ultimi ritrovati di ingegneria finanziaria.
Facciamo una bolla più grossa di Wall Street e la facciamo scoppiare. Le
matte risate.
Basta essere tutti uniti.
Vabbé poi svendiamo tutto quello che c’è rimasto da svendere dello
stato. Ma siccome lo stato fa debito e sporca come gli animali
domestici, ma non te ne puoi liberare allora prima trasformiamo tutto in
fondazioni o spa o cose che possono fallire. Poi ci mettiamo i migliori
manager e poi chiamiamo Colaninno. Che secondo me è uno in gamba e
arriva sempre quando ce n’è bisogno.

La Gelmini è troppo sexy per essere buttata fuori dal governo, io le
creerei un ministero apposta, tipo alla simpatia.
Poi vediamo.
Ministro dell’istruzione mettiamo Maria De Filippi, che si occupa
dell’istruzione dei giovani da anni, senza che nessuno ci faccia troppo
caso. Come se nulla fosse. Maria De Filippi ha dimostrato sul campo di
saper svolgere questo ruolo. Infatti ha educato i giovani in chiave
moderna all’unica cosa che alla società sta veramente a cuore: ad essere
dei pezzi di merda. Ma non dei pezzi di merda obsoleti, dei pezzi di
merda che sanno ballicchiare, canticchiare, sparare pose e sempre e
comunque pronti a fare gli infami di fronte all’autorità costituita
(matriarcale in questo caso), scurreggiando ragionamenti falsi e
meschini.

Invece all’Università e ricerca ci mettiamo il rettore dell’Università
di Siena che dopo 250 milioni di euro di debito fatti nel -suo- ateneo
si presenta in TV ad un servizio del TG3 regionale spiegando sorridente
che sta presiedendo un tavolo con regione, Monte dei Paschi e non mi
ricordo chi, per risistemare la faccenda; con acquisizione da parte
della regione di immobili. Non ho capito bene cosa bollono in pentola,
però io mi sarei aspettato che il rettore di un ateneo fallito fosse
stato invitato gentilmente ad andarsene; non dico preso a calci nel
culo. Invece no, sicché è uno in gamba. Ministro subito.

Fondamentale nella guerra alla crisi rimane trovare chi la paga.
Facile. La facciamo pagare a tutti tranne che ai soliti non abituati a
pagare. Qualcuno più, ma soprattutto, qualcuno meno.
Anzi facciamo meglio: stabiliamo un principio di cittadinanza proprio in
base al pagamento crisi. Sei cittadino di serie A e paghi poca crisi
(oppure la riscuoti), sei un cittadino in seconda fascia? la paghi, in
terza? la paghi cara e non hai accesso a certi diritti che stabiliremo
insieme a Maroni, fino ad arrivare all’ultima fascia che non ha diritti
e non ha soldi per pagare, ma questa la mandiamo a fare i lavori
socialmente utili, ma non nei giardini, bensì a scavare le gallerie
delle grandi opere (c’è una crisi grande ci vogliono delle grandi opere,
su questo tiriamo dentro anche Di Pietro).

Ci sono mille modi per far pagare una crisi, è inutile star qui a farla
lunga. L’importante è non farla pagare a tutti insieme. Un po’ per
volta.
Ad esempio le riforme scolastiche e universitarie vanno tirate per le
lunghe e sarebbe meglio completarle d’estate.
Per ultimi lasciamo i pensionati, perché se li tocchiamo per primi
rischiamo una destabilizzazione istituzionale. Per ultimi quando non ci
sarà più nessuno a difenderli.

Carfagna e Prestigiacomo: ne eliminiamo una tramite un incontro di lotta
nel fango. Tremonti va mandato via, fa dei discorsi strani ci sta di
trovarselo col casco in qualche manifestazione post-global.
Meglio non fidarsi.

[continua]

_Gianni C.

"Ognuno ha diritto alle sue godutine". Moana Pozzi

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